Venerdì, 19 Aprile 2024

Meistersinger

Aggiunto il 18 Giugno, 2009


RICHARD WAGNER
I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA

 Hans Sachs PAUL SCHÖFFLER
 Veit Pogner FRIEDRICH DALBERG
 Kunz Vogelgesang BENNO ARNOLD
 Konrad Nachtigall HELMUT FEHN
 Sixtus Beckmesser ERICH KUNZ
 Fritz Kothner FRITZ KRENN
 Balthasar Zorn GERHARD WITTING
 Ulrich Eisslinger GUSTAV RÖDIN
 Augustin Moser KARL KROLLMANN
 Hermann Ortel HERBERT GOSEBRUCH
 Hans Schwarz FRANZ SAUER
 Hans Foltz ALFRED DOME
 Walther von Stolzing LUDWIG SUTHAUS
 David ERICH WITTE
 Eva HILDE SCHEPPAN
 Magdalene CAMILLA KALLAB
 Un guardiano notturno ERICH PINA

Chor der Bayreuther Festspiele
Chorus Master: Gerhard Steeger

Orchester der Bayreuther Festspiele
HERMANN ABENDROTH

Luogo e data di registrazione: Bayreuth, 16/8/1943

Edizione discografica: Preiser, Myto Historical Line, 4 CD (economici nella versione Myto)

Note tecniche: ancora un ottimo riversamento tedesco

Pregi: direzione e Schöffler

Difetti: soprattutto Suthaus, ma anche Scheppan

Giudizio complessivo: images/giudizi/discreto-buono.png

In quegli anni bui che stavano portando la Germania di Hitler alla disfatta, la musica wagneriana faceva ancora gioioso accompagnamento alla vanagloria del Fuhrer e dei suoi gerarchi in processione al Colle, accolti da Winifred come testimonia un prezioso filmato conservato su Youtube.
Ora, anche ai nostri tempi che hanno rivisto accuratamente tutto ciò che è successo in quegli anni alla luce dei passi fondamentali della Storia, non è probabilmente nemmeno immaginabile cosa significasse cantare a Bayreuth l’incrollabilità della Sacra Arte Tedesca di fronte alla tangibile caduta di tutte le certezze precostituite, e per di più dopo che in tutti gli anni precedenti al popolo tedesco Hitler e il ministero della propaganda avevano annunciato in lungo e in largo tutti i trionfi che non si sarebbero verificati: e l’applauso estasiato che saluta la perorazione finale di Schoeffler è quello di un popolo che comincia a presentire il proprio destino e sceglie di attaccarsi a tutto il poco che può salvare dalla disfatta.
In quel 1943, nella roccaforte del Colle, nei Meistersinger si alternavano come direttori Furtwaengler e Abendroth, ognuno a capo di due cast diversi: Furtwaengler dirigeva Jaro Prohaska, Eugen Fuchs, Maria Muller, Josef Greindl e Max Lorenz e la sua performance è pubblicata su dischi Walhall. La Myto Historical Line ha invece scelto di pubblicare quella di Abendroth, un po’ meno rilevante quanto a peso complessivo di cast, ma con un asso importante nella manica: Paul Schoeffler nel title-role, vale a dire una di quelle identificazioni talmente profonde da sfiorare la simbiosi.
È lui che si carica la recita in spalla e la porta a casa. Nato a Dresda nel 1897, a quel punto ha 46 anni ed è nel pieno della sua maturità di artista. Qui probabilmente è testimoniata la sua migliore recita come Hans Sachs: estrema fluidità dell’emissione, matura e piena come un bel whisky di malto torbato delle brughiere scozzesi; espressione piena ed eloquente; dialogo ricco di humour e di buon senso, come ci si aspetta da questo meraviglioso personaggio. Se proprio volessimo andare a cercare il pelo nell’uovo, l’unico aspetto che varrebbe la pena di rilevare a suo debito è che tutto sommato questa interpretazione è un po’ troppo prevedibile: è talmente perfetto, talmente a posto, ogni accento ha la sua giustezza e il suo equilibrio che, insomma, ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da un Vecchio Saggio di questa fatta? Potrebbe, questo Sachs, decidere di fare uno scherzaccio a Beckmesser per un gesto di pura cattiveria? Potrebbe questo Sachs, per esempio, nutrire verso Eva qualche sentimento diverso dall’amore paterno? Assolutamente no: è un vecchio vedovo molto saggio, che vive solo per la Sacra Arte Tedesca e, tutt’al più, per qualche piccola burla innocente verso i colleghi Maestri più rompiballe, quelli cioè che si prendono un po’ troppo sul serio e si mettono di traverso ai suoi protetti. Ma a parte queste considerazioni, questo Sachs di Schoeffler è, come dicevamo, una meraviglia: l’autorità morale si sposa alla perfezione con la piena consapevolezza dell’Artista nel pieno della sua maturità. E così avremo non solo la perfezione nella resa dei momenti solistici (in particolare la perorazione finale a favore della Sacra Arte Tedesca che, su quel palcoscenico e in quel particolare momento storico, è un momento che mette letteralmente i brividi per la veemenza di chi si attacca all’unico valore ancora difendibile di fronte alla disfatta), ma anche la bellezza di tutto il terzo atto, in particolare nella lezione di canto e di stile che il vecchio Sachs impartisce a quello zuccone di Walther.
Il quale Walther è qui cantato – si fa per dire – dall’improponibile Ludwig Suthaus, uno che sta alla Poesia come il sottoscritto allo sport: praticamente uno spettatore. Per trovare un altro tenorastro così negato alla dolcezza d’emissione, alla pulizia, alla forbitezza dell’eloquio, bisogna risalire al quasi coevo Seider, testimoniato dal live (?) del 1944 a Vienna, diretto da Karl Boehm, a dimostrazione che non sempre tutto ciò che ci viene dal passato è meglio della nostra realtà presente. Nulla del canto di Suthaus è evocativo: il mondo di Walther von Stolzing gli è completamente estraneo. Emissione dura, cupa, profonda, catramosa, per quanto appena più fresca di quella che farà sentire negli anni seguenti, ma comunque lontana le mille miglia da quello che si potrebbe desiderare in questo ruolo; gli acuti, poi, non sono mai stati il suo forte e non sono particolarmente belli nemmeno qui.
Sulla scia di Walther si accoda il resto del cast, complessivamente affidabile ma senza particolari voli.
La Scheppan, per esempio, non è una scelta particolarmente interessante: l’emissione è quella tradizionale di una Eva old style, ancorata ai criteri con cui si esprimevano tutte le interpreti di quel ruolo a quel tempo.
Tradizionalissimi anche Kunz, un Beckmesser sapidissimo ma anche ricco di gigionate alcune delle quali di lana piuttosto caprina, e Witte che, come da abitudine, è il Mime di riferimento dell’epoca.
Dalberg mette in campo il proprio vocione nero per dar corpo alle serene riflessioni di papà Pogner; Fritz Krenn è un onesto e professionale Kothner; e nel complesso bene i Maestri che fanno ala alla Grande Star Schoeffler.
Solida e affidabile la direzione di Abendroth, che celebra il rito dell’opera più amata dal Regime con adeguato languore e senso di nostalgia per un momento che sta terminando: e, al di là della pur splendida prestazione di Schoeffler, è forse la consapevolezza di questo dato storico, ben percepito dal pubblico presente in sala, quello che rende più interessante l’ascolto di questi dischi anche ai nostri giorni

Categoria: Dischi

 

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