Gianni Schicchi
Aggiunto il 06 Agosto, 2012
Dei tre pannelli di questo allestimento, il “Gianni Schicchi” è l’unico non originale, essendo già stato presentato nel 2007 e nel 2009, sempre al Covent Garden e sempre con Pappano, in accoppiata con “L’heure espagnole” di Ravel.
In effetti lo spettacolo era stato pensato per le spalle possenti e per le capacità istrioniche di Bryn Terfel che, con la sua presenza e con la sua (allora) onnipotente voce, componeva un personaggio di straordinaria forza e violenza esecutiva. Nel 2009 Schicchi era stato interpretato da un altro geniale istrione come Thomas Allen, e anche allora il risultato fu intrigante.
Adesso arriva a Lucio Gallo: dire che non sfigura del tutto al paragone con questi due mostri sacri, è già molto.
Certo, la voce non ha la varietà di colori, di armonici e il fulgore di quella di Terfel di quegli anni; certo, l’interprete – pur seguito amorevolmente da Jones e da Pappano – non può vantare l’istrionismo brado dei predecessori, in particolare ovviamente il primo.
Eppure, una volta scelta la strada di esaltare l’aspetto popolano e un po’ cialtrone del personaggio, Gallo trova una sua dignità e ragion d’essere che, anche se forse non gli assicureranno il posto d’onore nella schiera degli interpreti di questo ruolo, comunque gli garantiscono una ragionevole visibilità.
Il suo personaggio non è il solito azzeccagarbugli rusé; è piuttosto figlio di quel Metello di Vasco Pratolini che, col suo essere presenza “felicementa importuna” nella storia della nostra Letteratura, riesce meglio di chiunque altro a raccontare l’umanità della Firenze di fine Ottocento.
In verità la Firenze in cui Jones ricolloca la vicenda è quella del boom italiano di fine Anni Cinquanta (guarda caso, quella in cui Pratolini scrive il suo libro); e Gianni Schicchi è un meccanico che fuma il toscano, che gira in canottiera, che crea un contrasto immediato e stridente con i mantenuti della famiglia Donati.
Certo, il canto è quello che è, ma non è diverso da quanto siamo abituati ascoltare da Gallo. Oltre a tutto, la vocalità di Gianni Schicchi non richiede particolari doti belcantistiche. Infine, non è da escludere che il personaggio gli vada più a genio di Michele del Tabarro in cui, invece, non finisce per piacerci.
Complessivamente quindi il risultato è più che soddisfacente, pur senza essere memorabile.
Al suo fianco il cast è funzionale in tutte le sue parti, con l’eccezione di Francesco Demuro che non finisce per piacerci nei couplets di Rinuccio. Brava invece la Lauretta di Ekaterina Siurina, brava la veterana Zilio nei panni della vecchia Zita, divertenti il vecchio Gwynne Hovell come Simone e Marie McLaughlin che, con la Ciesca, dimostra di essere sempre più portata alle parti di carattere con spessore comico