Venerdì, 19 Aprile 2024

Carmen

Aggiunto il 18 Febbraio, 2015


Georges BIZET
CARMEN

• Carmen MARILYN HORNE
• Micaela ADRIANA MALIPONTE
• Don José JAMES McCRACKEN
• Escamillo TOM KRAUSE
• Frasquita COLETTE BOKY
• Mercédès MARCIA BALDWIN
• Zuniga DONALD GRAMM
• Lillas Pastia RUSSELL CHRISTOPHER
• Remendado ANDREA VELIS
• Dancaire RUSSELL CHRISTOPHER
• Moralès RAYMOND GIBBS

The Metropolitan Opera Orchestra and Children’s Chorus
The Manhattan Opera Chorus
Chorus Master: John Mauceri

LEONARD BERNSTEIN

Luogo e data di registrazione: Mahattan Center Studios, New York, 9 & 10/1973
Ed. discografica: DG, 3 CD

Note tecniche sulla registrazione: registrazione ADD
Pregi: la visione di Bernstein che si staglia come un “unicum” in una sterminata discografia, la Horne e la Maliponte
Difetti: coro e tenore ma, accettando in toto la visione del direttore, è una regsitrazione senza difetti
Valutazione finale: images/giudizi/ottimo-eccezionale.png



Ascoltare un’opera diretta da Bernstein è sempre una esperienza interessante e mai banale. Ogni volta si ha la sensazione di scoprire qualcosa di nuovo. Qualche particolare sfuggito nei mille ascolti di quell’opera diretta da qualcun altro. Ecco la grande capacità di Lenny. Farci sembrare nuova ogni cosa che toccava. E’ accaduto per Tristan e per Boheme, per Rosenkavalier e per Falstaff e per i suoi requiem. Di questa capacità, Carmen ne è addirittura l’esempio paradigmatico, costituendo una vera rottura con il passato, un unicum irripetuto e irripetibile che – come troppo spesso è capitato nei confronti del grande maestro – ha suscitato una serie di strali, soprattutto da certa togata critica, strali che appaiono ora sinceramente un po’ fuori dal tempo.
Com’è la Carmen di Bernstein? Prima di tutto teatro allo stato puro, ed un vero uomo di teatro come Lenny non poteva non rimanerne affascinato. Poi è un’opera in bianco e nero con un solo protagonista: il destino! Iniziate l’ascolto dal terzo atto. “En vain pour éviter les réponses amères” non è semplicemente la scena delle carte, troppo spesso da altri trasformata in una vera baracconata. Quel destino che si è già presentato nel preludio iniziale, lento e volutamente senza colori, con folate inquietanti dei fiati, qui presenta il conto alla protagonista. E Carmen non può fare altro che presentarsi al destino come solo lei sa fare: sfrontata, irriverente, gitana, ma pienamente consapevole che tutto è già deciso! Il senso di morte, di oppressione, di fatalismo ci accompagna dalla prima all’ultima nota in una visione mai ascoltata prima e pertanto così unica e affascinante. Certo, se si cerca il folklore locale, la femme-fatal, l’idiomaticità bisogna cambiare registrazione e scegliere Karajan o Solti. Così come se si cercano le raffinatezze ultrasofisticate, consiglio di passare alle pregevoli edizioni di Abbado e Ozawa.
Qui c’è tutt’altro! C’è una lunga e inesorabile processione verso la morte ma vista addirittura con un occhio ironico, disincantato, impotente. Non c’è insomma quella bonomia di Sir Thomas Beecham: qui c’è l’ironia di chi sa che quello che è scritto “Dans le livre d'en haut” non è modificabile e allora lo si affronta a testa alta, addirittura lo si sfida fino all’ultimo respiro. Sentire come solo esempio i tromboni nell’entr’acte IV, altro non sono se non la morte che bussa alla porta….
Naturalmente per gestire una simile rischiosissima visione ci vuole una mostruosa capacità tecnica con l’orchestra e con tutte le masse artistiche. Qui Bernstein compie il miracolo di far sembrare l’orchestra del Met di quel tempo (siamo nel 1973) una compagine straordinaria. Un po’ meno come sempre con il coro del Met e il coro dei bambini ma i miracoli non si possono fare.
E naturalmente ad una così originale visione orchestrale bisogna affiancare una altrettanto originale protagonista. E Marilyn Horne più che una grande Carmen è una grande e originale protagonista. Non è la voce che ci colpisce all’inizio. Le note ci sono tutte, sia chiaro, alcune splendide, altre un po’ troppo caricate ma sempre di grande qualità. Quello che colpisce del grande mezzo statunitense è la capacità di abbracciare in toto le sollecitazioni di Bernstein. Capacità ben rodata durante le recite dal vivo al Met nel 1970. E come per Bernstein, anche per la Horne le carte rappresentano il momento culminante dell’opera, nel quale la profonda cavata e l’intensità del suono ben si sposano con una interpretazione dura, tagliente, impetuosa, al limite della volgarità. Certo, alcune intemperanze “sopra le righe” ci sono ma non guastano nemmeno, tanto si rimane soggiogati da questa donna in bianco e nero, da questa sventurata vittima di qualcosa ben più grande di lei che ha voglia di vivere il poco tempo che le rimane e lo fa con una intensità, una sfacciataggine ed gioia persino amara che non può lasciarci indifferenti.
Adriana Maliponte è probabilmente una delle migliori Micaela registrate. La voce è di quelle importanti, corpose, più grosse dei sopranetti cui siamo abituati a sentire cantare questo ingrato ed antipatico ruolo. E’ una Micaela che cerca di tenere testa a Carmen ed è l’unica a cercare di lottare contro il destino. L’aria del III atto – ostica molto più di quanto si creda e spesso rivelatrice di falle vocali clamorose – è cantata con estrema sicurezza ed è apprezzabile anche la definizione del personaggio: una ragazza volitiva, che lotta e che finalmente sa quello che vuole. Non la solita stupidotta con il vestitino azzurrino a quadretti che si avventura per le montagne con il cestino della merenda in cerca del fidanzato.
Meno eccezionale la componente maschile del cast. Tom Krause è un buon Escamillo che si limita a cantare la parte, anche perché Bernstein dà a Escamillo un ruolo totalmente marginale, quasi un incidente di percorso nel disegno del destino.
Ben più complessa la valutazione di James McCracken, tenore dotato di voce enorme, quasi baritonale, non propriamente bellissima e – peggio ancora – non fonogenica. Ma il personaggio c’è e c’è alla grande. Manca una vocalità più francese e i tentativi di smozare e alleggerire spesso naufragano in un falsetto non gradevolissimo. Ma anche Don Josè sa cosa vuole Bernstein e lo segue con entusiasmo e passione, enfatizzando il dolore che Carmen – o meglio il destino impersonificato in Carmen – infligge alla sua anima.
Ottime sia Frasquita che Mercedes, più convenzionali gli altri.
Bernstein adotta l’edizione Oeser. La registrazione ottenne nel 1974 il Grammy come “Best Opera Recording”
In conclusione, nella sterminata discografia di Carmen, questa registrazione rappresenta un unicum, da criticare, da studiare, magari da odiare ma sicuramente da conoscere. Se invece la si sposa fino in fondo diventa l’edizione imperdibile di riferimento.
Docflipperino

 

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