Venerdì, 29 Marzo 2024

Backstage: Mozart e il suo Requiem - Ottava parte - di Francesco Zicari

Aggiunto il 08 Settembre, 2012

Miei signori! la vostra gentile lettera del 24 gennaio mi ha procurato il più grande piacere, (...)Per il "Requiem" [Introito] col "Kyrie", il "Dies irae" [Sequenza] e il "Domine Jesu Christe"[Offertorio] Mozar ha portato a termine completamente le quattro parti vocali e il basso numerato; ma per l'orchestrazione solo di tanto in tanto ne ha indicato il motivo. Nel "Dies irae" [Sequenza] l'ultimo verso messo in musica era "qua resurget ex favilla" [judicandus homo reus]; per il resto il suo lavoro per il resto il suo lavoro era nello stesso stato delle sezioni precedenti. Io ho ultimato. Io ho ultimato completamente il "Dies irae"a partire da l verso "judicandus homo reus", eccetera. il "Sanctus", il "Benedictus" e "L'Agnus Dei" sono tutti costruiti ex novo da me: mi sono permesso soltanto, per conferire per conferire all'opera maggiore uniformità, di ripetere la fuga del "Kyrie", al verso "Cum sanctis". (Sussmayr all'editore Breitkopf & Härtel, 1800)

Abbiamo già fisto come fino all'Hostias conosciamo con precisione le parti autografe di Mozart e possiamo quindi facilmente distinguerle da quelle composte dai suoi allievi; per ciò che concerne le parti successive, non essendoci pervenuto alcun autografo mozartiano, nulla si può dire con certezza riguardo a "quanto Mozart" sia presente nelle pagine in questione. Secondo Sussmayr il Sanctus, il Benedictus e l'Agnus Dei sono interamente frutto della sua penna. E' opinione diffusa anche tra gli addetti ai lavori che, se è pur vero che queste rappresentano senza dubbio le parti più deboli della messa, sono comunque troppo ingegnose nell'invenzione dei temi per essere il frutto di un compositore maldestro come Sussmayr, che ha dimostrato non solo scarsa perizia nel lavoro di completamento del Requiem, ma pure scarsa ispirazione nei suoi lavori sacri originali. Ma si possono anche avanzare congetture più consistenti. E' dimostrabile, ad esempio, il fatto che Mozart avesse inteso il Requiem come un'operaciclica il cui tema iniziale è la cellula generatrice: la fuga del Kyrie appare derivata dal tema dell'introitus, così pure la parte di basso del Dies Irae, il tema del Recordare, la fuga dell'Offertorium e altre cellule tematiche sparse quì e là. Sembra che le parti successive della messa non sfuggano a questa regola. Sulla ciclicità in particolare, che risponde all'estetica di riconciliazione di cui si è parlato altrove, diremo meglio in seguito, limitiamoci ora a rispondere alla domanda "quanto Mozart c'è nella seconda parte del Requiem?".

Il Sanctus e il problema della paternità

Dopo la Sequentia il Sanctus appare come uno squarcio tra le nubi. Questa solenne celebrazione della grandezza divina, quasi in stile luterano alla J.S. Bach (si ascolti il Sanctus della messa in si) è in realtà ricavata dal tema del terrificante Dies Irae, opportunamente trattato e trasposto in tonalità di re maggiore, tonalità "solare" che appare - non a caso - per la prima volta durante la messa. Persino l'accompagnamento dei primi violini, giudicato da alcuni musicologi banale opera di completamento (e come vedremo da alcuni addirittura sostituito da uno "più mozartiano"), non sarebbe altro che lo stesso accompagnamento di risposta alle voci presente nel Dies Irae (e quindi totalmente mozartiano). Il contrasto concettuale Dies Irae = Dio giudicante, re min. vs Sanctus = Dio misericordioso, re magg., assieme all'affinità tematica che lega i brani, rappresentano qualcosa di troppo sottile e raffinato per essere un'idea di Sussmayr (che, come abbiamo visto, aveva tra l'altro solo interesse a terminare prima possibile il suo lavoro), viceversa si inquadrano piuttosto bene in tutta la poetica dell'opera così come Mozart l'aveva intesa. Non è un caso che Sussmayr pasticci più che mai con l'armonia (si trovano orrori come do contro do#), gli arrangiamenti (scrittura scorretta delle parti dei corni di bassetto e soliti raddoppi inopportuni) e le modulazioni(vedi più avanti), nel vano tentativo di sviluppare un'idea probabilmente non sua.
Il soggetto della fuga dell'Osanna che segue il Sanctus appare invece basato sulle prime 4 note del Recordare, cui segue il tema dell'Introitus in inversione; artificio brillante che non trova altrettanto brillante prosecuzione, dato che la fuga è poi sviluppata in maniera fin troppo pedestre, risultando tronca dopo poche battute (Sussmayr non sapeva come continuarla?) e riappare dopo il Benedictus addirittura in un'altra tonalità (in Si bemolle e non in Re, fatto unico in Mozart e nella letteratura sacra dell'epoca). E in realtà alla battuta 50 di un Benedictus più esteso e rifinito di quanto ci si possa attendere uno spunto modulante per tornare in Re e ripetere la fuga in tono c'è ma, evidentemente, Sussmayr è incapace di sfruttarlo e chiude il numero nella stessa tonalità in cui era cominciato, in Si bemolle, costringendosi a trasporre la fuga nel medesimo tono. Lo stesso tema del Benedictus, col suo incipit affine ancora al Recordare e al Tuba mirum, oltre che zeppo di moduli ricorrenti, vedi la scala discendente (un clichè presente in vari punti della partitura) pare ricavato dalle solite cellule tematiche (nelle battute 18-20 si può avvertire anche il "lux perpetua" dell'Introitus). Ciò rafforza ulteriormente l'idea che i temi principali siano composti da Mozart e successivamente sviluppati con poco ingegno da Sussmayr. Non è da escludere pure quanto riportano alcune cronache, cioè che Mozart, allettato e impossibilitato nella scrittura da un terribile gonfiore diffuso che lo affliggeva, avesse lavorato per alcuni giorni dettando a Sussmayr quanto gli veniva in mente. Possibile che Sussmayr potesse aver utilizzato appunti del maestro o potesse aver preso dal maestro suggerimenti? la tesi affermativa è suffragata non solo dalle numerose dichiarazioni dello stesso e della vedova Mozart (da sempre considerate inattendibili perchè mirate a rafforzare l'idea di un Mozartdeus ex-machina), ma pure e soprattutto da un paio di aneddoti interessanti.

L'Amen e la questione dei frammenti spuri

Tra i brani incompiuti di Mozart che Sussmayr si impegnò a completare (Costanze voleva vendere agli editori tutta la musica del marito in suo possesso per ricavarne il maggiore guadagno possibile) vi è anche un piccolo rondò in re maggiore per corno e orchestra, il K.514. Uno degli episodi del rondò è un'insolito e inspiegabile tema in la minore, una sorta di salmodia funebre in modo dorico. Dopo che per anni gli studiosi si sono interrogati sulla stravaganza di quel frammento tetro inserito in un contesto così frivolo, si è scoperto che questo fu aggiunto da Sussmayr che, probabilmente, sfruttò uno degli appunti mozartiani destinati al requiem nel primo brano incompleto che gli capitò sotto tiro. Che Mozart lavorasse appuntandosi le idee su fogli volanti è risaputo. Se è vero che il maestro scriveva spesso senza apportare alcuna correzione sui suoi autografi, è pur vero che non sempre componeva di getto, ma anzi spesso sfruttava idee tematiche buttate giù quì e là anche molto tempo prima. Nel caso del Requiem, questi appunti furono prontamente distrutti da Costanze dopo il completamento, in modo da consacrare il lavoro di Sussmayr come definitivo e più attendibile possibile. Evidentemente uno di questi fogliettì sfuggì alla povera vedova, tant'è che negli anni '60 fu ritrovato per caso dallo studioso Wolfgang Plath. Il foglio riporta un tema utilizzato nell'Ouverture del Flauto Magico, un Allegro non ben identificato, l'abbozzo di un fugato che poi risulterà essere il Rex Tremendae, e un abbozzo di una complessa fuga che, secondo alcuni musicologi, corrisponderebbe alla fuga dell'Amen che avrebbe dovuto concludere, secondo prassi, il Lacrimosa. La fuga, fiorita "nello stile italiano", pare proprio affine a quella dell'Amen dallo Stabat Mater di Pergolesi, un pezzo evidentemente celebre già a quell'epoca. Pareindubitabile (data la presenza dei frammenti coevi sullo stesso foglio) che quella cellula fosse destinata al Requiem, tanto più che il tema della fuga pare proprio ricavato per inversione dal famoso tema dell'Introitus. Atteso che sembra poco probabile che questo sia l'unico appunto che Mozart prese all'epoca del Requiem, è plausibile che Sussmayr abbia potuto attingere ad altri frammenti tematici del maestro per completare l'opera. Come mai allora non ha utilizzato il tema di quella fuga? Se il frammento è stato ritrovato vuol dire che era, come si è detto, sfuggito a Costanze (e quindi a Sussmayr), come è probabile anche che, seppure questi ne fosse venuto in contatto, l'incompetenza nell'arte dello sviluppo polifonico dell'allievo (che traspare evidente nella fuga dell'Osanna) avesse scoraggiato lo stesso nel cimentarsi in una realizzazione ancora più complessa quale si prospettava la detta fuga. Non si può sapere con certezza, ma tale foglio prova non solo l'esistenza di appunti autografi non ufficiali, ma contribuisce indirettamente ad avvallare l'ipotesi di una paternità mozartiana del Sanctus e del Benedictus, e conferma ancora la stretta rete di relazioni tra motivi che, vedremo in seguito, sarà qualcosa di più che un artificio per conferire maggiore unità al pezzo.

L'edizione Levin

Alla luce di queste considerazioni, alcuni filologi hanno ritenuto le edizioni critiche di Beyer e Robbins Landon ancora troppo poco soddisfacenti. Robert Levin ad esempio ha un approccio ancora più radicale alla questione. Per avvicinarsi il più possibile ad un'ideale "mozartiano" alleggerisce ancora più di Beyer la strumentazione, eliminando quasi tutti i raddoppi e mettendo così in risalto le trame vocali. Contrariamente a questi però, è dell'opinione che il fine giustifica i mezzi, e appare quindi favorevole a modifiche più sostanziali dello spartito, tant'è che non si limita a mere correzioni, ma si impegna nella riscrittura di molti passaggistrumentali considerati frutto della cattiva fantasia di Sussmayr, aggiunge una fuga di 88 battute sul frammento dell'Amen, completa la fuga dell'Osanna e provvede ad una corretta modulazione nel Benedictus affinchè la fuga si possa ripresentare nella stessa tonalità come da manuale; compone addirittura - specie nella seconda parte - piccole modifiche alle parti vocali e transizioni diverse tra i numeri. Nel complesso l'intervento può apparire ulteriormente migliorativo, ma ciò non implica che sia sempre artisticamente felice e/o filologicamente più corretto (ad esempio sostituisce arbitrariamente le note dei primi violini in risposta al Sanctus con una figurazione più fiorita che egli giudica più "mozartiana", ignorando però la relazione che quel passaggio ha con le note omologhe dei violini nel Dies Irae). Sicuramente Levin solleva ulteriori interessanti questioni, come ad esempio l'introduzione dei clarinetti nel Sanctus. La modifica si basa sull'idea che Mozart non avrebbe mai usato in un pezzo scritto in re maggiore i corni di bassetto, tagliati in fa maggiore. I sofisticati principi di costruzione, sperimentati negli anni trenta dell'ottocento da Theobald Böhm, consentirono agli strumenti a fiato di suonare in tonalità differenti, in modo tale che essi erano in grado di emettere un suono uniforme in qualsiasi tonalità. Ma gli strumentisti del '700 non avevano avuto questa fortuna. Il suono del loro strumento risultava infatti più fievole e irregolare quando suonavano in una tonalità diversa da quella in cui esso era tagliato. Sussmayr tra l'altro, trovandosi in difficoltà con le armature in chiave, è costretto a scrivere le alterazioni dei corni volta per volta. E' più plausibile pensare che Mozart avrebbe sostituito i corni di bassetto coi clarinetti tagliati in la maggiore, optando per una soluzione più pratica, una scrittura più lineare e per un suono d'insieme coerentemente più chiaro, ipotesi che Levin sostiene e applica alla sua revisione.


L'Agnus Dei e il Mozart riciclato

Per anni ci si è interrogati sull'origine dell'Agnus Dei. Atteso che più che negli altri numeri la scrittura sembra straordinariamente buona e il risultato insolitamente unitario, quindi difficilmente attribuibile al solo Sussmayr, il musicologo Richard Maunder in tempi recenti ha notato che gran parte del materiale che costituisce questo numero è ricavato da un episodio del Gloria della Messa Breve K.220 dello stesso Mozart. Si dirà: è plausibile che Sussmayr fosse arrivato ad un punto morto, e non avendo più a disposizione alcun appunto e/o disposizione del maestro, avesse deciso di pescare materiale già edito di Mozart stesso. Epperò, a questo punto, non si spiegano di nuovo certi rimandi tematici ancora più elaborati dei casi precedenti (oltre al basso iniziale, una figurazione dei violini sul finale che riprende l'introitus in moto retrogrado, come pure una complessa citazione interna della fuga del Kyrie). E ammesso che Sussmayr fosse stato capace di una tale rielaborazione (ma poi perchè si sarebbe dovuto preoccupare di complicarsi così il lavoro se già aveva semplificato al massimo la scrittura strumentale nella prima parte?!), perchè pescare proprio la K.220 e non un'altra messa? Scopriamo che la K.220 sembra essere la prima messa di Mozart in cui nel finale ricompare il tema dell'incipit (nello stile, manco a dirlo, di Michael Haydn). Inoltre la K.220 è una delle messe più brevi di Mozart, ed una delle più povere di polifonia (diremmo "più moderna"). E' plausibile quindi che Mozart in persona abbia attinto dalla messa K.220 proprio perchè giudicata da lui stesso più in sintonia col discorso che intendeva svolgere nella seconda parte del Requiem. Qualcuno ha notato anche una similitudine con un motivo dei violini presente nella messa K.66, non a caso la prima importante messa mozartiana (e il fatto che tale frammento sia alla base del finale dell'ultima messa dello stesso autore sarebbe undettaglio abbastanza significativo). Sia come sia, difficile immaginare che Sussmayr conoscesse tutta la produzione sacra del suo maestro. E' più probabile che invece fosse a conoscenza dell'architettura del pezzo, e/o disponesse già di questo materiale. Se così fosse, anche il "ripescaggio" dei temi iniziali nel Communio, operato da Sussmayr, sarebbe (consapevolmente o no) vicino alle volontà effettive di Mozart (che pure aveva già riadoperato quest'espediente nella "Coronation Mass" K.317). Perchè allora Mozart si sarebbe "riciclato"? Non è infrequente che un compositore si autoricicli (specie nella situazione di contingenza ed indigenza, fisica ed economica, in cui versava Mozart), ed in questo caso l'autocitazione, che sia stata dettata dalla fretta di terminare il lavoro o da altre esigenze artistiche/estetiche se non addirittura mistico-superstiziose, avrebbe un significato in più: in un lavoro che raccoglie spunti musicali tra i più disparati, citando ora Handel ora Anfossi ora Haydn, nell'ultimo brano prima della ricapitolazione Mozart cita Mozart, chiudendo il cerchio anche in senso storiografico. E ricordiamo pure come nella messa il percorso dall'antichità barocco-rinascimentale fino alla contemporaneità sia progressivo. Mozart in altre parole porrebbe la sua musica come punto più alto di elaborazione storico-stilistica dei modelli precedenti. Non dimentichiamo neanche l'importanza che Mozart dava al momento dell'Agnus Dei (come è evidenziato dallo stralcio di conversazione con Doles pubblicato qualche puntata fa): l'agnello di Dio diventa una sorta di chiave di volta della "filosofia mistica del perdono" che il Requiem traduce, la creatura salvifica attorno a cui ruota tutta la liturgia chiesastica e di conseguenza tutto l'impianto musicale ad essa collegata. Il Cristo mozartiano è la rappresentazione di "ogni Io", e non è quindi da escludere che lo stesso Mozart non si identificasse in esso. La comunione non è quindi più intesa come "corpo di Cristo",quanto atto purificatorio di remissione ovvero di avvicinamento all'esempio più sublime ed al contempo umano di uomo.

L'incompiuto Lacrimosa e l'ipotesi della ciclicità

Anche il destino dell'incompiuto Lacrimosa pare sottilmente legato a queste congetture. Contrariamente alla tradizione romantica (messa in giro dalla stessa Costanze Mozart), che vuole che l'autore sia stato colto dalla morte all'ottava battuta del Lacrimosa, e che quindi siano quelle le ultime note scritte dal maestro, il Lacrimosa presenta una interruzione precisa al termine del primo climax, prima cioè del suo sviluppo. La scrittura sull'autografo non appare affatto incerta, di un uomo sofferente o allettato (ricordiamo che negli ultimi giorni di vita Mozart non potè scrivere di suo pugno a causa di un fortissimo gonfiore diffuso), tanto più che dopo il Lacrimosa Mozart compone l'intero Offertorium in particella. Anzi, secondo alcuni studi Mozart compose il Lacrimosa addirittura prima del Recordare (non stupisce, considerando che su uno stesso foglio di appunti abbiamo visto si potevano trovare abbozzi di sezioni diverse, abbozzi che poi il compositore sviluppava solo successivamente sulla partitura principale). E' abbastanza evidente che Mozart si sia volutamente interrotto in quel punto per poter riprendere il lavoro successivamente. Ma perchè? La chiave sta, forse, nel verso "Dona eis requiem" che troviamo tanto nel finale non musicato del Lacrimosa quanto nell'altrettanto disperso Agnus Dei. Si può ipotizzare che Mozart, avendo in testa una struttura fatta di intricati rimandi tematici, volesse comporre lo sviluppo del Lacrimosa in relazione all'Agnus Dei, vero momento culminante della messa, in modo tale da creare un richiamo tematico tra le parti sul verso "Dona eis requiem". Si trattava di costruire il finale della sezione più importante del Requiem (la Sequentia) in relazione col finale del Requiem stesso, che (se prendiamo per buono il modello K.220)avrebbe inglobato una ricapitolazione dell'introitus, cellula tematica generatrice di tutto il lavoro. Proprio dall'Introitus sembra ricavata l'armonia (e pure l'atmosfera) che pervade quelle prime, superbe, otto battute. La tendenza a concepire un certo tipo di opere in maniera non lineare ma ciclica, dove la fine è generazione dell'inizio e viceversa, si era già riscontrata nel di poco precedente mottetto Ave Verum Corpus dove la dichiarazione finale di Cristo morente sulla croce per salvare l'umanità ("in cruce pro homine") determinava la dichiarazione di apertura "Ave" dell'uomo stesso. Nel Requiem, l'Agnello di Dio che salva l'umanità dal peccato si contrappone alla preghiera dell'Introitus ("Requiem aeternam dona nobis") e vede come fulcro centrale il pianto dell'uomo (Lacrimosa) alla ricerca della salvezza davanti alla croce.

A ---> Introitus-Kyrie
B ---> Sequentia
C ---> Offertorium
B' ---> Sanctus-Agnus Dei
A' ---> Communio

Ricapitolando, Mozart concepisce quindi una struttura a blocchi tematici corrispondenti e contrapposti, uno "negativo" B (la Sequentia) nella prima parte, e uno "positivo" B' (Sanctus-Agnus Dei) nella seconda, separate dall'Offertorium che funge da interludio. L'inizio della sezione B (Dies Irae) corrisponderà all'inizio della sezione B' (Sanctus), come coerentemente accade, così il finale di B (Lacrimosa) corrisponderà al finale di B' (Agnus Dei). Probabilmente lo stesso Mozart immagina analogamente un Communio finale ricapitolativo dell'Introitus (A'). Su questo modello compone tutta la Sequentia (B) mettendo assieme molte idee nate in diversi momenti (come testimonia il foglietto su cui appunta il Rex e l'Amen), sviluppando sull'autografo tutto quanto e fermandosi volutamente a metà del Lacrimosa in modo da lasciare il finale in sospeso, così da poterlo costruire sulla base del finale di B' (Agnus Dei), già elaborato da materiale antecedente. Al Lacrimosa ultimato sarebbepoi seguita la complessa fuga dell'Amen, composta su inversione del tema dell'Introitus. Abbiamo, a tal proposito, incontrato spesso, parlando di relazioni motiviche, l'artificio bachiano dell'inversione (molti temi riappaiono infatti non nella loro forma ma "allo specchio", ovvero con gli intervalli tra le note capovolti). Questo artificio ha due significati, uno strettamente tecnico, ovvero l'ampliamento dell'orizzonte modale (una scala maggiore capovolta genera una scala minore, che poi porta in sè una significativa "oscillazione" tra "stato positivo" e "stato negativo" caratteristica di tutta l'opera, come si fosse in un'unica riserva di suoni vicina all'antico modo lidio), e l'altro puramente filosofico, che rimanda all'idea dell'"inversione del tempo", con la quale è possibile derivare dal futuro il nostro presente (futuro rappresentato dall'idea stessa della Morte e della riconciliazione con Dio) e dal passato il nostro futuro (grazie all'empirismo razionalistico illuminista). L'unità e la coerenza dell'impianto lascia ancora una volta sconcertati. Oggi, avendo qualche elemento in più per immaginare l'idea di "perfezione" che voleva raggiungere il compositore, forse capiamo perchè Mozart lasciò in sospeso il Lacrimosa: era mosso dall'intima premura di "non lasciare imperfetto" il suo "canto funebre", come scrive in una lettera poco prima di morire.

Le edizioni Maunder e Druce

Ci troviamo di fronte alle edizioni critiche più estreme di questa composizione. Abbiamo già citato Richard Maunder come colui che ha "scoperto" la relazione tra l'Agnus Dei del Requiem e un numero di una vecchia messa mozartiana. Ebbene Maunder è fermamente convinto che, accezion fatta per il detto Agnus Dei, tutto ciò che si trova dopo l'Hostias non sia opera di Mozart, e quindi deturpi il capolavoro con un completamento giudicato assai dozzinale. Il musicologo, praticamente, taglia via Sanctus e Benedictus, intervenendo sul Lacrimosa con unaprogressione più lineare e "aggiustando" alcune goffe transizioni del detto Agnus Dei. Anche Maunder però ammette l'originalità del frammento dell'Amen e, coerentemente, lo inserisce nella sua revisione. Quanto all'orchestrazione, essendo certamente opera postuma, Maunder si prende onore e onere di completarla a suo modo, seguendo (c'è da dirlo) le linee guida di Eybler laddove presenti.
Duncan Druce è di avviso diverso. Druce crede infatti che il Requiem, nella sua concezione architettonica e negli spunti principali, sia certamente opera del maestro di Salisburgo. Ma ammette, come Maunder, che lo sviluppo dei temi mozartiani venuti fuori dalla penna si Sussmayr sia decisamente non all'altezza di cotanto capolavoro. E quindi si vede "costretto" a riscrivere addirittura di suo pugno interi numeri! Sempre partendo dalle idee originali (presunte) di Mozart, egli ristruttura il Lacrimosa in due metà parallele con un interludio strumentale e un postludio al quale fa seguito la famigerata fuga dell'Amen, lunga stavolta più o meno il doppio di quella presente nell'edizioni Maunder e Levin. Sanctus e Benedictus presentano interventi ancora più pesanti. Quest'ultimo in particolare presenta al suo interno una deliziosa "fantasia" di 5 minuti buoni scritti totalmente ex-novo. Se è vero che l'edizione Druce è, tra le filologiche, la più "antifilologica" da un punto di vista strettamente storico, è pur vero che, almeno fino ad ora, è l'unica ad avere il pregio di lasciarci intravedere quale sarebbe stata la magnificenza architettonica di questa cattedrale incompiuta se il suo autore fosse riuscito a portarla a compimento. Ancora una volta la verità sembra vicina e lontana allo stesso tempo.
Francesco Zicari, AKA Triboulet

Categoria: Backstage

 

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