IN HER FINEST RECORDING di Germaine Lubin
Aggiunto il 11 Ottobre, 2015
Cantante storica in tutti i sensi, la Lubin.
Germaine nacque nel 1890, figlia di un farmacista de la Guyana francese, a sua volta musicista, cantante e artista poliedrico che ebbe una sua fortuna con il nome d’arte di Edgar Nibul (anagramma del cognome); il padre le aveva insegnato il piano all’età di 6 anni.
Studiò al Conservatorio di Parigi con Félia Litvinne, Lilli Lehmann e Marie Gutheil-Schoder. Aveva esordito all’Opera Comique nel 1912 come Antonia dei Contes d’Hoffmann; a seguire le diedero subito Ariadne, Pénélope, Charlotte e Louise. Passò poi al grande repertorio all’Opèra di Parigi ove prese parte, tra l’altro, alla prima del Rosenkavalier nei panni di Octavian (!). Altri ruoli furono: Juliette (!), Thaïs, Marguerite (Boito e Gounod), Aida and Sallambô (Reyer), Agathe, Fidelio, Elsa, Eva, Elisabeth, Sieglinde, Brünnhilde, Isolde, Elektra e Cassandre. Non solo Rosenkavalier: fece anche le prime francesi di Ariadne auf Naxos e Elektra. Creò anche I ruoli protagonist di Nicéa in La Légende de Saint Christophe (1920), dell’Imperatrice Charlotte in Maximilien di Milhaud (1932) e della Contessa Sanseverina in La Chartreuse de Parme di Henri Sauguet. Fra i suoi ruoli vanno segnalati anche Alceste e Ifigenia Iphigénie en Aulide (Gluck), Telaira in Castor et Pollux di Rameau (1935, Maggio Musicale Fiorentino) e Ariane di Ariane et Barbe-Bleu di Dukas (1937)
A partire dal 1924, sempre all’Opèra, cantò praticamente tutti i grandi ruoli wagneriani, e sempre in francese; e questo ci rende conto della scelta di Odèon e Pathé di pubblicare i brani wagneriani che si trovano in questa raccolta proprio nella lingua madre della cantante. La carriera della Lubin ebbe il suo apogeo fra il 1938 e il 1939 quando fu invitata a Bayreuth a cantare Kundry e Isolde; e possiamo immaginare cosa significasse per una cantante francese eseguire quei ruoli in quel particolare teatro.
Isolde l’aveva debuttata in francese nel 1930; nel 1938, a Parigi, l’avrebbe cantata in tedesco sotto la direzione di Furtwängler; nel 1939 (appunto) a Bayreuth con De Sabata; nel 1941, con i complessi della Staatsoper di Berlino e Karajan, a Parigi, per “festeggiare” – si fa per dire – la caduta della città. Lo spettacolo vide la presenza come ospite di Winifred Wagner, nuora del compositore e notoriamente compromessa con Hitler. In più, nel 1942 fece un concerto per un’esposizione dello scultore filo-nazista Arno Brecker. Queste e altre vicende ebbero un ruolo fondamentale nell’arresto che dovette subire, nel 1944, all’indomani della Liberazione; restò in carcere tre anni. Fu salvata dalla testimonianza di persone che lei aiutò durante la guerra, ma questo non le evitò la pubblica ignominia e la confisca dei beni. Riparò in Italia da amici.
Disse, a tal proposito:
“J'ai souffert d'une énorme injustice. Mon propre peuple m'a volé dix ans de carrière !... Quand j'ai passé trois ans en prison, on a confisqué mon château à Tours avec mes biens. Quelqu'un s'est-il donné la peine de me demander pourquoi je n'ai pas accepté les invitations de Winifred Wagner pour chanter en Allemagne pendant l'Occupation ?”. Aveva ragione, ovviamente: la sua presenza sul Colle si era fermata al 1939.
Fino alla morte a 89 anni (1979) si dedicò all’insegnamento, nel suo appartamento di Parigi. Si formarono sotto di lei Régine Crespin, Jocelyne Taillon e il baritono Udo Reinemann.
Di questa miriade di ruoli e di questa vita controversa (ci fu anche il suicidio del figlio nel 1953), ci restano poche registrazioni.
Fra queste, la parte del leone la fanno quelle wagneriane in francese, che sono capisaldi del repertorio.
Nonostante alcuni portamenti ascendenti, accettabili perché belli e – come dire? ... – “portato” inevitabile del tempo, sono interpretazioni che ci restituiscono un’Artista affascinante, in grado di penetrare la materia come aveva già fatto in modo grandioso la sua Maestra, quella Félia Litvinne che portava in sé la tradizione di Pauline Viardot e Victor Maurel.
Della morte di Isolde questo bel disco splendidamente rimasterizzato esistono due versioni.
Quella del 1929, in francese, espone una linea di canto immacolata, con una cantabilità di gusto molto italiano, legato, acuti luminosi, tinta soave e crepuscolare. Quella del 1939, dal vivo a Bayreuth nel celeberrimo spettacolo diretto da De Sabata di cui probabilmente questo è l’unico frammento esistente, ci presenta una cantante con la voce sensibilmente più corrotta e appesantita, ma ancora capace di evocare magie che rendono conto del suo “arruolamento” in un’operazione del genere: a quasi cinquant’anni, a 27 anni dall’esordio, Germaine Lubin ha ancora una luminosità smaltata del mezzo che affascina l’ascoltatore con l’uso superbo del legato e il rispetto meticoloso di tutti i segni di espressione. Siamo ovviamente in una temperie culturale differente da quella “ortodossa” del Colle di più stretta osservanza che verrà poi ripristinata dai fratelli Wagner nel 1952; ma è tuttavia incredibile sentire negli Anni Trenta a Bayreuth una Isolde di tale esausta e tenera femminilità (si consideri che lo stesso De Sabata ha lasciato una testimonianza discografica dal vivo di questo ruolo con la terribile virago Gertrude Grob-Prandl), espressione della grande Scuola Wagneriana francese che aveva prodotto, tra le altre, artiste meravigliose come Suzanne Balguerie e Germaine Martinelli.
Anche gli altri brani wagneriani presentati in questa antologia, tutti in francese, sono di notevole bellezza. Nel Ring il suo ruolo sarebbe dovuto essere Sieglinde, ma fu naturale per lei eseguire una Brunnhilde di timbro smaltato, luminoso, dolcissimo, forse un filo statuaria e immobile, ma anche questo era un portato inevitabile dell’epoca.
Eccezionale l’assolo di Elsa che, nella purezza della linea, richiama l’emissione parimenti immacolata di Maria Müller, di Elisabeth Rethberg e di pochissime altre.
Notevolissimo anche il Dich, teure Halle, entusiasmante per afflato. E prevedibilmente splendido il racconto di Sieglinde, ruolo che avrebbe potuto rappresentarla più e meglio di qualunque altro (con l’eccezione, si capisce, di quella Isolde cui legherà indissolubilmente la propria immagine).
Lascia un filo più perplessi la sua Brunnhilde, ma solo superficialmente perché siamo abituati a altre canne e a un declamato più spinto che nei ruoli angelicati non cerchiamo. Detto questo, una grandissima Brunnhilde, sia nel Siegfried che nel Crepuscolo, con acuti stratosferici e quella meravigliosa tinta ambrata che la rende incomparabile.
La gestione maniacale della purezza della linea musicale si riflette anche sul più incredibile, spettacolare, struggente e sensuale “Vissi d’arte” che si sia mai sentito. Certo, anche qui qualche portamento ascendente di troppo; ma non c’è frase – di più: non c’è parola cui non sia dato un peso specifico, un’inflessione, un colore che non solo è adeguato, ma che appare quello perfetto, quello che abbiamo sempre cercato senza rendercene conto.
Eccezionale anche il Roi de Thulè, cui conferisce bellezza supplementare anche l’adeguatezza della lingua.
Il brano del Freischütz ci restituisce una Agathe dolce e riflessiva e, allo stesso tempo, invasa da un’ansia febbrile che sembra assolutamente appropriata.
Il “Sigurd” di Reyer è un’opera ormai appartenente al dimenticatoio: l’impianto Grand Opèra la differenzia profondamente dal ciclo wagneriano, ma la tematica comune ha generato l’inevitabile confronto che ha visto soccombere il compositore marsigliese. Il “qualcosa di carino” che l’opera ha in sé trova, in Germaine Lubin, l’unica esegeta possibile in grado di nobilitarlo: è il massimo che se ne possa dire.
Il disco è completato da cinque arie da camera.
Sono belle e ben eseguite, ma non ho la sensazione che la Lubin ci si muova con eccessiva disinvoltura, forse per mancanza di affinità.
In conclusione, disco indispensabile per comprendere una tappa fondamentale dell’evoluzione soprattutto del canto wagneriano.
Ma se volete la vera gemma, quella che vi sballerà, cercatela nel “Vissi d’arte”
Pietro Bagnoli