Macbeth (Verdi)

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Confronti: Verrett/altre Lady Macbeth

Messaggioda MatMarazzi » dom 17 feb 2008, 21:29

Ok, sono on-line i duetti del primo atto con la Verrett e con la Gencer.
E' inutile rimarcare che la Gencer era da vivo, la Verrett invece nei confortevoli studi della Deutsche Grammophon.
E che la qualità del suono è ben diversa.
Inoltre è inutile dire che Gui è meno ricercato negli effetti di Abbado (e che dispone di un'orchestra meno disponibile alla ricerca).
Insomma, tutto aiuta (in questo frangente) l'Americana.

Eppure... :)
Ora taccio ma dirò la mia opinione, come spero tutti.
Buon divertimento! :)

Salutoni
Mat
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Messaggioda VGobbi » dom 17 feb 2008, 22:19

Vedo che non hai perso tempo, caro Mat.

Anzi tutto son sorpreso dalla scelta del brano. Ero convinto che puntassi sul "sonnambulismo", oppure sulla romanza "La luce langue" o l'aria d'entrata con cabaletta. Hai optato invece per il bellissimo duetto, pagine tra le piu' alte del Verdi "giovane" e non.

Per il commento, se mi consenti, un solo e fugace ascolto non basta per differenziare le interpretazioni di due Lady entrambe storiche, seppur diverse.

In merito al protagonista maschile, potrei sapere chi e' nel brano in cui canta la Gencer. Se non sbaglio e' Guelfi?
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Messaggioda MatMarazzi » lun 18 feb 2008, 2:21

VGobbi ha scritto:Per il commento, se mi consenti, un solo e fugace ascolto non basta per differenziare le interpretazioni di due Lady entrambe storiche, seppur diverse.



Be' intanto partiamo da ciò che abbiamo.
Abbiamo un lungo duetto dove una cantante fa cose geniali, l'altra non combina nulla che vada oltre una buona prima lettura.

E poi scusa Vit... ma ti inviterei a lasciare la qualifica di "lady macbeth storica" per la fine del discorso! :)
Altrimenti influenzi la giuria! :)
Quel che intendo dimostrare è proprio che una delle due non è affatto storica.

In merito al protagonista maschile, potrei sapere chi e' nel brano in cui canta la Gencer. Se non sbaglio e' Guelfi?


Sbagli! :)
Evidentemente tu hai in mente l'altro Macbeth della Gencer, quello (che io non amo per niente) diretto da Gavazzeni del 68 a Venezia, con Guelfi appunto.
Questo è di Palermo, con Taddei e Vittorio Gui: per inciso mi pare che anche Taddei dia della sana polvere a Cappuccilli.
Ma forza... con i commenti! :)
Salutoni
Mat

PS. mi pare che l'edizione Gencer-Gui sia venuta con un audio un po' basso. Se avete problemi la ri-spedisco.
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Messaggioda Milady » lun 18 feb 2008, 15:00

Cari amici, so bene che , appena iscritta, farò la magra figuruccia della vedova inconsolabile della Callas, ma il Cd - pessimo audio, fruscii , etc, etc,- live della sua Lady, lascia indietro implacabilmente tutte le altre interpreti, fermo restando che la Verrett era di una intelligenza e di uno charme veramente eccezionali e che la Gencer-se storicizziamo il suo apporto al tetaro d'opera- è una interprte di grande personalità : purtroppo la voce non era quella della Lady e spesso "primadonneggiava" un po' troppo..
Scusatemi per questo mio intervento fuori tema, ma volevo anche dirvi che , sono veramente contenta di aver trovato, finalmente un forum di persone esperte ed educate . rara avis.
Buona giornata a tutti e a presto
Milady
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Messaggioda MatMarazzi » lun 18 feb 2008, 15:47

Milady ha scritto:Cari amici, so bene che , appena iscritta, farò la magra figuruccia della vedova inconsolabile della Callas,


"Non temete Milady" ;)
Non si fa mai magra figura a essere vedovi inconsolabili della Callas.
Anche se io, pur suo fanatico ammiratore, ho molto da ridire sul Macbeth con De Sabata del 52.

La Callas "giovane" tendeva un po' a banalizzare i personaggi cattivi, a esasperare tinte ed espressioni sataniche.
Il risultato è, a mio gusto, un appiattimento dei valori psicologici.
Proprio nel Macbeth con De Sabata, proprio come nel Nabucco con Gui e nelle prime Medee, la Callas pesta troppo (ovviamente per me), fa la cattivona a tutti i costi, con effetti - certo - terrorizzanti e soluzioni da strepitosa fraseggiatrice (era pur sempre la Callas); e tuttavia i personaggi ne risentono, ne escono (sempre secondo me) banalizzati.

La Callas "matura" (54-59), che io amo molto di più di quella giovane, nonostante il declino, avrebbe gestito questi personaggi con ben diversa serietà.
Il confronto fra il Sonnambulismo del 52 alla Scala e quello EMI del 58 è sconvolgente: nel 58 sembra un'altra cantante, tanto è capace di scendere negli abissi della paura, dell'ambiguità, del tremore a fior di pelle, della mostruosità inconfessabile.
E tutto con sussurri, giochi di colore, rabbrividenti intuizioni ritmiche.

Al confronto, la "solidissima" (vocalmente) Callas del 52 sembra (nel sonnambulismo) una stregaccia da cartoni animati, con strappate, barriti di petto, acuti sparati a pieni polmoni.
Non è per niente aiutata, va detto, da De Sabata, che - a mio gusto - dirige un Macbeth al di sotto della sua gloria.

In generale, quindi, non stravedo per la Lady scaligera della Callas.
Sono però d'accordo con te sul fatto che polverizzi ugualmente la Verrett.
In ogni nota della Callas c'è un progetto.
La Verrett, oltre a strabuzzare gli occhi con fare "malvagissimo", non mi pare combini molto altro! :)

Invece mi distacco da quello che hai scritto sulla Gencer.

la Gencer-se storicizziamo il suo apporto al tetaro d'opera- è una interprte di grande personalità : purtroppo la voce non era quella della Lady e spesso "primadonneggiava" un po' troppo..


Sul "primadonneggiare" hai assolutamente ragione, ma è opportuno fare alcuni distinguo cronologici.
La Gencer che "primadonneggia" troppo è quella posteriore al 65.
E' proprio la ragione per cui non amo affatto (come avevo detto) il live di Venezia del 68, diretto da Gavazzeni.
La Gencer degli anni precedenti era molto diversa.
Semmai l'accusa che le rivolgevano era proprio quella di essere troppo "altera" e di concedersi poco.
Il Macbeth che ho proposto è del 1960, quindi quando la Gencer era ancora la sobria, aristocratica, taciturna dei primi anni (quelli di Lucia, Battaglia di Legnano, ecc...).

E' proprio per questo che la sua Lady (questa Lady) è così grande.
Perché, a differenza della Callas e di tutte le Lady di tradizione, non urla, non ringhia, non spara le note di petto, non "fa" la cattiva, ma si limita a cantare, sulla femminilità del suo velluto, sulla leggerezza dei suoi filati, e ci presenta una Lady mille volte più terribile di tutte le altre.
Ossia: non una strega rabbiosa, ma una brava mogliettina, giovane, femminile, con persino qualcosa di riservato.
E' l'orrore che si insinua nella normalità - nella semplicità domestica di un castello di campagna - a fare più paura, no?

Meno ancora condivido la tua osservazione sul fatto che la Gencer non avesse la voce di Lady.
Per me ce l'aveva: una voce piccola, acuta, fendente, virtuosistica e vellutata.
Scusami ma per me che ci vogliano i decibels per fare i cattivoni è una leggenda. Lo dimostra il fatto che proprio la Gencer (una Lucia di Lammermoor) arriva alla fine della parte fresca come una rosa...
La Verrett invece (con la sua voce grande e possente) doveva arrancare il suo giusto.

Tutto questo, sia chiaro, sono solo mie opinioni.
Salutoni e BENVENUTA!!!!

Matteo

PS: perché nessuno parla dei due brani che ho postato? Cosa è successo a tutti i verrettiani? :)
Prontissimi ad affermare, in teoria, la straordinarietà della Verrett, non se la sentono di verificarla anche sui fatti?

ehehehe.... ;)
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Messaggioda Pruun » lun 18 feb 2008, 16:04

MatMarrazzi mi farai morire... :shock: :shock:
ma nemmeno la Ldy della Verrett...
Visto che chiami in causa i verrettiani sappi che stasera (ho un esame alle 17... per cui porta pazienza :evil: :evil: ) risponderotti, in quanto conosco sia Palermo che Venezia della Gencer che il live e l'incisione in studio della Shirley...

Uff..... mi farai impazzire prima o poi... :shock: :D :wink:
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Messaggioda MatMarazzi » lun 18 feb 2008, 16:07

Pruun ha scritto:sappi che stasera (ho un esame alle 17... per cui porta pazienza :evil: :evil: ) risponderotti, in quanto conosco sia Palermo che Venezia della Gencer che il live e l'incisione in studio della Shirley...


Perfetto! :)
Ma mi raccomando, facciamo un passo alla volta.
Limitati a confrontare il duetto in questione, nota per nota.
Lo sai che io ho la passione per le analisi dettagliatissime! :)

Uff..... mi farai impazzire prima o poi... :shock: :D :wink:


C'è un rischio ancora più terribile! :)
Che ti convinca che ho ragione! :twisted: :twisted: :twisted: :twisted:

Salutoni e ti aspetto!
Mat
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Messaggioda beckmesser » lun 18 feb 2008, 16:55

A me sembra che ci siano due maxi-filoni, nelle interpretazioni della Lady, e che Gencer e Verrett li rappresentino perfettamente. C’è un filone che (ed è il più frequentato) tende a vedere la Lady come un diabolico angelo decaduto, che si compiace del suo crogiolarsi nel male, che affascina nonostante tutto, sempre presente a se stesso: ed è il filone che (pur con significative differenze, soprattutto nei risultati...) parte dalla Callas e prosegue con la Verrett. E c’è il filone delle Lady non all’altezza di se stesse, che sono schiacciate fin dall’inizio dal gioco in cui si sono messe, esponenti di una “banalità del male” agghiacciante nella sua piccolezza: ed è il filone che parte proprio con la Gencer barese (quella più tarda mi sembra si sposti più verso il primo filone…) e che per mio conto raggiunge un vertice impressionante nella Scotto del live londinese con Muti (che per mio conto, nel suo complesso, resta IL Macbeth di riferimento). Non ho riascoltato gli esempi del duetto inseriti (proverò a rifarlo stasera) e quindi, andando a memoria, potrei anche sbagliare, ma mi sembra che la differenza sia già evidente dal diverso trattamento delle frasi “Ma dimmi altra voce” e “Quell’animo trema”. Nella Verrett l’impostazione psicologica è la stessa in entrambe le sezioni: ironica, beffarda, un po’compassionevole, comunque sicura di sé. Con la Scotto (che ricordo meglio, ma da quel che mi ricordo era lo stesso, solo in modo meno accentuato, anche con la Gencer) c’è un abisso: la prima frase è sopra le righe, innaturale nella propria ostentazione, come di qualcuno che deve convincere se stesso prima dell’altro, e poi la vera natura prorompe nei sussurri sbigottiti, quasi terrorizzati, della seconda, come di chi già cominci a vedere il baratro che si sta spalancando. Lo stesso avviene in altri momenti. Mi ricordo nel finale del II atto il “Spirto imbelle, il tuo spavento vane larve t’ha creato”: derisorio e altero nella Verrett; livido, aggressivo, rancoroso con la Scotto e la Gencer. In generale, Callas e Verrett sono psicologie lineari che evolvono in modo costante verso la pazzia finale. Gencer e Scotto sono come encefalogrammi impazziti, che oscillano costantemente fra perverso buonsenso e abissi di nulla mentale. Il problema di questa seconda lettura, al limite, è che tutto sommato la scena della pazzia finale diventa quasi inutile: la perfetta follia, come la perfetta normalità, sono entrambe infinitamente meno interessanti del crinale che le divide…
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Messaggioda gustav » lun 18 feb 2008, 18:50

Al di là della loro appartenenza a due "filoni" interpretativi diversi, ed asserendo che nonostante ciò mi piacciono entrambe, voglio solo aggiungere che trovo la Verrett la più adatta, anzi la Lady perfetta per l'esecuzione reazlizzata Abbado...La Genser al suo posto non l'avrei trovata altrettanto efficace... :roll:
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Messaggioda fadecas » lun 18 feb 2008, 21:40

Temo anch’io che il brano scelto per il confronto non sia sufficiente a far luce sufficiente sull’arco interpretativo delle due cantanti.
Anzitutto, mi rifiuto di votare col pollice pro o il pollice contro riguardo l’una o l’altra delle due interpreti, che nello specifico sono state due Lady grandissime.
Pur con tutta la simpatia e l’ammirazione che nutro per la Gencer, anche quella dei primi anni ’60, rilevo in questa tranche della sua Lady palermitana un ritegno un po’ eccessivo, una circospezione e uno scrupolo di cantabilità che la rende un po’ troppo dolente e introversa nella sua alterigia, anzichè incarnazione di una malvagità sinistra in quanto piccola e quotidiana, come suggerisce Matteo.
La Verrett, nello specifico, mi convince di più, anzitutto perché non deborda e non ringhia neppure lei – altri sarebbero i modelli deplorevoli di Lady “buttafuoco” visti e ascoltati nei decenni trascorsi … - e, se gioca ogni tanto nel forzare i colori, riesce a trasferire nel personaggio di Lady quella sensazione che ho sempre provato nell’ascoltarla, ossia di una lava vulcanica compressa ma sul punto di tracimare. Altrove, questa suggestione, pure fascinosa perché modulata sapientemente, è inappropriata al ruolo (in Favorita, ad es.), o comunque un po’ monocorde (Dalila, ad es.). In questa parte, è una delle possibili interpretazioni pertinenti allo spirito del ruolo.
I nvito a procedere alla comparazione con altri momenti in cui forse il virtuosismo genceriano possa emergere in maniera più convincente!

Saluti, Fabrizio
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Messaggioda gustav » lun 18 feb 2008, 22:59

Dato che si parla di grandi lady macbeth, cosa pensate della Cossotto? La dobbiamo considerare fra le grandi di questo ruolo?
Io trovo interessante che grazie al suo registro abbia cercato di "farsi largo" in questa parte...Se non sbaglio l'unica testimonianza che abbiamo è solo in disco con Muti, che per l'occasione mi sembra molto ispirato...Passando agli altri, anche il resto del cast mi sembra di alto livello...Che dite?
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Messaggioda MatMarazzi » lun 18 feb 2008, 23:03

Eccomi qua.
Come promesso tenterò un'analisi comparativa dei due brani, rivolta non solo agli amici del forum, ma anche agli occasionali lettori.

Perché il gioco funzioni, consiglio al lettore di tenere aperte contemporaneamente anche le due pagine “audio” dove sono contenuti i brani,
Gencer – Gui: http://www.operadisc.com/audio3.php?id=195
Verrett – Abbado : http://www.operadisc.com/audio3.php?id=196
regolare i volumi in modo che siano (grossomodo) corrispondenti e agire sulla pausa in modo da sentire uno dopo l’altro i singoli frammenti.

Pronti?
Bene... partiam!

LADY
Regna il sonno su tutti... Oh qual lamento
risponde il gufo al suo lugubre addio!

MACBETH (di dentro)
Chi v'ha?

LADY
Ch'ei fosse di letargo uscito
pria del colpo mortal?

Macbeth stravolto con un pugnale in mano.

MACBETH
Tutto è finito!


Iniziamo con Gencer.
Entra in scena come avvolta da un alone di mistero.
L'effetto è ottenuto piazzando la voce molto in alto nella maschera: lo sentite benissimo nella “o” di sonno e nella “u” di tutti, particolarmente risonanti.
Come al suo solito, una lieve sottolineatura esalta ogni sillaba (“r”egna il “s”onno su “tu”tti) in modo che, nonostante il suono sussurrato e sospeso, la frase ha una scansione netta.
Già da questa prima frase notate come la Gencer usi il ritmo con una consapevolezza da grande musicista: per tutto il brano questo sarà uno dei suoi segreti.

La frase successiva “Oh qual lamento” è a sua volta sussurrata, ma rapida, più aggressiva. C’è un tocco di fragilità spaesata nel suo canto (grande idea) che si ritrova perfettamente all’attacco della frase successiva: “Risponde il gufo al suo lugubre addio” . La Gencer parte quasi dolce per poi incupirsi a partire da “gufo” (sottolineato da un piccolo “colpo di glottide”) e precipitare con determinazione fonda su “addio” (la volontà riprende il sopravvento sulla paura).

“Chi va?” chiede Taddei, e la Gencer, si getta nella frase successiva “ch’ei fosse di letargo uscito” con una precipitazione scomposta, staccando le sillabe sempre in pianissimo ma con un vero fremito di paura.
Peccato solo che, nella tensione, sbagli le parole (“pria del colpo mortal).
Cose che dal vivo capitano.

“Tutto è finito” sussurra Taddei.

Bene, bene. Ora fate STOP e passiamo ad Abbado.

“Regna il sonno su tutti” è detto dalla Verrete abbastanza bene; non c’è la sospensione magica (perché manca la proiezione “alta” della Gencer) ma l’effetto del pianissimo corroso è comunque funzionante.
Poi però con “ah, qual lamento” cominciano i problemi.
L’”Ah” è troppo caricato. Anche “qual lamento” è pronunciato con un’enfasi eccessiva, che mette fra l’altro in evidenza la pessima articolazione italiana.
Imparagonabile è anche la frase “risponde il gufo al suo lugubre addio” in cui la Gencer aveva scalato un arco emozionale più vasto (smarrimento, tensione, determinazione). La Verrett dispone di minori risorse dinamiche e cromatiche, quindi la prima parte della frase è senza tensione; si scalda solo alla fine “lugubre” e “addio” .

“Chi va?” chiede Cappuccilli.

Anche la Verrett, come la Gencer, vorrebbe avventarsi con precipitazione nella sua risposta “ch’ei fosse di letargo uscito” ; ma il difficile rapporto con la lingua italiana le impone un tempo più lento e un’articolazione più circospetta. Il risultato è molto meno brillante.

“Tutto è finito” sussurra Cappuccilli.
E noi andiamo avanti.

MACBETH
Fatal mia donna! Un murmure,
com'io, non intendesti?

LADY
Del gufo udii lo stridere...
Testé che mai dicesti?

MACBETH
Io!

LADY
Dianzi udirti parvemi.

MACBETH
Mentre io scendea?

LADY
Sì!

MACBETH
Di'! Nella stanza attigua
chi dorme?

LADY
Il regal figlio...

MACBETH (guardandosi le mani)
O vista, o vista orribile!

LADY
Storna da questo il ciglio...

MACBETH
O vista orribile! O vista orribile!


Gui e Abbado staccano praticamente lo stesso tempo e anche l’intensità degli archi è simile.
La Gencer, come sempre, è interprete rifinitissima, che ragiona su ogni frase. Ce ne accorgiamo subito, quando - alla domanda di Macbeth “un murmure non intendesti?” - risponde con un tono che contrasta profondamente con quello di Taddei.
Freddo, tagliente, sempre in mezzoforte, perentorio con un'ombra di sufficienza e risentimento.
“del gufo udii lo stridere! Testè che mai dicesti?”.
Stesso effetto.
Lui (Taddei) si affanna in pianissimi e sussulti, lei ferma, altera, mascella dura. La sua voce non cambia colore, né intensità.
“dianzi udirvi parvemi” “il regal figlio”…
Solo il “sì” pare caricarsi involontariamente di una lievissima tensione (c’è paura anche in lei o semplicemente non è più in grado di frenare l’irritazione?).

Poi Macbeth si rivela: “O vista, o vista orribile!” urla con fin troppa enfasi Taddei.
Ma la Gencer tiene duro: anche “storna da questo il ciglio” ha lo stesso colore freddo, ma stavolta non è più possibile negare il sarcasmo (sentite cos’è il colore di quello “storna”).

Ora fate stop e torniamo ad Abbado.

Dopo la Gencer, sentire la povera Verrett arrancare in “del gufo udii lo stridere! Testé che mai dicesti” fa quasi tenerezza.
Non è solo la difficoltà della lingua a colpire, ma la genericità dell’accento , la retorica da teatrino di paese.
Per nulla aiutata da Abbado, bisogna essere sinceri, la Verrett non trova di meglio che esibire un tono acido e insinuante da “cattivaccia” che non solo non è originale (quanto lo era stata la Gencer) ma nemmeno credibile.
E se lo porterà dietro per tutto il duetto (anzi, ahimè, per tutta l'opera).
Personalmente l’immagine che mi evoca questo biascicamento a occhietti stretti è la strega in qualche recita natalizia per bambini.

La VErrett inoltre è estremamente limitata in termini di colori e chiaroscuri (vitali in Verdi); qualche volta ci si prova, come ad esempio nella frase “dianzi udirti parvemi”. Ma poi ricasca nei suoi zoppiccamenti di pronuncia e nel piglio da strega per bambini: il "sì" (pur non essendo brutto) è sibiliato alla sir Biss.
“Il regal figlio” e “storna da questo il ciglio” sono detti e cantati un po’ meglio, con una sensazione di palpitazione, ma si ha sempre l’idea di un’eccessiva uniformità di colori e di effetti.

Andiamo avanti.

MACBETH
Nel sonno udii che oravano
i cortigiani, e Dio
sempre ne assista, ei dissero;
amen dir volli anch'io,
ma la parola indocile
gelò su' labbri miei.

LADY
Follie!

MACBETH
Perché ripetere
quell'amen non potei?

LADY
Follie, follie che sperdono
ai primi rai del dì.


Torniamo a Gui.
Lasciamo che Taddei faccia la sua tirata; per inciso è molto convincente (grazie all’abile, farneticante dinamica).
La Gencer commenta (sempre fredda e distante) il suo ripetuto “follie”.
Ma attenti! Aguzzate le orecchie perché sta per arrivare uno di quegli attimi di genio da cui dipende un’interpretazione.

Dopo che Taddei ha detto “quell’amen non potei”, Gui e Gencer fanno una cosa imprevista. Con un'intesa assolutamente perfetta, caricano il ritmo, lo sbalzano di sinistra volgarità paesana (zùm pà pà, zum pà pà).
Su questo rapidissimo valzer di morte la Gencer si mette a piroettare, fluorescente e leggera come una ballerina.
Sentite con quanta precisione stacca il ritmo (“foll-ì-e, foll-ì-e”), come ghermisce leggermente i tempi forti (“che *spèr*dono), come cristallizza il favoloso arpeggio (alla ripetizione di “follie”), facendo della sua voce un perfetto e sinistro carillon.
C’è da restare stupefatti. L'idea non è solo originalissima (nessuno nella discografia esegue in questo modo quel passo) ma grandiosamente realizzata. Pochi secondi appena, ma siamo nel genio...

Bene, ora schiacciate pausa e torniamo ad Abbado.
Il confronto è semplicemente demoralizzante.
Intanto Cappuccilli è a sua volta molto meno persuasivo di Taddei, anche perché Abbado lo spinge sulla pessima idea di accentare a piena voce le frasi dei cortigiani (Nel sonno udii che oravano i cortigiani: “E Dio..”).
Non solo è una soluzione un po’ sciocca, da calligrafismo gratuito, ma Cappuccilli non è l’interprete giusto per sfoggi di dialettica.

Ma torniamo alla Verrett: i primi due “follie” non sono male: sempre un po’ sovraccarichi, ma almeno “colorati” (tensione, agitazione, paura).
Purtroppo ben modesto è il “follie, follie che sperdono i primi rai del dì”.

Ora, io non pretendo che la Verrett e Abbado rinnovino il colpo di genio della Gencer e di Gui, inventandosi anche loro qualcosa di strano e sconvolgente. Ma quella che ci propongono non ha davvero niente che vada oltre una banale lettura: la Verrett poi non potrebbe seguire il direttore in giochi ritmici e dinamici particolari, perché è già abbastanza in difficoltà tecniche; l'arpeggio è praticamente un portamento...
non parliamo dei soliti orrori di pronuncia (folie)
Ok, ok, in fondo era americana!"
Ma la Gencer non era forse turca?
E i preparatori di Palermo sono tanto più bravi di quelli della Scala o della deutsche Grammophon?

Bah… procediamo.

MACBETH
Allor questa voce m'intesi nel petto:
avrai per guanciali sol vepri, o Macbetto!
Il sonno per sempre, Glamis, uccidesti!
Non v'è che vigilia, Caudore, per te!

LADY
Ma, dimmi, altra voce non parti d'udire?
Sei vano, o Macbetto, ma privo d'ardire;
Glamis, a mezz'opra vacilli, t'arresti,
fanciul vanitoso, Caudore, tu se'.

MACBETH
Vendetta! Tuonarmi, com'angeli d'ira,
udrò di Duncano le sante virtù.

LADY
(Quell'animo trema, combatte, delira...
Chi mai lo direbbe l'invitto che fu!)


Taddei si lascia andare a un'enfasi eccessiva.
Ma a noi è la Gencer che interessa.
“Ma dimmi altra voce non parti d’udire”.
Finalmente un po’ di umanità si insinua nel suo canto.
Il suono è appena più liquido e il legato più “comprensivo”.
Poi comincia la progressione (vocale e psicologica) delle frasi successive.
“Sei vano, Macbetto, ma privo d’ardire” è già più intenso, ma resta un mezzoforte, appena ombreggiato di dolcezza. Il “d’ardire” è quasi civettuolo (appena, appena).
Ma sentite il ritmo: la frase è tenuta saldamente in pugno, preceduta dall’incisiva anacrusi (Sei-vano).

L’intensità cresce con la frase successiva “Glamis a mezz’opra vacilli, t’arresti”.
“mezz’opra” “vacilli” sono sottolineate con un piglio più scandito.
L’approdo alla frase successiva “fanciul vanitoso, Caudore, tu sei” è a voce spiegata, ma sempre con quel distacco freddo, di chi si impone la calma, di chi schiaccia dentro di sé l’ombra del disprezzo.

In compenso sentite cosa combina la nostra quando parla fra sé e sé:
“Quell’animo trema, combatte, delira. Chi mai lo direbbe l’invitto che fu!”
La voce si fa espressiva, ma il colore è nuovamente opalescente (suoni alti), e la precisione ritmica torna a farsi sostanza psicologica.
Il sottile disprezzo (un filo divertito) si accentua nello splendore dei mordenti su “delira”, “mai” “direbbe”.
Solo “invitto” (alla fine) assume un colore davvero sprezzante.

Tutto il resto del duetto è praticamente tenuto in piedi (ritmicamente) dalla Gencer, che procede con tale perfezione insieme agli archi da lasciare di stucco. Sembra che diriga lei.
E' questa tensione ritmica che ci costringe a restare attenti e coinvolti fino alla fine, mentre - come vedremo - con Abbado e la Verrett dopo un po ci si annoia.

Fermo restando che Cappuccilli continua a sembrarmi generico e impacciato, la Verrett parte, occorre ammetterlo, benissimo con “ma dimmi altra voce non parti d’udire”?
Non che comunichi molto, ma la frase è tenuta con sibillina sottigliezza e si risolve (splendidamente) in un “d’udire” puntuto, sottile e molto allusivo.

Poi purtroppo si ritorna subito nella prosa: a parte i brutti effetti gravi di “sei vano” “vacilli”, tutta la frase, nella sua sognante e stralunata stabilità, è distrutta da una serie di sottolineature a singulto, non solo dozzinali, ma soprattutto anti-verdiane (sei và-nò-mà; d’ardì-hìre, glamis-hà-mèz-zò).
Ma niente in confronto della bruttura di “quell’animo trema”.
Peccato perché qui Abbado, finalmente, tira fuori le unghie del raffinato concertatore (con quei colpetti d’arco simili a punture di spillo), ma la Verrett stacca le note con l'impaccio e il disagio di una studentessa, e il risultato è uno spappolamento miserando di tutta la frase!
Inoltre non c’è un cambiamento di colore, un gioco dinamico, un’intenzione che riveli un disegno psicologico.
Non si vede l’ora che il brano finisca…
fortunamente, sulle ultime battute, la Verrett si riscatta con un interessante “chi lo direbbe, chi lo direbbe, l’invitto che fu”, dove si fa largo qualche colore sinistro e convincente, ma ancora una volta senza lontanamente avvicinarsi alla vellutata ambiguità della Gencer.

Bah…. Procediamo.

LADY
Il pugnal là riportate...
Le sue guardie insanguinate...
che l'accusa in lor ricada.

MACBETH
Io colà?... Non posso entrar!

LADY
Dammi il ferro.

MACBETH
Ogni rumore mi spaventa!
Oh questa mano!
Non potrebbe l'oceano
queste mani a me lavar!



Per la prima volta, la Gencer tira fuori tutta la sua rabbia per l'inerzia del marito.
Ancora una volta l’adesione ritmica è perfetta; notare l’evidenza dell’affondo nel registro di petto (“là riportàte”).
E’ tale lo sdegno che, alla frase “Dammi il ferro!”, la Gencer perde il controllo e su “ferro” commette un passo falso.

Questo è l’unico punto in cui l’edizione di Abbado mi pare superiore.
La secchezza categorica dell’accompagnamento di Abbado è travolgente.
Anche la Verrett pare a suo agio e risponde bene alla sollecitazione.

Ma avviamoci al finale, perché anche qui ci sarà una grossa sorpresa! :)


LADY
Vedi! Le mani ho lorde anch'io;
poco spruzzo, e monde son.
L'opra anch'essa andrà in oblio...

MACBETH
Odi tu? Raddoppia il suon!

LADY
Vien!
Vieni altrove! Ogni sospetto
rimoviam dall'uccisor;
torna in te! Fa' cor, Macbetto,
non ti vinca un vil timor.

MACBETH
Deh potessi il mio delitto
dalla mente cancellar!
Deh, sapessi, o re trafitto,
l'alto sonno a te spezzar!



La Gencer entra - come sempre - perfetta sui ritmi, con piglio fermo, deciso e “professionale” (notare l’evidenza ritmico di “oblì-ò).
Poi… ancora il genio.
“Vien”… la Gencer sfodera su questa parola (appena ghermita a mezza voce) il suo strepitoso registro misto, ambrato di voluttà!
Una parola che ne dice diecimila: c’è l’urgenza di nascondersi dell’assassina che sta per essere scoperta, ma c'è anche l’imperiosità dolce, a fior di labbra, della moglie che sa come trascinarsi dietro il marito.
Una parola che vale quanto un’aria.

Ma non è ancora niente.
Quel che segue è ancora più straordinario.
“Vieni altrove e ogni sospetto rimoviam dall’uccisore”
Soprano e direttore ingranano la marcia e partono verso le vette dell’arte verdiana.
Tempo rapidissimo, leggerissimo, agilissimo, in cui il soprano si muove con la sicurezza di un’atleta, si avvinghia alle parole (sentite le s di “uccisore”, le r di “fa cor”), ne assapora il suono, si scaglia sul ritmo con improvviso sussulti (fa cor macbet-TO).
E ancora una volta, uscendo di scena e calandosi nell’ombra, quegli arpeggi fluttuanti come un velo, tutti perfettamente incastonati nel ritmo affannoso della stretta.

Ecco, questo è dominare da dentro l’opera italiana, il respirare con lei.
Ciò che, mi spiace, né Abbado, né la Verrett possono fare.

Nella stretta Abbado stacca un tempo sbagliato, non solo perché è lento, ma perché è legnoso, schematico, senza alcun respiro interno, che rende triviale la melodia.
Dov'è andata l'agitazione aerea di Gui, la nevrotica leggerezza...
Non è questione di “suono” (che anzi ai violini della Scala scappano alcuni effetti niente male) quanto di respiro interno.
Per colpa anche di Abbado, la povera Verrett è qui semplicemente ridicola: evoca una anziana signora a cui salta in mente di cantare, a una festa, una canzonetta popolare di quando era bambina.

Ecco le mie impressioni.

Salutoni,
Mat
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Messaggioda Pruun » mar 19 feb 2008, 0:21

A me i clip audio non si sentono, né con Mozilla, né con IE!! :evil: :evil: :evil:

Ma non importa, tanto ho i cd sottomano.

Che dirti, Mat? Sulla Gencer sono d'accordo: la trovo una grandissima interpretazione.
Ma sulla Verrett non condivido:
Innanzitutto il timbro. Tu dirai e che importa? invece per me importa, eccome...
Lamento, innanzitutto, non mi pare troppo caricato, anzi...

Questa Lady è sensuale, ferina,... io nel suo "Follie" ci sento una sfumatura supponente, materna, perfino (nel tono generale, come di quanto si rimprovera un bambino pauroso del buio)... un'impressione che mi si rafforza nell'ironia del "Ma dimmi altra voce.." anche qui con una fumatura materna che io trovo molto personale e seducente e, per quel che mi riguarda, contrasta in modo molto feroce con il progressivo disfarsi della ragione di Lady che "ammireremo" negli atti seguenti...

Se mi dici che la Verrett non sembra spalancare gli occhi sulla nevroticità come la Gencer... ok: ma questa femminilità rigogliosa e sensuale, questo complesso edipico mostruoso evocato dalla morbidezza della voce e dalla sicurezza (apparente) del personaggio (mica sempre poi... "Dammi il ferro" è quasi isterico...) a me pare non meno efficace. Non la trovo una cattivaccia da fumetto, per niente.

Poi perché la cabaletta non ti convince? A me piace molto, ci ritrovo quanto ti ho già detto. Non mi sembra affatto una vecchia signora, se proprio deve cantare una canzoncina la canterebbe a quel fregnone del marito che ha paura del buio... ma a parte tutto per me non è ridicola e non canta canzoncine... mi pare che regga bene il tempo di Abbado e crei qualcosa di molto diverso dall Gencer ma, almeno alle mie orecchie, non meno efficace....

Insomma non ti voglio dire che una è meglio dell'altra, ma semplicemente che mi sembrano due modi diversi di affrontare il personaggio, per mio conto validi entrambi e molto personali entrambi...

Qui che ne pensi?
http://www.youtube.com/watch?v=19jKisnvhME

Ciao ciao
Pruun distruttodall'esameechedomanideveandareanchealavorareconilcervellochesembraunencefalogrammapiattoecomebuonanottedevesentirsipuremettereindubbiolagrandezzadellaLadydellaVerrett
...vabbédailosaichestoscherzandono?
:evil: :evil: :evil: :wink: 8)
Orrenda orrenda pace
la pace dei sepolcri
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Messaggioda walpurgys » mar 19 feb 2008, 1:22

In una ideale classifica la Callas siederebbe sul podio, la Verrett al secondo posto, la Gencer al terzo.

Le due voci in questioni rappresentano sostanzialmente due grandi interpretazioni, rese tali da una diversa sensibilità e dal fatto che leggono lo stesso personaggio in maniera diametralmente opposta:
La Gencer fa della sua Lady una colonna granitica di malvagio, calcolato, freddo raziocinio.
Non c’è un attimo di cedimento in questa donna, non viene attraversata nemmeno da un brivido di paura, è sicura di se e la sua attesa esprime la voglia di vedere il Re finalmente morto non tanto per il potere, ma come risultato finale di un piano da lei partorito che giunge finalmente al termine secondo la propria visione..
Questa Lady il potere e l’orgoglio ce lo ha già

Taddei con quel "Chi v'ha?" avrebbe svegliato il cadavere di Duncano e tutto il castello... :lol: ...ma poi il suo è un lento precipitare dalla colpevolezza all'angoscia.
Gui distende un lugubre, lento ed inesorabile accopagnamento.

La Verrett è completamente diversa:
quello che mi impressiona in lei e che me la fa preferire alla pur eccellente Gencer è il fraseggio che ha fatto tesoro del modello Callassiano riuscendo a crearne uno altrettanto originale!
Nella frase “Regna il sonno su tutti. Ah qual lamento risponde il gufo al suo lugubre addio!” letteralmente illumina la frase di una serie infinita di sfumature;
Tutto è detto praticamente a mezzavoce, all’inizio è sinuosa e circospetta, poi viene attraversata dalla paura e dallo spavento creando un’attesa ed una tensione spasmodica ed incalzante.
Poi questa donna è letteralmente attraversata dalla propria nevrosi, la voce esprime lo sbigottimento e si trasforma in un sospiro liberatorio, ma velato da un senso materno e di protezione.
Riesce ad essere beffarda e malefica in "Ma dimmi altra voce non parti d'udire!" con una sottigliezza ed una eleganza che manca alla Gencer, la quale trasforma la frase più in una reale constatazione che in un ironico insulto!
Poi la Verrett quando le due voci si fondono sembra realmente parlare a se stessa in maniera fosca e rassegnata ed il successivo "Il pugnal la riportate..." ha la velocità di una idea geniale e diabolica fulminea per crearsi l'alibi coronato da un "Dammi il ferro!" di irresistibile ferocia, mentre la Gencer ugualmente grande dice la frase mantenendo sangue freddo come logica conseguenza del piano (anche se cantato in modo parecchio arruffato).
La Verrett può anche contare su un timbro ricco, velato da un morbido velluto nero, sensuale e cangiante;
La Gencer ha dalla sua una voce di natura luminosa, ma resa fosca ed espressiva da un fraseggio calcolatissimo.

Cappuccilli è un Macbeth nevrotico come la moglie che viene letteralmente fagocitato dalla mostruosità del suo gesto, cosi' da interpretare il duetto come la rievocazione di un incubo in stato quasi di sonnambulismo con scatti improvvisi di lucidità e pietà.
Abbado lucido, analitico, teso come un Thriller, sa creare l'attesa e la suspance con un' atmosfera gotica e untuosa, nerissima e avvolgente.
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Herrlichste Maid!
Dir Treuen dank' ich
heiligen Trost!...''
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Messaggioda gustav » mar 19 feb 2008, 1:30

Scusate se riposto un precedente messagio, ma mi sento di aggiungere ben poco al dibattito: sono sostanzialmente d'accordo con Pruun; per quanto mi riguarda, pur nel loro differente modo d'esprimersi mi piacciono entrambe, e molto...

Casomai dissento dall'annotazione riguardante un tempo sbagliato di Abbado unito ad una eccessiva legnosità e ad una mancanza di respiro interno...Al posto di questo io trovo che ci sia un continuum, a livello di scelte esecutive, che esprime una sostanziale coerenza con quanto fatto in precedenza dal direttore...A mio avviso è un problema di apprezzare o meno l'impostazione data da Abbado...Insomma voglio dire che Abbado non poteva arrivare a questo punto e dare una interterpretazione diversa da quella data. Magari proprio in questo punto può piacere quanto fatto da un altro direttore, ma se questo passaggio lo mettiamo in relazione con il resto, vedremo che funziona, anche perchè evidenti errori esecutivi non riesco a ravvisarli...

Riguardo al mio precedente post che dicevo, eccolo qui e riguarda la Cossotto (dato anche che il post si chiama: Verrett/altre Lady Macbeth)

"dato che si parla di grandi lady macbeth, cosa pensate della Cossotto? La dobbiamo considerare fra le grandi di questo ruolo?
Io trovo interessante che grazie al suo registro abbia cercato di "farsi largo" in questa parte...Se non sbaglio l'unica testimonianza che abbiamo è solo in disco con Muti, che per l'occasione mi sembra molto ispirato...Passando agli altri, anche il resto del cast mi sembra di alto livello...Che dite?
«Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa»
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