Requiem
Aggiunto il 01 Luglio, 2012
Quest’edizione della Messa da Requiem di Verdi composta, come si sa, in memoria del grande Alessandro Manzoni ha la singolarità di essere racchiusa in un unico CD e di buona fattura sonora vede la bacchetta di C. M. Giulini, un direttore che, accanto all’arte, non ha mai nascosto la sua particolare spiritualità cristiana. Solitamente largo nelle sue conduzioni verdiane (si veda ad esempio il suo Don Carlo di dieci anni posteriore inciso per la EMI con la coppia spagnola Caballé-Domigo), Giulini qui invece mostra in certi punti tempi stretti e marcati (Dies Iræ, Sanctus, ad esempio) che rimandano la mente all’accesa drammaticità di Toscanini e del suo epigono più famoso che è Muti (almeno quello degli inizi), ma mai che la narrazione sonora degeneri in meccanicismo. A questo si aggiunge un accentuato e commosso lirismo nei momenti più distesi come l’Agnus Dei oppure anche nel Lux æterna ed in altri passaggi della Sequenza. Il fatto che si riesca ad ascoltare il capolavoro verdiano in un unico CD può essere ascritto proprio a questo mix in cui si alternano poesia e dinamismo, ma anche a quello che sembra essere un piccolo guasto di montaggio: nel bel mezzo dell’Offertorio l’attacco della frase «Sed signifer sanctus Michæl» è al limite della sovrapposizione con quanto precede. Nella direzione del maestro pugliese manca tuttavia in modo determinante, ad onta del dinamismo sfoggiato nelle pagine che ho menzionato, quell’aura di tregenda che in alcuni punti è suggerita tanto dal testo liturgico quanto dallo spartito verdiano. Tutto infatti è risolto nella concitazione: buona (perché con Giulini non si fa mai chiasso), ma insufficiente – almeno per me – a connotare un’opera che pone l’uomo dinanzi all’inquietante mistero della morte e soprattutto del Giudizio finale. Manca quella sana enfasi che è tipica del Verdi maturo come lo è nel corrispettivo pittorico Michelangelo nel suo Giudizio Universale che non poche volte è riprodotto nelle confezioni di quest’opera verdiana. A dirla tutta, pur con la sua correttezza, Giulini nel verdiano Requiem non fa storia e non lascia un’impronta particolare (e i confronti – che si sprecano – non si possono ignorare).
Il cast, nelle linee generali, funziona, ma non con comune pienissima gloria: vero è che la Sutherland non è una ‘latinista’, però la dizione dei primi anni era più limpida di quanto poi accadrà in seguito e la stessa voce era nel ’60 timbricamente più chiara nonché, in alcuni tratti, leggera tale da permettersi alcuni assottigliamenti. A ciò si aggiunge la saldezza del registro acuto con il quale affronta l’ultimo arduo brano solistico «Libera me Domine». La giovane Cossotto è molto brava e, in filigrana, vediamo la robustezza di un organo vocale che si cimenterà in onerosi ruoli della corda mezzosopranile (nello stesso anno inciderà l’Eboli della II edizione del Don Carlo diretto da Santini con i complessi scaligeri). Espressiva, ma con il difetto vocale di aprire qua e là i suoni nel settore grave. Ottolini ha un bel timbro, poche sfumature e sebbene non faccia brutture non è certo da annoverare tra i migliori esecutori della parte di tenore della Messa verdiana e questo a causa di una monotonia piuttosto diffusa. Vinco vanta un buon timbro, buona voce, correttezza di dizione ma gli manca quell’aura di mistero che circonda certe frasi del basso come, ad esempio, l’iniziale «Mors stupebit et natura» o alcune frasi del Lux æterna.
Il coro è ben disciplinato, ma di pronuncia “made in UK”. Buona sostanzialmente la resa audio, mentre è ai minimi storici il pieghevole che fa da copertina al cofanetto che si limita in prima pagina a mostrare la Sutherland (con tanto di simpatica mascellona) con il riquadro del titolo di ciò che si ascolta nel CD e in quarta la divisione dei tracks mentre all’interno è tutto bianco.
Luca Di Girolamo