Giovedì, 18 Aprile 2024

Les Martyrs

Aggiunto il 21 Aprile, 2016


Gaetano Donizetti
LES MARTYRS
Opera in quattro atti (1840)
Libretto di Eugène Scribe
Edizione critica a cura di Flora Wilson, edita da Casa Ricordi S.r.l



• Pauline JOYCE EL-KHOURY
• Polyeucte MICHAEL SPYRES
• Sévère DAVID KEMPSTER
• Félix BRINDEY SHERRATT
• Callisthènes CLIVE BAYLEY
• Néarque WYNNE EVANS

Opera Rara Chorus
Maestro del coro: Stephen Harris

Orchestra of the Age of Enlightenment
Direttore: Sir Mark Elder

Luogo e data di registrazione: Studio, St Clement’s Church, Londra, ottobre/novembre 2014
Edizione: Opera Rara (3 CDs - time 77:21 + 74:01 + 36:50)

Note tecniche sulla registrazione: eccellente, molto brillante per sonorità e spazialità. Una domanda è comunque opportuno porsela: perchè Opera Rara non passa a registrazione SACD?

Pregi: Spyres e El-Khoury autentica coppia eroica. Una registrazione molto attendibile di quello che era il fasto dell’Grand-Opéra al tempo dei compositori italiani a Parigi. Come sempre splendida linea editoriale di Opera Rara
Difetti: nessuno da penalizzare gravemente lo svolgimento dell’esecuzione. Se proprio si vuole trovare un appunto, Brindey Sherratt non riesce a stare allo stesso passo di Spyres e El-Khoury.

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo-eccezionale.png


Les martyrs fu l’opera con cui Gaetano Donizetti intraprese un nuovo corso nella propria produzione proponendo per la prima volta un “Grand-Opéra” in lingua francese. La prima esecuzione, avvenuta il 10 aprile 1840, rappresentò anche una fondamentale tappa per l’opera italiana ovvero una prima esecuzione di un Grand-Opéra da parte di un autore italiano al Théâtre de l'Opéra parigino. Sebbene Donizetti avesse aspirato all’approdo all’Opéra durante l’intera sua carriera, aspirazione maturata sulla scia del Guillaume Tell (1829), fu solo l’incontro con un grande personaggio francese del teatro musicale del tempo a introdurre il compositore nel mondo del Grand-Opéra: Adolphe Nourrit, conosciuto a Venezia in occasione delle prime recite di Maria de Rudenz (1838).
Il grande tenore era in una fase di riscatto della propria vita artistica, ormai sulla strada del declino ed eclissato da nuovi cantanti quali per esempio Gilbert Duprez che divenne il nuovo primo tenore dell’Opéra e a cui fu affidato di fatto il ruolo che prima aveva Nourrit. Pare fu Nourrit stesso a proporre a Donizetti e Cammarano l’idea di un’opera basata sul Polyeucte di Corneille da proporre al teatro San Carlo di Napoli. Il tenore, che era uomo di fine e sensibile cultura, collaborò attivamente alla stesura del libretto e la prima dell’opera si sarebbe dovuta eseguire nel 1838 ma la censura dello stato borbonico non approvò un’opera con di tematiche sacre in un teatro, cosicchè la prima rappresentazione venne cancellata nonostante la prova generale avesse già avuto luogo, con protagonisti Giuseppina Ronzi de Begnis, Paul Barroilhet e lo stesso Nourrit. Purtroppo quest’altra delusione in ambito professionale gettò il grande tenore in un profondo stato di depressione e Nourrit si suicidò gettandosi da una finestra del suo albergo di Napoli l’8 marzo 1839.
A quel punto Donizetti pensò di riutilizzare la partitura e, lavorando con il più grande librettista francese del tempo ovvero Eugène Scribe, presentò al pubblico dell’Opéra una versione in quattro atti del dramma incentrato sulle vicende dei martiri armeni. Destino della sorte volle che il ruolo principale venne affidato proprio a Duprez, accerrimo rivale di Nourrit che di fatto aveva creato questo entusiasmante protagonista tenorile.

Sarà bene presentare la trama dell’opera, partendo dall’antefatto. L’Armenia è stata conquistata da Roma e il cristianesimo è una religione bandita. Pauline era innamorata del generale romano Sévère ma è dato per caduto in battaglia. La ragazza è quindi stata obbligata dal padre Félix a sposare Polyeucte.
Il primo atto si svolge nelle catacombe dove i cristiani si ritrovano per celebrare un battesimo (coro “O voûte obscure, o voûte obscure”). Si incontrano dunque Polyeucte, neofita e principale magistrato di Mélitène, e l’amico Néarque. Quest’ultimo si interroga circa l’inconciliabilità tra la nuova fede dell’amico e quella della moglie Pauline. Polyeucte lo rassicura: quando la moglie era molto malata, gli dei pagani non si sono palesati ma il Dio cristiano ha dato prova che anche Pauline sarebbe stata prima o poi convertita (aria “Que l'onde salutaire”). I due amici si recano quindi al rito battesimale ma vengono interrotti da un’annuncio: stanno arrivati i soldati romani. Allora i cristiani si nascondono. Arriva quindi Pauline per pregare sulla tomba della madre, offre un sacrificio e, insieme a un gruppo di ragazze che l’accompagna, canta un inno a Proserpina. Quindi viene lasciata sola e la ragazza ricorda la madre defunta (aria “Toi, qui lis dans mon coeur, ô ma mere!”). Nella sua preghiera cerca di trovare un equilibrio tra l’amore per la madre e quello per il marito, ma viene interrotta dal canto dei cristiani (coro “O toi, notre père, qui règnes sur terre, comme dans les cieux”). Appena il coro finisce entra Polyeucte ed è sorpreso di trovare Pauline, la quale lo è a sua volta di incontrare il marito. Egli proclama la fede cristiana, ma la moglie rimane scettica e in ogni caso scongiura Polyeucte di abbandonare la sua fede. Il marito rifiuta ma Pauline lo incalza: se non abiurerà riferirà ogni cosa al padre. Polyeucte allora chiede la misericordia divina mentre Pauline gli chiede di tacere la propria fede in un appassionato duetto. L’atto si chiude con un coro: uno spietatissimo proconsole sta arrivando a Mélitène.
Nella prima scena del secondo atto facciamo la conoscenza di Félix che, nel suo studio, ordina ai propri segretari di trascrivere l’ordine di condanna a morte per i cristiani (aria: "Dieux des Romains”). L’editto è letto anche alla figlia non appena entra in scena, la quale trema e si abbandona in stato d’angoscia. Suo padre se ne accorge e le chiede se per caso il marito sia causa di un amore infelice. Pauline dichiara di aver amato Sévère, ma ormai ha completa devozione per il marito che il padre le ha dato. La conversazione viene interrotta dal suono di una banda militare: compare il sacerdote Callisthènes che annuncia l’arrivo di Sévère. A questa rivelazione Pauline e Félix rimangono sconvolti. Pauline riesce a nascondere a fatica i propri sentimenti prima di fuggire (aria: “Sévère existe! Un dieu sauveur”). La seconda scena si apre sulla piazza principale: la folla si è radunata per assistere all’ingresso trionfale del proconsole (coro: “Gloire à vous, Mars et Bellone! Gloire à toi, jeune héro!”). Sévère fa un ingresso spettacolare accompagnato da legioni romane, vessilli, ballerine, suonatori (aria: “Amour de mon jeune âge”). Per lui si svolge svolge uno spettacolo di gladiatori, seguito da ogni sorta di danze. Il proconsole giura di difendere l’Armenia dal flagello cristiano e rivela che l’imperatore gli ha donato quella terra e lui desidera sposare Pauline. Entra la sua amata accompagnata da Polyeucte che viene presentato come suo marito. Sconvolto e furibondo, Sévère riflette sull’amore perduto (cabaletta: “Je te perds, toi que j'adore, je te perds et sans retour”). La scena culmina con l’ingresso di Callisthène che rivela che un altro battesimo è stato celebrato. Cala la tela mentre Pauline intima a Polyeucte di mantenere il silenzio e i seguaci di entrambe le religioni invocano aiuto ai poteri divini.
Anche il terzo atto è suddiviso in due scene. All’apertura della prima troviamo Pauline sola nella propria stanza da letto che invoca l’aiuto degli dei (aria: “Dieux immortels, témoins de mes justes alarmes”). Entra Sévère (aria: “En touchant à ce rivage, tout semblait m'offrir l'image, d'un jour pur et sans nuage”) e, nel duetto che segue, Pauline invoca l’antico amante per dimenticare il loro amore passato. Sévère la saluta quindi con un addio. Entra quindi subito Polyeucte, il quale annuncia che si sta per compiere un grande sacrificio in onore del proconsole. Pauline chiede al marito di accompagnarla alla cerimonia; l’uomo rifiuta ma le dice di amarla quanto il suo nuovo Dio. Per quanto però sia pronto al martirio non riesce a sopportare le lacrime della moglie (aria: “Mon seul trésor, mon bien suprême”). Entra Félix: Néarque nasconde il nome del neofita e per questo sarà giustiziato al tempio. Ora Polyeucte cambia idea e vuole partecipare alla cerimonia; quando padre e figlia escono, dichiara di condividere il destino dell’amico (aria: “Oui, j'irai dans leurs temples”). La seconda scena mostra Callisthènes e i sacerdoti che escono dal tempio, cantando un inno (coro: “Dieu du tonnerre, ton front sévère émeut la terre, et fait aux cieux trembler les dieux!”). Viene quindi presentato Néarque, che viene interrogato nuovamente sull’identità del neofita. Egli tace il nome mentre arriva Polyeucte che si proclama di essere il misterioso fedele. La scena si conclude tra le escalamazioni d’ira dei sacerdoti, la disperazione di Pauline e la rinnovata professione di fede del protagonista. Félix intima Polyeucte: se vuole vivere deve riconoscere gli dei pagani, il quale però riufita, scegliendo una morte gloriosa e luminosa da cristiano (concertato finale).
L’ultimo atto è tripartito. Inizialmente troviamo Félix che, nelle sue stanze, tenta di essere persuaso da Pauline ad avere misericordia e graziare Polyeucte ma il padre non cede: ormai Polyeucte è stato condannato dall’imperatore in persona e Sévère dovrà eseguire l’ordine. Entra proprio quest’ultimo dicendo che il popolo attende la morte di Polyeucte. Pauline si rivolge anche a Sévère supplicandolo di salvare il marito. Sévère accetta di difendere Polyeucte ma Félix rimane insensibile e ripete che è disposto a perdonare il neofita qualora abiurasse la fede cristiana. Pauline allora va a cercare il marito sperando di convincerlo a rinnegare la propria fede. Nella seconda scena Polyeucte, nei sotterranei ove attende l’esecuzione, sogna di essere unito con Pauline in paradiso (aria: “Réve delicieux dont mon âme est émue, c'était Pauline!”). Entra la moglie e giura di salvarle la vita: Polyeucte risponde che sarà lui a salvarle l’anima (aria di Pauline: “Pour toi, ma prière, ardent et sincère”). I due punti di vista paiono inconciliabili finchè il marito invoca l’intervento divino. Pauline ha delle visioni, si infervora e dichiara di voler condividere la nuova fede e il destino del marito (cabaletta a due: “O sainte mélodie! Concerts harmonieux”). Siamo alla scena finale. Félix, Sévère e i sacerdoti attendono nel gremito anfiteatro l’ingresso dei cristiani. Félix nota che però che Pauline non è ancora tornata dall’incontro con il marito ma cede all’impazienza di Callisthènes: che i cristiani siano dati in pasto ai leoni. Félix e Sévère vedono con orrore Polyeucte entrare nell’arena sottobraccio con Pauline. La donna ripete di voler morire da moglie fedele e da cristiana. Anche gli altri cristiani sono portati nell’arena e, mentre i sacerdoti dichiarano morte agli empi, i cristiani ripetono il loro volere di morire piuttosto che abiurare la propria fede. Giungono i leoni mentre cala il sipario.

Poliuto preparato per il pubblico di Napoli era un’opera che seguiva i gusti e le mode dell’opera italiana, che erano completamente diverse da quelli richiesti dal pubblico parigino, e per di più da quello dell’Opéra. Donizetti dovette dunque pensare di apporre molte modifiche all’opera che aveva già preparato. Innanzitutto bisognava pensare al libretto in lingua francese, ma a questo in realtà aveva già pensato l’impresario parigino: quando Donizetti controfirmò il contratto per due opere da mettere in scena all’Opèra (25 maggio 1838), già era incluso nell’accordo che l’autore dei testi sarebbe stato Eugène Scribe, il più acclamato e geniale librettista francese dell’epoca. Donizetti quindi pensò di fargli riadattare il Poliuto per soddisfare la prima opera, mentre per la seconda pensò a Le duc d’Albe, che rimarrà però un capolavoro incompleto.
La prima cosa a cui dovette pensare Donizetti erano due momenti obbligati che un Grand-Opéra doveva avere: una corposa ouverture e una sezione di danze. Per l’ouverture Donizetti si rifà a un espediente già utilizzato da Rossini in Zelmira: inserire nella parte finale del brano meramente sinfonico il coro d’attacco dell’opera. In questo modo l’ouverture veniva a essere maggiormente integrata nel dramma, dando un’idea di maggiore unità e compattezza. Per quanto riguarda invece i balletti, Donizetti inserì tre danze che compongono un momento metateatrale in quanto esse vengono rappresentate come fossero un omaggio al proconsole Sévère (atto 2, scena II).
Vi sono poi delle accomodazioni che Scribe e Donizetti han dovuto fare: i ruoli di Sévère e Félix vengono notevolmente espansi rispetto alla versione napoletana, inoltre il ruolo paterno viene portato da secondo tenore comprimario a primo basso profondo. Altra decisione sicuramente importante venne presa riguardo il ruolo di Polyeucte: la parte per la versione italiana era stata pensata per le qualità vocali di Nourrit il quale non aveva un’estensione superiore al La, mentre ora Donizetti si trovava come protagonista Duprez, che era diventato famoso per l’”invenzione” del do di petto, la cui tessitura poteva spingersi fino al fa diesis tramite l'uso del falsetto e aveva quindi una vocalità completamente differente da quella di Nourrit.
Donizetti poi si trovò obbligato a spostare alcuni brani, specialmente le arie, in altri luoghi dell’opera e Scribe da parte sua era disposto a modificare i testi in modo che si adattassero alla musica esistente. Inoltre, dato che il Grand-Opéra doveva avere dimensioni pachidermiche, i due dovettero altresì pensare di portare l’opera da tre a quattro atti e questo comportava che nuovo materiale (sia testuale sia musicale) avrebbe dovuto essere scritto ex-novo, in particolare si sarebbe dovuto espandere il primo atto e adattare l’inizio del secondo.
William Ashbrook, il più grande studioso e biografo donizettiano della modernità, ci fornisce anche un bel panorama di quelle che son state le modifiche riportate nel corso della revisione. Innanzitutto Ashbrook pensa che anche la trama sia in realtà stata impattata perchè ne Les martyrs non si riscontra la gelosia di Poliuto nei confronti del proconsole che era tipica della versione napoletana. Infatti nell’opera per Parigi, Donizetti si rifà maggiormente al dramma originale di Corneille.
Quello che era il primo atto del testo di Cammarano viene diviso in due nuovi atti, aggiungendo materiale, tra cui nuova musica per l’originale aria di Paolina, “Di quasi soave lagrime”. Ne Les martyrs la donna infatti non segue il marito nelle catacombe, ma si trova già lì per pregare sulla tomba della madre affinchè si smorzi il suo antico amore per il proconsole (aria: “Qu'ici ta main glacée”). L’atto primo viene quindi esteso, aggiungendo un magnifico terzetto finale in cui la coppia di coniugi è sostenuta anche dal canto di Néarque e dal coro di cristiani.
Il secondo atto de Les martyrs è aperto da una scena che viene ingigantita, in modo che possa contenere due arie di Félix quale basso principale. Inoltre viene spostata a questa scena l’aria di Pauline “Sévère existe” che nella versione napoletana chiudeva il primo atto. La seconda scena del secondo atto racconta dell’arrivo di Sévère ed essa è spostata dall’orginale scena 2 del primo atto e viene incluso quindi il balletto. Ashbrook nota per altro che la seconda aria del proconsole (“Je te perds que je t'adore”) è l’unica aria recuperata dalla prima versione che passa dall’essere una semplice cabaletta per baritono a un interessante incrocio tra aria e finale.
Il terzo atto è pressochè equiparabile al secondo atto di Poliuto, con l’eccezione che l’aria originale di Poliuto (“Fu macchiato l'onor mio”) viene rimpiazzata dalla cavatina “Mon seul trésor” e cabaletta “Oui, j'irai dans les temples”. Essendo che la gelosia non è più un impeto che muove i personaggi, questo materiale suona con un effetto completamente diverso, con accento maggiormente eroico. Inoltre questo nucleo musicale rispecchia appieno le modifiche compiute da Donizetti per avvicinare la parte di Polyeucte alle abilità vocali di Duprez, in quanto viene indicato in partitura addirittura il Mi acuto.
Il quarto atto prevede due modifiche abbastanza sostanziali. La prima si ha all’apertura dell’atto in cui l’aria con coro di Callisthène viene sostuita da un più pregnante terzetto per Félix, Sévère e Pauline. Questo brano fa sì che la parte di Pauline divenga ben più complessa, lunga e ardua per l’interprete. Il secondo punto è stato in alcune modifiche delle ultime due scene, espandendo quasi del doppio l’apertura del corale finale.
Les martyrs videro così la luce all’Opéra il 10 aprile 1840, con appunto Gilbert Duprez quale Polyeucte e Julie Dorus-Gras in quello di Pauline, famosa per aver creato i ruoli femmili di La Juive, Les Huguenots e Benvenuto Cellini. Dopo la prima vi furono venti riprese tra la stessa stagione e quella successiva. Leoni, templi, grandi anfiteatri, battaglie, danze greche e romane: il pubblico parigino non poteva chiedere di meglio per i fasti del Grand-Opéra. In ogni caso non fu un successo condiviso perchè vi furono due fazioni di critiche: chi amava l’opera italiana e pensava che il lavoro di Donizetti fosse un capolavoro, e chi invece era inorridito da come era stato trattato un Grand-Opéra, per altro basato su una precedente versione italiana. Tra quest’ultimi vi era Berlioz, che era disgustato da come gli autori italiani (principalmente Bellini e Donizetti) stavano avendo il sopravvento sui palcoscenici parigini. Il compositore francese si limitò a definire Les martyrs come un “credo in quattro atti”. In ogni caso le venti repliche non possono definirsi un fallimento, anche se certo non possono competere con la popolarità di altre opere donizettiane a Parigi (per esempio Lucia o L’elisir). Donizetti stesso era molto soddisfatto dal proprio lavoro e del successo ottenuto; lasciò poi Parigi intorno al 7 giugno per raggiungere Roma. Nella capitale della nostra penisola presenterà, nel 1843, la prima versione italiana del Grand-Opéra, rinominata Paolina e Poliuto. Poi il titolo verrà modificato in Paolina e Severo, in occasione di una rappresentazione del 1849, fino al definitivo I martiri. A quanto pare il più conciso Poliuto resistette meglio ai tempi e fu ripreso senz’altro maggiormente, fino praticamente a inaugurare la Donizetti Renaissance con il celeberrimo spettacolo allestito nel 1960 alla Scala con Maria Callas, Franco Corelli, Ettore Bastianini, Nicola Zaccaria, Piero De Palma e diretto da Antonino Votto.
La prima esecuzione moderna de Les martyrs avvenne in forma di concerto a Londra il 23 gennaio 1975 (Félix : John Tomlinson, Pauline: Lois McDonall, Polyeucte: Ian Thompson, Sévère: Terence Sharpe; direttore: Leslie Head). Ashbrook menziona anche una ripresa alla Fenice nel 1978, che dovrebbe essere stata registrata. Altre riprese furono a Nancy (1996) e Reggio Emilia (1997).

Arriviamo dunque alla registrazione in oggetto. Les martyrs è stata data in forma di concerto il 4 novembre 2014 alla Royal Festival Hall di Londra, sposorizzata da Opera Rara e dalla Peter Moores Foundation che farà frutto di quell’esecuzione dal vivo per registrare l’opera in studio. Come sempre accade per i prodotti di questa beneamata casa editrice stiamo parlando di una registrazione di una edizione critica portata a termine da Flora Wilson (del King's College, Cambridge e pubblicata da Ricordi), che è anche autrice di uno dei due saggi contenuti nel libretto accompagnativo, nel quale afferma anche che la versione proposta recupera anche anche parti (in particolare il terzetto che chiude il secondo atto) che vennero omesse nella prima esecuzione del 1840 e che quindi sono state eseguite per la prima volta nel 2014. Inoltre c’è da dire che come al solito la veste editoriale dei cofanetti Opera Rara è impeccabile, molto accurata sia nella sostanza sia nell’estetica.
L’esecuzione è sicuramente quanto meglio possa essere offerto oggi per quanto riguarda questo titolo e mostra più di un motivo d’interesse.
La direzione di Mark Elder riesce ad avvicinare molto la partitura a quanto stava musicalmente accadendo negli anni ’40 dell’Ottocento, dandone una lettura protoromantica, quasi risorgimentale, a tratti molto simile alle sonorità delle opere del primo Verdi ma non scordando per altri la lezione rossiniana. Il direttore inglese enfatizza alcune volte troppo sui passaggi più militareschi dell’opera, ma comunque c’è da dire che non perde mai cura nel dettaglio, soprattutto perchè l’orchestrazione di quest’opera di Donizetti è superlativa. Riesce per altro a rendere perfettamente melodrammatica e teatrale quest’esecuzione anche senza essere coadiuvato dall’allestimento registico. Dal canto suo, utilizzando strumenti d’epoca, l’“Orchestra of the Age of Enlightenment” lo segue alla perfezione. Donizetti aveva orchestrato Les martyrs utilizzando un’orchestra veramente mastodontica per l’epoca: circa una sessantina di archi, accompagnati da coppie di fiati ma con quattro fagotti, quattro suonatori per ciascuna tipologia di ottone e con l’aggiunta del poderoso oficleide, senza poi contare la banda sul palcoscenico, le percussioni e due arpe.
Celeberrima era nell’Ottocento l’ouverture per i due temi principali: il primo, con il quale si apriva il brano strumentale, è una sezione di ventisei battute per i quattro fagotti e corni dall’andamento solenne e nobiliare; il ritmo poi si infiamma e si passa a un allegro deciso, tema quest’ultimo che ritornerà più volte nel corso dell’opera e verrà affidato a Polyeucte nei suoi momenti più eroici (per esempio alla fine del primo atto quando viene scoperto da Pauline oppure ancora nel quarto quando ormai è prossimo al martirio). Seppure forse un po’ troppo sonora, questa pagina musicale è resa estramamente teatrale da Elder e superbo è l’ingresso del coro maschile alla fine dell’ouverture. Altrettanto interessanti le danze del secondo atto, di cui il direttore inglese riesce a dare una lettura colorita, attenta e variopinta, facendo emergere tutte le sonorità più inusuali per una partitura italiana dell’epoca, come per esempio i timbri orientaleggianti del terzo movimento. Impressionante è poi la resa del brano di musica “romana” che apre il quarto atto che, seppure trattasi di una pagina in cui Donizetti vuole rifarsi alle sonorità della musica “preistorica”, Elder tratta sempre con nobile espressione e mai cade nell’essere rude e sgraziato.
Oltre a una compagine molto compatta e affiatata, l’“Orchestra of the Age of Enlightenment” mostra anche di avere ottimi solisti. A questo proposto, veramente emozionanti sono il solo abbastanza arduo del clarinetto che apre la preghiera di Pauline presso la tomba della madre (atto I) e la scena nella stanza della donna, accopagnata da un tappeto sonoro dei corni sui quali un delizioso flauto e di nuovo un clarinetto si appoggiano per intrecciarsi in sinuose frasi musicali, specchio delle paure e passioni che animano Pauline.
Anche il coro è veramente superlativo e riesce a tratteggiare i due volti principali richiesti alle masse vocali: da un lato riesce a essere intimo, suadente, estremamente amalgamato e religiosamente riflessivo quando incarna i fedeli cristiani; dall’altro si atteggia tumultuoso, spavaldo, arrogante ed esuberante quando deve dare volto ai pagani e ai loro sacerdoti.
I due protagonisti sono semplicemente quanto meglio si possa avere oggi nelle loro rispettive parti. Michael Spyres è un Polyeucte veramente eroico e superbo, che dimostra di soggiogare al meglio tutto il registro vocale. Strabiliante e impressionante è la resa della cabaletta che chiude la prima scena del terzo atto, (“Oui, j'irai dans leurs temples”) in cui riesce a controllare perfettamente uno straordinario Mi3 per poi scendere immediatamente con salto d’ottava. Spyres mostra un’impeccabile elasticità vocale, timbro magari non perfettamente morbido ma sicuramente suadente. Inoltre, da grande belcantista, è un puro fraseggiatore, molto attento anche a tutte le dinamiche che vanno da pianissimo a un forte davvero eroico. La parte è inoltre molto lunga e impegnativa, a cavallo tra i nuovi stili vocali che si stavano rimodellando in quegli anni: è un Donizetti che guarda già molto in avanti, ma con ben presente anche il Rossini serio.
Spyres è accompagnato anche da una superlativa Pauline: Joyce El-Khoury. Il soprano canadese sfoggia un bellissimo timbro, flautato e setato in alto, brunito e pieno nelle molte note richieste nel registro più grave. A tratti pare di ricordare una giovane Fleming belcantista. Anche la El-Khoury deve fare i conti con una parte davvero impervia, massacrante nella sua lunghezza, soprattutto perchè Scrive e Donizetti rividero il famoso terzetto nella quale il soprano è veramente impegnato al massimo. Lo strumento della El-Khoury è veramente potente, forse più adatto a brani lirici e meditativi (per esempio l’aria di sortita presso la tomba della madre) rispetto ai passaggi più d’agilita e meramente belcantistici, sebbene se la cava davvero bene in “Sévère existe”.
Punto forte però della registrazione e scena veramente magistrale è il duetto con Polyeucte, cuore del quarto atto e centro pulsante dell’intera opera. Questo è un vero capolavoro per come la El-Khoury e Spyres trattano i personaggi e per come sono assecondati dall’orchestra. Interessante è anche il duetto in stile pienamente donizettiano tra la protagonista e Sévère nel terzo atto. Però Sévère è interpretato da David Kempster che si dimostra però il punto debole del cast, anche se non è facile sopravvivere a fianco di due cantanti come El-Khoury e Spyres. Kempster non ha nè uno strumento dal timbro accattivante nè doti da belcantista, mentre se la cava veramente bene nei puri declamati e nei momenti maggiormente drammatici. Anche l’interpretazione del personaggio è abbastanza elementare.
Brindley Sherratt come Félix riesce a essere sempre elegante e vocalmente molto piacevole, senza mai cadere nel grezzo che il ruolo potrebbe far indurre a credere; un esempio lo si ha da come tratta la sua aria del secondo atto, “Dieux des Romains”, dove il suo ruolo di padre e comandante è sottolineata dalla vocalità assolutamente nobiliare, solo a tratti leggermente aspra nelle note più acute. Anche il Callisthènes di Clive Bailey offre una buona musicalità, imperiosa e profonda nella tessitura più grave e ottimo è il contributo nella seconda scena del terzo atto. Wynne Evans è Néarque, che interpreta con buon squillo eroico e ottima interpretazione del ruolo del martire.
La pronuncia francese di tutti è sicuramente molto buona, con punte di eccellenza per El-Khoury (che è madrelingua), Spyres e Kempster.

Un altro documento Opera Rara che assolutamente non deve essere perso da tutti quanti sono interessati a conoscere le fasi dell’evoluzione sia del repertorio belcantista sia di quello del Grand-Opéra.

Fabrizio Meraviglia

Categoria: Dischi

 

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