Gioconda
Aggiunto il 27 Agosto, 2006
Cosa ce ne facciamo di un prodotto così, oggigiorno?
Ben poco, temiamo: questi tre dischi, onestamente senza infamia e senza lode, descrivono bene lo stato attuale del teatro di provincia italiano.
Un’opera famosa, ma un po’ polverosa.
Interpreti di discreta rinomanza, almeno sul territorio italiano, dotati di voce robusta e un po’ brada; d’altra parte l’Arena di Verona non è sicuramente il posto più giusto in cui proporre finezze interpretative particolari.
Una direzione d’orchestra efficace e ricca di buon senso esecutivo.
Questo è quanto: chi si accontenta si accomodi, ma non prima di aver ascoltato almeno un paio di edizioni di assoluto riferimento, tanto per capire le reali potenzialità di questo amabile polpettone in cui il librettista ha voluto profondere il meglio del proprio genio scapigliato.
Intendiamoci: non è che tutto sia da buttare.
La protagonista, per esempio: finezze poche, è vero, ma è un personaggio che le richiede precipuamente? Se andiamo ad ascoltare quello che passa il convento oggigiorno, la risposta è no; se andiamo ad ascoltare qualcos’altro dei tempi passati, siamo costretti a dire di sì. La Gruber è una brava cantante che non forse non avrà in sé i germi della classe assoluta ed adamantina, ma le sue cose le fa bene. Una di quelle professioniste che ogni teatro dovrebbe avere in quella sorta di compagnia fissa cui attingere per le recite di tutti i giorni. Da Gioconda esce bene e senza particolari problemi, esibendo una voce salda e ben timbrata in tutta la gamma, ma se si cerca l’emozione dell’inciso, della frase vissuta con la rovente passionalità, be’, forse allora bisogna rivolgersi in altra direzione. Prendiamo per esempio la frase “Enzo adorato, ah come t’amo!”, che richiede una messa di voce su un si bemolle da chiudere in pianissimo: qui abbiamo una nota corretta ma anche ben poco emozionante. È un po’, se vogliamo, la cifra di tutta un’interpretazione che domina la parte con notevole sicurezza ma anche con una partecipazione brada e buona un po’ per tutti gli usi, in una parola un po’ generica.
Meglio la Laura Adorno di Ildiko Komlosi, il cui eloquio è complessivamente più emozionante, ma nessuna delle due riesce veramente coinvolgente nel celebre duetto del secondo atto che scorre via in un medium complessivo di bel canto ma di generica scarsità di emozioni.
D’altra parte non si capisce per quale motivo dovrebbero agitarsi due rivali per combattersi l’amore di un Enzo come questo di Marco Berti. Il quale è uno dei misteri della fede dei nostri tempi: la voce, tanta e (quasi) sempre ben emessa è inversamente proporzionale alla partecipazione emotiva di un interprete che rimane sempre alla superficie di un personaggio già di per se stesso abbastanza convenzionale nella sua tenorilità di maniera. Detto questo, anche per lui i momenti topici ci sono e anche ben cantati (“Cielo e mar” è salutato da un’autentica ovazione); il problema è che Berti, potenzialmente, sarebbe un autentico fuoriclasse, uno dei pochi a disposizione sul mercato; e non si capisce per quale motivo non debba sollevare la testa dal medium di un onesto professionismo. Meglio questo Enzo del coevo Ernani, siamo d’accordo; ma la sensazione è che il bravo Marco possa e debba osare qualcosa di più anche in termini di tavolozza espressiva per poter puntare a vertici che, potenzialmente, sembrano essere a portata di mano.
Buon mestiere anche da parte di Mastromarino: Barnaba, d’altra parte, è personaggio abbastanza monocorde nella sua biechezza e non è necessario barare. Certo, a voler essere pignoli, qua e là si evidenziano i segni di una certa stanchezza o di difficoltà legate ad una parte per niente banale; però oggettivamente non ci si può lamentare.
Belle note e scarsa partecipazione anche nella Cieca della Fiorillo e, soprattutto, nell’Alvise di Colombara: ma si ha il sospetto – come già si diceva – che la particolare ambientazione nell’Arena richieda un maggior sforzo di concentrazione per il versante vocale che non per quello interpretativo.
Quindi, per tornare al quesito iniziale, cosa ce ne facciamo di questa registrazione?
Una terza o quarta scelta, dopo aver verificato di avere in discoteca l’essenziale di quest’operona: una delle registrazioni della Callas e una di quelle della Tebaldi.