Venerdì, 19 Aprile 2024

Editoriale: Piero De Palma ci ha lasciati - di Pietro Bagnoli

Aggiunto il 06 Aprile, 2013

Questa notte è mancato Piero De Palma.
L’ho saputo stamattina presto, appena arrivato nell’ospedale in cui lavoro e in cui anche lui era ricoverato da qualche giorno, per problemi che non specificherò.
Era da un po’ di tempo che stava male ed era stanco di una vita lunga e piena, per cui non posso dire che la notizia mi abbia stupito più che tanto; me l’aveva detto lui stesso nei giorni scorsi, me l’ha ribadito stamattina la signora Gabriella, la moglie, presenza dolce e costante al suo fianco.

Chi era Piero De Palma?
I più giovani fra di noi probabilmente l’hanno conosciuto solo attraverso le centinaia di registrazioni discografiche che ci ha lasciato. Credo di averle – se non tutte – in gran parte, perché ce ne ha lasciate davvero tantissime: era amato dai direttori e dai record manager non solo per la sua umanità, ma anche per la sua eccezionale musicalità, di cui andava ancora giustamente orgoglioso anche adesso che veleggiava verso le 88 primavere.
Il mio amico Giuseppe Riva l’ha definito “il Re dei tenori comprimari”; e – non me ne voglia il Beppe – è una definizione che ho sempre trovato un filo restrittiva.
Con Piero De Palma finisce un pezzo di Storia del teatro d’opera in musica; e uso appositamente questo termine perché anche lui, uomo intelligente e di gusti musicali raffinati, amava l’opera in quanto genere teatrale.
La Storia che finisce con lui è quella dell’amore per il dettaglio.
Oggi che le parti di comprimario vengono spesso assegnate a cantanti famosi, o ex-famosi, per ricavarne cammei – quando va bene – o ultimi assaggi di palcoscenico in età senile, può sembrare strano ricordare un Grandissimo che ha costruito la propria celebrità proprio su questi ruoli.
In Germania quella dei tenori comprimari è sempre stata una grandissima tradizione: gente che si doveva confrontare con parti lunghissime e terribili come quelle wagneriane, e non solo. Era frequente che a Bayreuth iltitolare di Mime avesse in appalto anche David: si pensi a Paul Kuen o Erich Witte, tanto per fare un esempio; o, per arrivare a tempi più recenti, Gerhard Stolze, Heinz Zednik o Graham Clark.
In Italia c’è stata una grande tradizione prima di lui: quella dei Nessi, dei Carlin, degli Ercolani, degli Andreolli e dei Guggia. E dopo ce ne sono stati altri ancora, come per esempio Oslavio Di Credico e altri ancora, anche se il fiume impetuoso di questi meravigliosi artisti si è ridotto notevolmente di portata, in parte anche per quello che dicevo prima, la necessità di mettere prime parti a sostenere questi ruoli da comprimari.
Alcuni di essi erano veramente fenomeni. Ricordo in particolare il grandissimo Florindo Andreolli, alle prese con la terribile parte dello Scriba della Khowanshchina di Mussorgsky, affrontata per di più in russo.
Ma Piero non era solo un Fenomeno, di linea musicale tornita e salda, eloquente e raffinato dicitore, immenso professionista e ricco di charme; no, lui era molto di più, era un vero Signore.
Karajan lo adorava, al punto che – per l’incisione Deutsche Grammophon di “Turandot” – gli propose l’Imperatore, invece delle solite maschere. Ne uscì un ritratto talmente tornito, insolito, altero e signorile, da porsi come paradigma, molto più di sir Peter Pears che assunse lo stesso ruolo nella non meno celebre registrazione Decca di Mehta, e che caratterizzava la propria parte con una pronuncia che rimandava a Mauro Zambuto (il doppiatore italiano di Stanlio) e con una degnazione tipica delle grandi star che si misurano con parti di carattere.
Fu con De Palma che ci rendemmo conto che l’Imperatore non era un vecchietto tremebondo di fronte alla psicosi omicida della figlia, ma… un vero Imperatore, ricco di salda autorità anche morale.
La voce era quella limpida e svettante del vero tenore all’italiana, che aveva – eccome – i suoi bravi do e si, come ricordava lui stesso orgogliosamente. Lo percepiamomolto bene nelle registrazioni dei ruoli in cui la voce viene messa maggiormente alla prova (tipo, per esempio, il Messaggero di Aida).
In una delle nostre chiacchierate, gli rimproverai scherzosamente di non aver mai affrontato – anche in italiano – i grandi ruoli wagneriani; in particolare, pensavo che sarebbe potuto essere uno splendido David, o uno Steuermann dell’Olandese, o un Pastore del Tristan. Mi confidò di aver iniziato a studiare proprio David, ma… non finiva più!
Amavo stupirlo citando tutte le sue registrazioni e i suoi ruoli, anche quelli di cui non si ricordava più. Un giorno, invece, mi stupì lui, raccontandomi di amare Jonas Kaufmann, e chiedendomi cosa ne pensassi. Glielo dissi, e lui sorrise, uno dei suoi miti, meravigliosi sorrisi, pieni di tenerezza e di stupore infantile davanti alla bellezza del creato: “Meno male, dottore, temevo di essermi rimbambito. Tutti i miei amici mi criticavano per questo ma… a me piace! Riesce a dare un senso nuovo a tutto quello che canta! Ha sentito il suo Lohengrin?!”.
Questo era un aspetto che gli piaceva moltissimo: trovare il bello del nuovo, non fossilizzarsi sul vecchio e dejà vu. In questo anno e mezzo che ci siamo conosciuti e frequentati, non l’ho mai – ripeto: mai – sentito mezza volta fare la lagna di “una volta si cantava meglio” o “non ci sono più le voci”.
E, allo stesso modo, non l’ho mai sentito parlar male di nessuno; né colleghi, né tanto meno direttori. Per alcuni di questi ultimi aveva una sorta di venerazione, come per esempio Karajan, oppure Serafin.
Avevamo in progetto una chiacchierata un po’ più strutturata, magari a casa sua, in cui parlare più diffusamente dei cantanti con cui aveva lavorato, ma siamo stati sempre costretti a rimandare, per un motivo o per l’altro. Adesso non è più possibile, ma mi ritengo privilegiato di aver potuto conoscere una grande icona dell’arte che tanto amiamo: era una persona schiva, sensibile, intelligente, ricca di amoreper la musica e per la bellezza di una vita che, negli ultimi tempi, lo aveva davvero provato.
Ovviamente non mi accoderò a chi dirà che “avessimo oggi un Piero De Palma gli faremmo fare Pollione, Cavaradossi e forse anche Otello”: da quell’uomo intelligente e schivo che era, sarebbe ancora il Re dei Comprimari, orgoglioso di esserlo per il lustro inimitabile che ha dato a questa categoria che è il tessuto connettivo di ogni rappresentazione operistica
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

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