Martedì, 23 Aprile 2024

Editoriale: Cose di Wagner - di Pietro Bagnoli

Aggiunto il 11 Marzo, 2012

Dopo tanti anni di ascolti wagneriani, contemplo le mie discoteche sparse fra casa, dischi fissi e portatili vari, automobile e posto di lavoro, e realizzo di avere praticamente tutte o quasi le incisioni disponibili dei Maestri Cantori e dell’Anello del Nibelungo. E quando dico tutte, intendo anche – per esempio – i due Meistersinger con Neidlinger o il Ring di Swarowski, ben più che una curiosità.
Per non parlare, ovviamente, di tutte le incisioni di Parsifal e Tristan, nelle quali non arrivo alla totalità solo per un pelo.
È chiaro che un database del genere permette, al possessore appena smaliziato, qualche considerazione che, senza pretese particolari, potrebbe aiutare a tracciare un percorso attraverso cui poter “leggere” non solo la storia dell’interpretazione attraverso i dischi in un modello applicabile anche a altri autori.
Perché proprio Wagner?
Fra le possibili risposte ne scelgo essenzialmente quattro:
1. ovviamente, per una questione di gusto personale: chiunque parla volentieri di ciò che ama
2. perché è un autore molto ben tracciabile attraverso numerosissime incisioni, molte delle quali sono uscite recentemente dagli archivi
3. perché le registrazioni sono per lo più quasi sempre integrali o scarsamente mutilate (fanno eccezione le registrazioni americane della prima metà del secolo scorso)
4. perché esistono fondamentalmente due modi di intendere questa materia: quello che proviene da Bayreuth e quello del resto del mondo, che definiamo in modo sommario “Wagner internazionale”. Questo ci aiuta a schematizzare il discorso molto più che con altri autori

In Italia la materia è stata coordinata da qualche lavoro fondamentale: Teodoro Celli, per esempio, che ha catalogato in modo mirabile i leitmotive dell’Anello; oppure altre pubblicazioni che, a fronte di eccellenti ricostruzioni storiche, si trovano appesantite da valutazioni estetiche che ne minano il valore documentario e chehanno ostacolato la comprensione di alcuni interpreti che oggi, invece, consideriamo fondamentali. È il caso di Joseph Keilberth, sino ad ora da noi ritenuto l’elemento più in ombra nella Bayreuth di quegli anni rispetto a altri giganti come Krauss o Knappertsbusch, e che invece scopriamo essere il direttore più amato da Astrid Varnay.
La sensazione su cui abbiamo riflettuto nel nostro sito è che i tempi fossero maturi per ragionare su questi argomenti in modo diverso rispetto alla vulgata, e partendo come al solito dagli unici dati oggettivi a nostra disposizione: e cioè, le registrazioni. Questo – com’è noto – è il presupposto principale del nostro sito: si parte dall’ascolto puro e libero da pregiudizi, si ragiona sul perché la data registrazione possa essere maturata in quel luogo e in quel periodo specifico, e si considera quindi la materia sub specie historiae.
Di registrazioni ne abbiamo un bel po’, e forse non abbiamo nemmeno bisogno di essere selettivi se non su un aspetto: le opere da analizzare.
Cominciamo quindi col dire che scartiamo aprioristicamente i lavori della gioventù (Rienzi, Fate, Divieto d’amare): lo stile wagneriano a quel punto era solo in formazione, e poi non fanno parte del “canone” di Bayreuth.
Sia chiaro: non è che quello che viene fatto sul Colle sia tutto bello e quello fuori sia tutto brutto (o viceversa), ma esiste uno stile “bayreuthiano” ben preciso, di cui è stato custode sin dall’inizio la famiglia Wagner, a cominciare da Cosima che è quindi – storicamente – la nostra prima interlocutrice e referente. Piaccia o no, Wagner inizia da lì. Misconoscere l’importanza di Cosima in primis quale custode del pensiero dell’Autore, e conseguentemente come colei che ha dettato le regole del più autentico stile wagneriano, è atteggiamento antistorico che noi ripudiamo drasticamente. Questo ovviamente non vuol dire rifiutare le interpretazioni maturate lontane dalla Franconia: è solo riconoscere ruoli esituazioni.

Il nostro intento è quindi cercare di identificare i landmark dell’interpretazione wagneriana e provare ad approfondirli, con l’occhio e il cuore dell’appassionato di lungo corso.

I topic di questo lavoro sono numerosi e la loro disamina porterà via diverso tempo: il tempo purtroppo è quello che è e alcuni di essi saranno verosimilmente troppo corposi per essere esauriti in un’unica soluzione.
Proviamo, e vediamo quello che salta fuori.
I primi che ci sono venuti in mente sono, alla rinfusa (e senza nessuna pretesa di essere esaurienti):
1. Essere direttore a Bayreuth
2. Keilberth: una personalità da ripensare
3. Martha Mödl e Astrid Varnay: due “zie” a Bayreuth
4. I “due cicli” del Ring sul Colle negli Anni Cinquanta
5. La Destrutturazione da Wieland ai giorni nostri
6. Fasti e limiti del “Wagner internazionale”
7. Archeologia dell’interpretazione wagneriana: un modello esecutivo ancora valido?
8. Il ruolo della discografia nell’evoluzione esecutiva
9. Meistersinger: dalla “Cara Norimberga” ai conflitti generazionali
10. L’interpretazione wagneriana oggi: un grande momento
11. L’evoluzione dell’heldentenor lungo il percorso della storia del disco
12. I grandi cicli discografici: Solti, Karajan e Barenboim
13. Grandi bassi, grandi ruoli
14. Karajan: da assistente di Knappertsbusch al “Wagner intimo”
15. Discografia del Ring: Bayreuth e resto del mondo
16. Il Ring “in provincia”: Neuhold e Swarowski
17. Le grandi Hochdramatische: una risposta univoca a tutti i ruoli?
18. Birgit Nilsson
19. Dalle urlatrici alle fini dicitrici andata e ritorno
20. Il buio di fine secolo scorso


È possibile che strada facendo ci vengano in mente altre idee, oppure che voi stessi ce ne suggeriate di diverse: ben vengano, vi aspettiamo.
Il concetto vi dissi.
Seguiteci!
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

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Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.