Venerdì, 02 Maggio 2025

Editoriale: Ampie retrospettive - di Pietro Bagnoli

Aggiunto il 31 Gennaio, 2014

La Storia dell’interpretazione è una bestia strana e, se non si ha pratica con la Storia, ognuno la tratta un po’ a modo suo.
C’è chi la usa per fare giochini in cui si prende una singola aria (ovviamente non una performance intera), un cantante contemporaneo colto possibilmente ma non obbligatoriamente in una serata di pessima forma, uno di settant’anni fa coperto da mille fruscii, e si mettono a paragone. L’esito, prevedibile come un discorso di fine anno di un qualunque presidente della Repubblica, è finalizzato a dimostrare che una volta si cantava meglio. È un giochino facile e che fa molto simpa, anche se, ancora dopo tanti anni, non capisco che scopi si prefigga: io ho smesso di divertirmici molti, molti anni fa, quando ne discutevo con gli altri loggionisti mentre facevo la fila sotto l’occhio furbo e disonesto del Gianni e di tutti gli altri ignobili bagarini che spadroneggiavano alla Scala.
Per capirci, sono tutte le cose di cui NON parliamo su Operadisc.

C’è chi la usa per studiarla in rapporto ai tempi e luoghi, e questo – conveniamone – è molto più difficile: richiede tempo, impegno, apertura mentale, cultura. A chi fa questo percorso, ovviamente, non gliene può fregar di meno di dimostrare che l’Arte dell’esecuzione e della rappresentazione musicale sono andate in decadenza.
Perché la decadenza non esiste: ciò che gli altri chiamano decadenza, in realtà è solo evoluzione che non piace a chi non la capisce.
Per capirci, sono tutte le cose di cui parliamo ECCOME su Operadisc.

Ad ogni modo, la Storia dell’interpretazione è – per l’appunto – Storia, e come tale deve essere trattata: con rispetto e, ovviamente, con volontà documentaria.
Sembrerebbe essersene accorta anche l’industria discografica che – evidentemente in crisi sulla produzione di nuove uscite interessanti, che non siano recital o live, e questo per i costi ormai esorbitanti che abbiamo già analizzato tante volte e proprio sulle pagine del nostro sito – sta invece sfornando a ritmi impressionanti integrali, rivisitazioni antologiche, retrospettive che permettano di fare il punto su un Autore, su un Interprete o, più frequentemente, su entrambi.
Lo scopo primario commerciale che ci si prefigge è evidentemente quello di vendere di più sfruttando il grosso nome (e, da questo punto di vista, aspettiamoci al più presto una Grande Integrale Imperdibile di Abbado); ma lo scopo niente affatto secondario è quello di documentare l’evoluzione stilistica di un Autore o di un interprete e fornirne il percorso creativo in quella che dovrebbe essere – o assomigliarvi – l’integrità.
Dalla comparsa dell’LP in avanti è ciò cui dovremmo aspirare.
Perché, parafrasando lievemente il grande Francesco De Gregori, “non è mica dai particolari che si giudica un giocatore”.

Quindi, a questo punto della nostra Storia e con milioni di registrazioni dietro le spalle, esiste ormai la necessità quasi spasmodica di Grandi Retrospettive, e di ampie vedute, perché è sulla visione d’insieme, che comprenda le peculiarità dell’esecutore e il tempo in cui è calato che riusciamo a capirne la portata storica; altro che le pecette sulle forcelle!
Il caso che mi pare più emblematico è quello di Pierre Boulez di cui la Deutsche Grammophon sta sfornando a ritmi forsennati cofanetti monografici: quello di Mahler è credo il più recente, ma non mancano Stravinskj, Debussy, Ravel, Webern, Prokofiev oltre – naturalmente – se stesso, inteso come Autore; e, sempre a proposito di Boulez, è poi da tenere presente che esistevano già precedenti cofanetti monografici della Sony dedicati a Webern e Schoenberg.
Per stare agli Autori, sempre l’etichetta gialla aveva pubblicato un volume monografico dedicato a un grande musicista della sua scuderia, Heinz Werner Henze, scomparso nel 2012.
Di Bach ormai è una prassi consolidata pubblicare l’integrale (o una passabile sintesi) delle Cantate. Si consideri che a lungo abbiamo avuto solo un’antologia di Richter e la prima audace proposta di Harnoncourt/Leonhardt, mentre adesso abbiamo anche Rilling, Gardiner, Suzuki, Koopman, Herreweghe (ongoing) e, probabilmente, presto anche Jacobs e Minkowski.
E non è tutto: c’è Richard Strauss – sia in versione operistica che strumentale, Rimsky Korsakov, ancora Prokofiev ma stavolta operistico, Puccini (soprattutto vecchie registrazioni di scuderia Decca), Wagner nella completa versione di Barenboim (adesso c’è anche l’integrale di Janowski, ma non è raggruppata in cofanetto), ovviamente Verdi e chi più ne ha più ne metta.
È probabile che per le case discografiche sia anche un utile stratagemma per liberarsi di un po’ di vecchiume che non interessa più molto a nessuno: l’epoca d’oro del disco ha comportato l’esecuzione di praticamente tutto il repertorio che conosciamo come “classico”, prima che si scatenasse l’onda lunga del Barocco che ci sta tuttora bagnando i piedi; ma non tutto quello che è stato registrato passerà alla Storia o rimarrà, quindi iniziative del genere permettono di mantenere una memoria storica importante anche di esecuzioni semplicemente passate un po’ di cottura che altrimenti andrebbero perdute.
L’aspetto più interessante è però quello della retrospettiva ampia: la storicità di un Autore, o di un Interprete, non può essere valutata da un pezzullo; è come pensare di farsi un’idea dei “Promessi sposi” dall'introduzione del ramo del lago di Como, o dall'addio ai monti, o dai Bignami dei tempi di cui eravamo giovani, la prospettiva non potrà che essere parcellare e poco interessante. Poi, per carità: in mancanza di meglio, vanno bene anche i pezzulli, ma non al punto di far loro dire anche ciò che non viene espresso. E in ciò vi sia compresa ovviamente anche la capacità dell’interprete di essere complessivamente attendibile nella resa di tutta l’opera, al di là della mera resa del singolo brano.

Ma la novità più succosa degli ultimi tempi arriva dalla Decca: un maxi-cofanetto in edizione limitata per celebrare il centesimo compleanno di Benjamin Britten, con tutte le sue composizioni, sia quelle registrate originariamente da lui per la stessa etichetta, sia quelle realizzate per altri brand. In tutto 66 CD a circa 2 euro l’uno, il che è un’occasione fantastica anche per chi dovesse già averne un bel po’ (l’appassionato medio ovviamente ha già almeno Peter Grimes e Billy Budd, quello un po’ più elitario ha anche Midsummer night dream e Turn of the screw, il vero maniaco ha persino Paul Bunyan), perché averle tutte insieme in un contesto così prestigioso è una di quelle occasioni che vanno prese al volo, e perché questo è il vero significato del disco: essere capace di farsi evento anche in materie nelle quali credevamo di sapere assolutamente tutto. E sì, è vero, adesso c’è anche Spotify che ci può aiutare, ma è un servizio che sta alla nostra cultura personale come una puttana alle nostre voglie: ammesso che piaccia, può andar bene per una sveltina, non per la Grande Storia d’Amore di tutta la vita.
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.