Sabato, 20 Aprile 2024

Elektra

Aggiunto il 19 Novembre, 2006


Richard STRAUSS
ELEKTRA

• Klytämnestra MARTHA MÖDL
• Elektra ASTRID VARNAY
• Chrysothemis HILDEGARD HILLEBRECHT
• Aegisth JAMES KING
• Orest EBERHARD WAECHTER
• Der Pfleger des Orest TUGOMIR FRANC
• Die Vertraute HILDEGARD RÜTGERS
• Die Schleppenträgerin ANJA DE HAAN
• Junger Diener RICHARD VON VROOMAN
• Ein alter Diener SIEGFRIED RUDOLF FRESE
• Aufseherin JUDITH HELLWIG
• Fünf Mägde HELEN WATTS
MARGARITA SJÖSTEDT
• CVETKA AHLIN
• LISA OTTO
• LUCIA POPP


Chor der Wiener Staatsoper
Chorus Master: non indicato

Wiener Philharmonker
HERBERT VON KARAJAN

Luogo e data di registrazione: Salisburgo, Großes Festspielhaus 17 Agosto 1964
Ed. discografica: Orfeo, 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: buona

Pregi: uno scontro titanico fra due primedonne passate di cottura

Difetti: nessuno, è un capolavoro

Valutazione finale: images/giudizi/eccezionale.png

Giù il cappello, signori: questo è un capolavoro. Sa solo il buon Dio per quale motivo Karajan non abbia voluto affrontare quest’opera in sala di registrazione, ma poco conta: per una di quelle strane ragioni per cui, in una sera, tutto quadra alla perfezione, qui abbiamo un incontro magico fra due divastre invecchiate probabilmente anche piuttosto male e un autentico Genio della bacchetta. Il risultato è una performance atomica, stellare, da autentico scontro di titani.
L’atmosfera non è rutilante come nel Karajan di quel periodo: anzi, è grigia, plumbea, solo di tanto in tanto frastagliata da barbagli luminosi accecanti e iridescenti che sono quello che solitamente ci si aspetta da una regia sonora del grande Maestro. L’atmosfera è torbida, pesante, greve: ha i riflessi di un film in bianco e nero, solo con dei lampi di luce che improvvisamente illuminano la scena facendo materialmente “vedere” all’ascoltatore scorci terrificanti, in cui il ritorno improvviso del buio fa più effetto che non – poniamo – l’inquadramento in primo piano di laghi di sangue.
Tutti i personaggi vivono la tragica consapevolezza della propria posizione, a cominciare dalla fenomenale Elektra della Varnay, qui chiamata ad una di quelle definizioni che l’hanno resa celebre in tutto il mondo. Ha indiscutibilmente avuto la fortuna di lavorare con direttori straordinariamente capaci di tirare fuori tutto il meglio che c’era in un’organizzazione vocale non propriamente ortodossa; ma questo rapporto con Karajan respira di una simbiosi, oseremmo dire di un’osmosi in cui è difficile trovare i limiti di una compenetrazione assolutamente magica. È difficile inquadrare un momento ben preciso: si va dalla rauca ed asciutta invocazione al padre dell’inizio (“Allein!”…) alla tenera rimembranza del dialogo con Orest, calata da Karajan in un’atmosfera rarefatta ed evocativa, sino al tragico scherno con cui investe, nella penultima scena, l’allibito Aegisth, per finire con la danza folle sul palcoscenico distrutto dalla morte. A tutto questo quadro così poliedrico, Astrid presta una voce sicuramente usurata e ormai priva dei riflessi abbacinanti e ferini che poteva vantare nel 1949 con Mitropoulos o, forse, nel 1953 con Reiner; e quanto potesse aver perso in termini di armonici è sicuramente cosa ben comprensibile anche a chi ne ha fatto un’autentica icona del canto. È proprio per questo che ci voleva un direttore come il Vecchio Satrapo in grado di guidarla amorevolmente, anche senza che ci fossero quegli effetti “flou” che poi sarebbero diventati noti agli appassionati come “cuscino Karajan”. Anzi: la proiezione verticale del suono, con quelle caratteristiche da aquila ferita croce e delizia degli appassionati, era già quella che costituiva motivo di uggia ai detrattori, ma è tanta e tale la paletta emotiva messa in campo che nessuno può rimanere indifferente.
Ma per straordinaria che sia l’intesa con Karajan nei momenti sopra citati, è ancora nulla se paragonata a quello che esce fuori nei grandi dialoghi con Chrysothemis (l’ottima, pur se non trascendentale, Hillebrecht: ma è un problema che capita abbastanza spesso con questo personaggio) e, soprattutto, con Klythaemnestra.
Ora, proviamo per un momento ad immaginare di poter affiancare due fra le più importanti Brunnhilde del XX Secolo, accomunate dal fatto di esserlo state più o meno contemporaneamente, di aver diviso l’origine della Neue Bayreuth e di essere divise sostanzialmente dalla sola organizzazione vocale (prevalentemente da mezzosoprano quella della Mödl, da soprano quella della Varnay): l’accostamento genererà quelle scintille che possono nascere da due interpreti di razza, che si conoscono anche capovolte. È tanta e tale l’intesa – infatti – da stimolare giochi verbali e coloristici di una dialettica che, a nostro avviso, non trova riscontri in tutta la pur eccellente discografia (in effetti una delle migliori di tutto il teatro d’opera, segno che ha stimolato adeguatamente le interpreti).
Veramente grandiosa la Mödl: anche lei sostanzialmente al limite per sostenere vocalmente una parte così complessa, ma addirittura istrionica nel trovare mille inflessioni e giochi di colore per rendere credibile l’idea di una regina non particolarmente spaventata da un’erinni infuriata come quella che si trova davanti; anzi, un’antagonista beffarda e sorniona, che fa leva sulla dialettica per confrontarsi con la figlia impazzita. E tutto ciò è terribilmente karajaniano.
Molto bene anche il resto del cast: dall’Orest stralunato di Waechter all’Aegisth imponente e per nulla macchietta di un King che sembra ridare finalmente una parvenza di regalità ad un personaggio abitualmente massacrato da interpreti che tendono a trasformarlo in una sorta di mentecatto. E sottolineeremmo anche il dettaglio non banale che fra le cinque ragazze compaiono tre signorine non da poco come Helen Watts, Lisa Otto e Lucia Popp: e scusate se è poco

Categoria: Dischi

 

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