Venerdì, 29 Marzo 2024

Aida

Aggiunto il 08 Dicembre, 2006


Giuseppe VERDI
AIDA

• Aida BIRGIT NILSSON
• Radames FRANCO CORELLI
• Amneris GRACE MELZIA BUMBRY
• Amonasro MARIO SERENI
• Ramfis BONALDO GIAIOTTI
• Il Re FERRUCCIO MAZZOLI
• Il Messaggero PIERO DE PALMA
• Una Sacerdotessa MIRELLA FIORENTINI



Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Chorus Master: Gianni Lazzari

Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
ZUBIN MEHTA

Luogo e data di registrazione: Roma, 1967
Ed. discografica: Emi, 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: buona qualità complessiva

Pregi: grandissima prestazione di Corelli, ma cantanti globalmente in forma spettacolare

Difetti: nessuno

Valutazione finale: images/giudizi/eccezionale.png

Domanda: cos’è un fenomeno?
Risposta: è Franco Corelli.
In parte lo sapevamo già, anche perché fortunatamente ci sono rimaste un bel po’ di testimonianze discografiche della sua arte; ma qui siamo veramente a livelli stratosferici.
E tanto per mettere le carte in tavolo sin dall’inizio, ecco un “Celeste Aida” di cui non si sa francamente cosa apprezzare maggiormente: se il tono trasognato ed intimamente affettuoso, o la vocalizzazione spavalda e maschia, screziata da quelle meravigliose sfumature che culminano nella celestiale, miracolosa smorzatura del si bemolle conclusivo, con ciò mettendo un punto fermo definitivo sulla storia dell’interpretazione di questo ruolo che, da quel momento in avanti, si dovrà sempre confrontare con questo caposaldo.
Ma è solo l’antipasto: nella scena della consacrazione della spada è folgorante, così come nel trionfo; nel duetto con Aida del terzo atto trova accenti estatici straordinari, grazie anche ad un’intesa con la Nilsson sicuramente inconsueta per il ruolo, ma ben maturata da lunghe frequentazioni in altre opere; la liquidità dell’accento eroico ed appassionato viene spesso franta e screziata da smorzature che dipingono alla perfezione le incertezze dell’eroe di fronte ai turbamenti dell’amore. Con Amneris trova invece altri accenti, più virili e riservati, la cui espressione rimanda a modelli di altri tempi, il più importante dei quali ci sembra essere Rosvaenge, cui l’accomuna il timbro maschio e virile e uno squillo da autentica tromba: forse non l’ideale per rendere l’ingenuità e la giovinezza del personaggio ma – santo Dio! - chi mai l’ha fatto con altrettanta sicurezza ed arroganza vocale?
Questo è Franco Corelli, e si propone come il Radames di riferimento per tutta la discografia dell’opera, grazie anche ad altre registrazioni live ben colte in giro. Si può discutere per ore sulla liceità di una visione interpretativa così eroica e violenta come quella del tenore marchigiano che finisce per depauperare l’aspetto fanciullesco di un personaggio che, sostanzialmente, è infelice dall’inizio alla fine e che i suo eroismi li consuma ben lontano dalla scena; da questo punto di vista, probabilmente, apparirebbe forse più adeguata la sfumata malinconia di Bjoerling o il giovanile entusiasmo di Lauri-Volpi. Ma qui siamo dalle parti delle vette assolute della vocalità del teatro d’opera di ogni tempo, per cui si può anche prescindere da ideali stilistici che non sempre hanno da raccontare verità affidabili.
Alla pari con la prestazione stratosferica di Corelli ci sta la più grande Amneris della storia del disco d’opera, vale a dire Grace Melzia Bumbry; anche qui, i termini di paragone sono difficili e possono destare partigianerie, per cui ci limiteremo a dire che, assieme alla Simionato, è più o meno l’unica a fare sentire l’angoscia della donna ferita che screzia l’autorità della Regina; solo che, rispetto alla Giulietta nazionale, la Bumbry vanta sicuramente una voce più sana, rotonda ed omogenea in tutta la gamma di emissione; e, rispetto ad un’altra grandissima, inevitabile Amneris, e cioè la Cossotto, può proporre una diversa ambiguità di fraseggio che si sublima soprattutto nella sua grande scena del Quarto Atto e in quel “Pace t’invoco” che mai come ora si era prestato a così tante interpretazioni.
Quanto alla protagonista, a prima vista in una produzione di Aida sembrerebbe entrarci come il proverbiale cavolo a merenda, ma la Nilsson aveva con Verdi rapporti non propriamente episodici, come dimostra per esempio la sua incisione di Amelia del Ballo in maschera con Solti. Da cantante prima di tutto intelligente e sensibile, aveva la prerogativa di infondere nelle sue fondamentali interpretazioni verdiane per prima cosa una calda ed appassionata umanità, che le permetteva di sopperire a quelle problematiche legate ad un’emissione per sua natura ampia, generosa e forse un filo esuberante, degna di quella straordinaria interprete wagneriana che fu. Ma il bagaglio tecnico di Birgit Nilsson era di primissimo ordine, tanto da permetterle un “Ritorna vincitor!” che può guardare in faccia quello di chiunque senza arrossire e un “Cieli azzurri” che, se anche non ha lo smarrimento ipnotico di quello di Leontyne Price, vi arriva comunque molto vicino nelle intenzioni ed è perfettamente realizzato dal punto di vista pratico; e la prestazione tocca il suo apice proprio in un finale estatico in cui la grandissima cantante svedese letteralmente respira in simbiosi con Franco Corelli sino a concludere con una smorzatura (una vera smorzatura, non un falsettino più o meno rinforzato) all’unisono che realizza quella sorta di “Morir cantando” che dovrebbe essere la vera cifra interpretativa dell’opera.
Amonasro è Mario Sereni, che presta la sua splendida organizzazione vocale a questo personaggio così trucibaldo e troppo spesso interpretato in senso verista. La sua fonazione richiama quella di un modello augusto come Carlo Tagliabue, ed è sicuramente un bene; l’interpretazione, invece, rimanda a modelli un filo più generici, ma con tutto ciò il duetto con Aida è di una bellezza consolatoria, soprattutto pensando a cosa abitualmente si ascolta anche nei Teatri più famosi.
Anche Ramfis riceve un trattamento adeguato dal vocione generoso di Bonaldo Giaiotti, che ritaglia un personaggio roccioso e squadrato da autentico sacerdote verdiano, poco proclive al dialogo ed alla comprensione.
Note di gloria dal Messaggero del solito, intramontabile Piero De Palma, mentre più sfuocato appare il Re di Mazzoli; decorosa infine la Sacerdotessa di Mirella Forentini.
Quanto alla direzione d’orchestra, Mehta realizza sicuramente un ottimo lavoro d’insieme puntando sulla coesione della compagnia di canto, nonostante la presenza di fuoriclasse, quindi mai cedendo alla tentazione dell’one man show; e il lavoro sui colori orchestrali è sicuramente affascinante, tanto da portare ad un’Aida ricca di nuances pur in un’ottica di grandiosità che non lascia indifferenti.
Complessivamente una delle migliori incisioni di questo capolavoro

Categoria: Dischi

 

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