Backstage: Siegfried a Firenze
Aggiunto il 04 Dicembre, 2008
Richard Wagner
Siegfried
Siegfried – Leonid Zakhozhaev
Mime – Ulrich Ress
Der Wanderer – Albert Dohmen (sostituiva Uusitalo)
Alberich – Franz-josef Kapelmann
Fafner – Stephen Milling
Erda – Catherine Wyn-Ross
Brunnhilde – Jennifer Wilson
Der Waldvogel – Chen Reiss
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Zubin Mehta
Carlos Padriss – Regia
Allestimento – La Fura dels Baus
Franc Aleu – Immagine video
Chu Uroz – Costumi
Cesare Mazzonis – drammaturgia
20, 23, 26, 29 novembre 2008
La Fura dels Baus (letteralmente la furia del bue) è un gruppo teatrale catalano fondato da Carlos Padrissa –il registra di questo Siegfried- nel 1979. I primi spettacoli della compagnia fanno scalpore; non solo la Fura fa' teatro fuori da spazi tradizionali (questo non è una novità), ma sono tra i primi a utilizzare tecnologie multimediali nella prosa. Tramite mezzi audiovisivi all’avanguardia la Fura realizza in quegli anni alcuni sorprendenti spettacoli che coinvolgono lo spettatore in maniera totale. Il successo arriva immediato; nel giro di un decennio sono una delle principali compagnie europee di teatro sperimentale. La stampa di settore conia addirttura un neologismo, “stile furero”, per indicare spettacoli di grande fascino visivo, all’avanguardia nelle soluzioni tecniche, aggressivi nel linguaggio, crudi e realistici nell’affrontare temi scottanti di attualità, politici e di impegno civile.
Nel 1992 sono chiamati –devo dire con grande coraggio e intelligenza- ad allestire la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi spagnole. E' un altro successo; da allora La Fura dels Baus allarga il proprio orizzonte affiancando alla ormai storica attività teatrale anche l’ideazione di gigantesche performances in occasione di solenni manifestazioni collettive. Sono sempre loro a salutare, a Barcellona, l'alba del nuovo millenio. In questi anni la Furasi avvicina anche all’Opera; debuttano a Barcellona nel 2001 con il Don Quijote di Turina cui seguono, tra i tanti, una Dannazione di Faust a Salisburgo (DvD Arthaus) e un Flauto Magico (2003) per la Bastille ripreso poi con successo in vari teatri europei.
Mentre in Spagna gli artisti della Fura continuano un’intensa attività teatrale (ho visto recentemente Metamorfosi e Boris Godunov ambedue bellissimi), nel resto del continente si muovono privilegiando le produzioni multimediali ad alto budget per platee numerose. Ed è proprio a questi faraonici spettacoli che devono la fama che li circonda anche fuori dai ristretti ambiti del teatro di ricerca.
Attualmente sono la compagnia di “performing arts” più popolare e corteggiata d’Europa.
A fronte di questo successo non sono mancate le critiche. Alcuni sostenitori del teatro di ricerca “puro” accusano la Fura di aver tradito la loro vocazione vendendosi ai gusti del pubblico generalista; altri vedono –ad esempio nella loro scelta di lavorare nell’Opera - un imborghesimento artistico tale da trasformare il nome “Fura del Baus” in una sorta di griffe cultural-mondana ormai sinonimo di prodotti facili, spettacolari, rassicuranti e remunerativi.
Si tratta di critiche severe senza dubbio anche ingiuste; devo però ammettere che, dopo questi primi tre tasselli wagneriani allestiti a Firenze (Oro e Walkiria risalgono a giugno 2007) certe perplessità non sono poi così prive di fondamento.
Lo stile estetizzante, tecnologico e variopinto cui cui la Fura ha deciso di raccontare il Ring e principalmente questo Siegfried, non mi è parso (contrariamente a quanto avevo letto) né particolarmente innovativo né altrettanto profondo. Se ad apertura di sipario, lo ammetto, mi sono incuriosito, dopo la prima mezz'ora la ripetitività delle soluzioni espressive e la debolezza di quelle tecnico-drammaturgiche mi hanno annoiato. Non che fosse visivamente “brutto” questo Siegfried, semplicemente mostravatutti i limiti di quella che, fuor di metafora, è stata la solita “non-regia” cui purtroppo in Italia siamo da tempo avvezzi e, purtroppo, anastetizzati.
Non solo il lavoro sulla drammaturgia del testo e della musica era assente ma veniva demandato ai significati – ora reconditi ora semplicemente ingenui - contenuti in filmati riprodotti su grandi pannelli messi a guisa di fondale. I videoclip, tutti realizzati con tecnologia digitale, sono stati di buon livello estetico e alcuni, furbescamente, di forte suggestione. Però tutto si è fermato lì. Espunto l'elemento tecnologico si era dalle parti del tanto vituperato Wagner di tradizione: i cantanti compivano i soliti movimenti stereotipati, il drago era un tradìzionale drago da fiaba solo stilizzato in chiave high-tech, e il Waldwogel il prevedibile soprano imbraghettato e appeso in graticcia con tanto di ali. Di conseguenza, se l’elemento narrativo del Siegfried – a patto di conoscerne la trama - era in qualche maniera salvaguardato, tutto l’aspetto concettuale, simbolico, innovativo di quest’opera veniva come al solito affidato alla musica che, secondo i più reazionari tra il pubblico, tutto dovrebbe risolvere e tutto dovrebbe suggerire.
In pratica non ho visto un allestimento di Siefried, ma una sorta di installazione di arte contemporanea su musiche di Wagner. Il caso ha voluto che fosse dentro a un teatro, ma la si poteva presentare identica alla Tate Modern o al Moma.
Sul fronte musicale le sorprese, in negativo, sono arrivate soprattutto dal podio.
Mehta è stato irriconoscibile rispetto alle giornate precendenti. Senza dubbio il suo non è mai stato un Wagner particolarmente originale e innovativo, però ricordo, soprattutto in Walkiria, fraseggi appassionati, una condotta narrativa brillante unita a scelte timbriche, senza dubbio già sentite, ma comunque coerenti con quello che succedeva in palcoscenico.
In questo Siegfried niente di tutto questo: tempi lenti, scelte ritmichevicino all’afasia, timbriche spappolate, monotonia di colori, stacchi soporiferi. Dal momento che nessuno mette in discussione l’abilità tecnica di un direttore come Metha, temo che tutto questo sia derivato da una precisa scelta interpretativa. Il che è anche peggio.
Sul fronte vocale le cose non andavano meglio.
Zakhozhaev è stato il consueto Siegfried vecchio stile con ambiziose velleità heldentenorili –avendone solo parzialmente i mezzi - per cui tutta la parte è stata risolta col solito declamato fibroso povero di colori e di chiaroscuri. Dal momento che la regia non ha fatto nulla per valorizzare il cantante e con lui il personaggio non ho potuto far altro che limitarmi a valutare le note. Che non erano bellissime. Certo, la parte è quella che è, ma proprio per questo sono del parere che, se si vuole continuare a mettere in scena Siegfried, sia giunto il momento di trovare soluzioni teatrali e musicali alternative per affrontare il personaggio altrimenti si avrà la solita, fastidiosa sensazione derivante da una parte troppo grande cantata da voci troppo piccole.
Dohmen ha incastonato questo Wanderer tra i due Pizarro modenesi con Abbado. Dal momento che si trattava di una sostituzione non mi è possibile esprimere un giudizio che abbia qualche valore complessivo. Diciamo che la serata l’ha portata a casa e gli sono grato dello sforzo fatto. Rimane il rimpianto di non aver sentito Uusitalo che nelle giornate precedenti era stato un Wotan di grande spessore.
Ress è stato un Mime anche lui vecchio stile, querulo, lamentoso, sbiancato negli acuti ma tutto sommato funzionale. Kapelmann, a parte qualche problema di sfasamento ritmico con l’orchestra, si è comportato degnamente. La Wilson ha un voce imponente ma un temperamento teatrale prossimo alla stasi. Alcuni passaggi mostravano, vocalmente, un ottimo materiale di partenza e il do finale, più voluminoso che squillante, è bastato per far credere al pubblico di trovarsi di fronte a unanotevole Brunnhilde.
Efficienti sia la Wyn-Ross che la Reiss.
Resta Fafner. Che è stato il grande Stephen Milling già straordinario Hunding nel Ring di Coopenhagen (DVD Decca). Com'è noto Fafner canta sì e no dieci minuti ma sono bastati per pronosticare chi sarà, se qualcosa non cambia, il grande basso wagneriano dei prossimi anni. Voce morbida, perfettamente impostata, fraseggio ricco di colori, con Milling la morte di Fafner è diventata uno dei punti più alti di questo Siegfried. Non so se ci sarà lui come Hagen nella Gotterdammerung conclusiva; se così fosse sarebbe la prima ragione per tornare a Firenze.
Pubblico ben disposto e quindi successo caloroso.
Maugham