Venerdì, 19 Aprile 2024

Sonnambula

Aggiunto il 19 Dicembre, 2007


V. Bellini (1801-1835)

La sonnambula

Personaggi ed interpreti

 Amina NATALIE DESSAY
 Elvino FRANCESCO MELI
 Il Conte Rodolfo CARLO COLOMBARA
 Teresa SARA MINGARDO
 Lisa JAËL AZZARETTI
 Alessio PAUL GAY
 Un notaro GORDON GIETZ

Choeur dell’Opèra de Lyon
Chorus Master: Alan Woodbridge

Orchestre de l’Opèra de Lyon
EVELINO PIDÒ

Luogo e data di registrazione: Lyon, Novembre 2006
Ed. Virgin Classics, 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: ottima

Pregi: Dessay

Difetti: prestazione tenorile perfettibile

Valutazione finale: images/giudizi/buono-ottimo.png

C’è una cert’aria di provvisorio in questa registrazione che si ascolta complessivamente con piacere, ma che comunque al termine ci lascia alquanto freddini, più per la cornice che per il reale contenuto del quadro, che è – si capisce – la protagonista.
In realtà, non c’è quasi nulla che non sia al suo posto: Pidò dirige con entusiasmo e bel piglio; Meli canta e fraseggia con molta voglia di ricavare tutto il possibile dal proprio personaggio, ma lo fa con i suoi mezzi di adesso, verosimilmente inferiori a quelli che avrà un domani; Colombara canta come al solito; la Azzaretti nobilita il personaggio di Lisa; e la somma di tutte queste componenti è comunque inferiore a quello che, da sola, riesce a fare la più grande Amina dei nostri tempi, vale a dire Natalie Dessay.
E nonostante tutto questo, si ha comunque la sensazione di qualcosa di irrisolto: probabilmente la mancanza di una vera traccia interpretativa, di qualcosa che dia un senso ad un prodotto complessivamente ben più che gradevole ma che sembra rifugiarsi nel comodo alveo del bozzetto oleografico, tanto caro alla tradizione imperante in quest’opera.
Cosa ci piace: lo avrete capito, è ovviamente la Dessay che nobilita con la sua presenza e il suo inimitabile carisma una registrazione che, altrimenti, non avrebbe avuto nessuna ragione di esistere, sempre se partiamo dal presupposto che un’incisione ai nostri tempi di un titolo tanto conosciuto deve avere qualcosa di importante da dire. Natalie Dessay è un fenomeno: a parte il dominio tecnico assolutamente diabolico tanto evidente anche in un’opera come questa che, a regola, non richiederebbe nemmeno gli straordinari alla protagonista, quello che risalta come le nervature di una foglia è l’immenso carisma di una delle più straordinarie protagoniste della nostra epoca. La trasfigurazione di Amina che passa continuamente, con una mutevolezza proteiforme, dal ruolo di creatura palpitante e deliziosamente femminile a quello di ideale e personificazione dell’eterno feminino – e viceversa – è qualcosa che lascia profondamente colpiti anche coloro che ritenevano che Joan Sutherland avesse definitivamente chiuso i conti con questo ruolo.
Tutto ciò, ovviamente, non può essere suggerito dal solo diabolico dominio tecnico e da quello scrupoloso rispetto di tutti i segni di espressione che tanto manda in solluchero coloro che pensano che un’interpretazione di area belcantistica si esaurisca nella lettura di quattro forcelle. La tecnica, per trascendentale che possa essere (e quella della Dessay lo è), non può mai essere un fine, ma tutt’al più un mezzo a disposizione di chi lo sfrutta come criterio espressivo per poter partecipare un’emozione.
La modernità strepitosa del linguaggio della Dessay sta proprio nel parlare come una donna dei nostri tempi, con tutte le deliziose nevrosi che resero celebre Diane Keaton e che, oggi, ci fanno innamorare di Scarlett Johansson o di Nicole Kidman: l’idea cioè che un personaggio femminile non sia una sorta di immagine ideale e fissa, bensì qualcosa di più sfuggente, spesso anche molto concreto, ricco di nevrosi non meno che di sensualità più o meno espressa.
Tutti i momenti solistici di quest’Amina sono prevedibilmente resi molto intensamente; e tuttavia, ciò che resta maggiormente impresso alla fine dell’ascolto è proprio la modernità del coinvolgimento emotivo messo in campo. È un personaggio dei nostri tempi, in cui è facile immedesimarsi; e questo, al di là delle forcelle tutte perfettamente rispettate.

A fronte di tale mostro di bravura, la prestazione degli altri si colloca alquanto sullo sfondo, e ciò fa molto “one man show” come costumava nei tempi andati.
Certo, nessuno può dire male del canto di Meli, uno dei più interessanti tenori dell’ultima generazione, dotato di canto timbrato e squillante: però comunica poco. Il problema, probabilmente, sta nel fatto che ha di fronte un tale mostro di bravura che è oggettivamente più avanti di lui nel distillare emozioni; ma il confronto ogni tanto ci sembra proprio stridente.
È bravo, Meli; ma, come dicevamo all’inizio, forse non ancora così bravo come sarà fra qualche anno. Ci accontentiamo, ma non usciamo da quest’ascolto così entusiasti come nel caso della sua collega.
Ci spiace vedere una cantante come la Mingardo un po’ sacrificata in una parte come quella di Teresa, ma sappiamo che oggi molte dive di prima grandezza si ritagliano volentieri dei piccoli cammei; e la brava Sara lo fa con molta umiltà e semplicità, come sempre nel suo stile.
Confermiamo l’ottima impressione del materiale vocale della Azzaretti e la tutto sommato buona prestazione – come sempre – dell’affidabile Colombara, da cui comunque ci aspetteremmo come sempre qualcosa di più.

Complessivamente un’edizione da conoscere quasi esclusivamente per quello che la Dessay riesce a ricavare da una parte tanto stereotipata

Categoria: Dischi

 

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