Giovedì, 19 Settembre 2024

Orlando furioso

Aggiunto il 10 Novembre, 2007


Antonio VIVALDI
ORLANDO FURIOSO RV 728
Dramma per musica in 3 atti
Libretto Grazio Braccioli
Edizione critica a cura di Federico Maria Sardelli
Ricostruzione di Frédéric Delaméa e Jean-Christophe Spinosi

• Orlando MARIE-NICOLE LEMIEUX
• Alcina JENNIFER LARMORE
• Angelica VERONICA CANGEMI
• Ruggiero PHILIPPE JARROUSKY
• Astolfo LORENZO REGAZZO
• Bradamante ANN HALLENBERG
• Medoro BLANDINE STASKIEWICZ


Ensemble Matheus
JEAN-CHRISTOPHE SPINOSI

Luogo e data di registrazione: Eglise Abbatiale de Daoulas (Bretagne, France), Giugno 2004
Ed. discografica: Naïve Classique, 3 CD

Note tecniche sulla registrazione: eccellente

Pregi: altra straordinaria prova d’insieme; direzione di grande ricchezza

Difetti: nessuno in particolare

Valutazione finale: images/giudizi/eccezionale.png

È lecito pensare che Sardelli si riferisca a Spinosi quando, nella prefazione alla recente registrazione di “Atenaide”, bacchetta i direttori che pestano sull’acceleratore con terribili grattate sugli strumenti?
Sì, è possibile, e non ci sentiremmo di dargli completamente torto, anche perché è ben vero che Spinosi ha della musica del Prete Rosso una visione estremamente violenta, molto spettacolare e ricca di quella personalità eccentrica di interprete che ci sembra essere un requisito molto importante in un repertorio come questo, così ricco di bella musica ma povero di contenuti realmente teatrali.
È anche vero, però, che la visione di Spinosi è lecita tanto quanto quella di Sardelli: il secondo punta a ricreare l’aspetto apollineo di queste partiture, il primo esalta maggiormente il lato dionisiaco, e il bello è che entrambe hanno la loro ragione d’esistere, a dimostrazione di una notevole poliedricità del compositore veneziano, oggi più che mai figura ambigua e non ancora completamente risolta nella storia del teatro d’opera.
Quale visione preferire è, ovviamente, una questione del tutto personale, anche perché gli Artisti in questione sono due autentici fuoriclasse che, di fatto, monopolizzano ormai questo repertorio proponendosi come gli esegeti di riferimento assoluto (con qualche intrusione eccellente come quella di Curtis o di Biondi, ma la Naïve ha in mano il progetto di rieditazione delle partiture vivaldiane). E questo “Orlando furioso” dimostra a quali livelli di virtuosismo si sia arrivati nel riproporre queste partiture ristudiate da capo a piedi e ripulite sulla base di revisioni meticolose degli autografi conservati nella Biblioteca Nazionale di Torino.
Il libretto allestito dalla Naïve, come al solito, è denso di contenuti che ben ci spiegano non solo le modalità di ricostruzione del capolavoro vivaldiano, ma anche i criteri di esecuzione che sono stati scelti per restituire all’ascoltatore odierno l’incanto e l’illusione di una distribuzione che sia il più possibile analoga a quella originale. I risultati di questo lavoro sono evidenti: l’unica precedente edizione discografica ufficiale è quella Erato del 1977, con la Horne e di sicuro presenta una struttura dell’opera molto più limitata rispetto a quella messa in campo qui.
L’ “Orlando furioso” si colloca in una posizione molto centrale nella produzione vivaldiana: un eccellente libretto di Grazio Braccioli che ben riusciva a fondere epos, dramma e umorismo veniva arricchito da una musica di squisita fattura, fra le più ispirate di quelle create dal Prete Rosso. Se proprio vogliamo, il limite fu quello di voler perseguire modelli superati in un’epoca che già vedeva avanzare l’opera di scuola napoletana
La distribuzione dei ruoli, poi, come abbiamo già visto in altre opere vivaldiane, teneva conto da una parte della necessità di avere interpreti carismatici, dall’altra di guardare al portafoglio, anche per le ben note richieste esose dei castrati che si ponevano come le autentiche star di palcoscenici dalle risorse sempre più limitate. Infatti, la protagonista scelta per il ruolo di Orlando fu il mezzosoprano Lucia Lancetti, specialista di ruoli en travesti, che già aveva fatto furore in “Ipermestra”, un’altra opera vivaldiana.
Il ruolo di Alcina, centralissimo, importante, ricco di splendide arie, fu invece riservato alla solita Anna Girò, nota anche come “Annina del Prete Rosso” per la liaison verosimilmente non solo artistica con il compositore veneziano, sorta di prezzemolino che compariva in tutte le sue produzioni, cantante verosimilmente non eccelsa quanto a mezzi, ma dotata di notevole espressività. Angelica fu affidata al soprano veneziano Benedetta Soresina, già distintasi anche al King’s Theatre di Londra nel “Giulio Cesare” di Haendel, mentre il contralto Maria Caterina Negri fu Bradamante.
I castrati compaiono nei ruoli di Medoro e di Ruggiero, ma trattavasi di cantanti di importanza secondaria, e ciò sempre in ordine al desiderio di Vivaldi di non cedere al divismo di questi grandi protagonisti dei palcoscenici dell’opera. Vennero quindi scelti Casimiro Pignotti e Giovanni Andrea Tassi, ancora non particolarmente affermatisi. Infine, Astolfo fu affidato al basso Gaetano Pinetti.
La struttura dell’opera è splendida; d’altra parte, siamo dalle parti dei capolavori assoluti di Vivaldi che qui abbandona anche alcune forme fisse delle arie in favore di recitativi accompagnati, brevi ariette “esplosive” di grandissimo effetto, accompagnamenti arditi come quello del flauto traverso con violini in sordina, viola e basso pizzicato nella grande aria di Ruggiero “Sol da te mio dolce amor”, uno dei capolavori non solo di quest’opera ma di tutta l’arte vivaldiana.
Ma tutta l’opera è un florilegio di arie splendide: si va da quelle di Alcina, una più difficile dell’altra, una più complessa dell’altra; a quelle di Orlando, ricche anche di novità formali per spiegarne la pazzia. Molte di queste arie sono trasmigrate in altre opere, ma trovano la loro ragion d’essere principale proprio nel canovaccio assemblato da Braccioli. Ricordiamo, fra le altre, “Alza in quegl’occhi”,”Amorose ai rai del sole”, “Vorresti amor da me”, “Così potessi anch’io”, “Anderò, chiamerò dal profondo”, tutte di Alcina; “Nel profondo”, “Sorge l’irato nembo”, entrambe di Orlando; e tante altre, che esaltano la bravura degli interpreti, fra cui la splendida e movimentatissima “Se cresce un torrente” di Bradamante e “Qual candido fiore” di Medoro.
A questa materia composita e variegata, Spinosi dona un respiro ampio nel contesto di una lettura serrata, avvincente, vivacissima. Certo, ogni tanto si sentono le “grattate” che lamentano gli esegeti più apollinei, ma è impossibile non rimanere coinvolti dalla tensione emotiva che il direttore còrso riesce a creare. Ci sembra non solo una prospettiva legittima quanto quella di chi ritiene – come Sardelli – che Vivaldi sia un autore equilibrato e paradigmatico, ma talvolta anche preferibile in opere così sbalzate come questa.
Come sempre nelle registrazioni Naïve il cast è stato scelto con particolare attenzione, in modo da cercare di ricreare l’incanto della distribuzione originaria, fatta eccezione – com’è ovvio – per i castrati, qui sostituiti da un controtenore di voce chiara e splendente e da un mezzosoprano.
Il controtenore è Philippe Jarrousky, uno dei divi del momento in questa corda ormai molto ben rappresentata; il suo momento solistico “Sol da te mio dolce amor” è di una bellezza che toglie il fiato, grazie ad una sapiente fusione fra una linea vocale di immacolata purezza e di precisissimo aplomb stilistico, e un’orchestra in grado di evocare mille colori cangianti (e il flauto traverso solista si riempie davvero di gloria). Se vogliamo, l’unica perplessità è data dal fatto che Giovanni Andrea Tassi, il solista della prima rappresentazione, doveva essere un castrato contralto, mentre Jarrousky è molto acuto, ma ci si può passar sopra, anche perché la voce è molto bella, deliziosamente ambigua e splendidamente emessa.
Il mezzosoprano canadese Marie-Nicole Lemieux è una delle grandi protagoniste della prassi odierna del repertorio barocco. Non si discute la professionalità, che è di primissimo ordine. Non si discute nemmeno l’aplomb stilistico: è una cantante di notevole bravura tecnica, in grado di dipanare i passaggi di agilità senza nessun problema. Manca, se vogliamo, una personalità d’interprete di quelle che facciano saltare sulla sedia, che provochino sconvolgimenti emotivi, qualcosa insomma di quello che riescono a sollevare personalità anche un filo meno ortodosse come Sonia Prina, oppure più variegate come Maite Beaumont.
La vera protagonista è però Alcina. Jennifer Larmore è cantante poco amata in Italia, ma è intelligente, duttile, versatile, dotata di un ottimo dominio della coloratura e di eloquio variegato. La sua personificazione della maga è di assoluta eccellenza.
Degli altri interpreti segnaliamo la come sempre eccellente Veronica Cangemi, un’Angelica appassionata, ma anche forte e volitiva; e l’eccellente Ann Hallenberg nei panni di Bradamante. Discreto il Medoro della Staskiewitz, mentre Lorenzo Regazzo è ormai una realtà forte e consolidata: spiccata personalità d’interprete ed eccellente dominio del cantodi coloratura.

Complessivamente un’edizione eccellente, che mette un punto fermo sulla storia del teatro d’opera barocco

Categoria: Dischi

 

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