Mercoledì, 24 Aprile 2024

Lohengrin

Aggiunto il 27 Agosto, 2012


RICHARD WAGNER
LOHENGRIN

• Lohengrin KLAUS FLORIAN VOGT
• Elsa ANNETTE DASCH
• Ortrud SUSANNE RESMARK
• Telramund GERD GROCHOWSKI
• Heinrich der Vogler GÜNTHER GROISSBÖCK
• Heerrufer MARKUS BRÜCH


Rundfunkchor Berlin
Chorus Master: Eberhard Friedrich

Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin
MAREK JANOWSKI

Luogo e data di registrazione: Berlin, 12/11/2011

Edizione discografica: Pentatone, 4 CD

Note tecniche: buona e nitida ma alcuni cantanti e, a volte, il Coro sono posti in secondo piano

Pregi: la sostanziale correttezza della direzione, la Dash, Groissböck e Brück

Difetti: il resto del cast

Giudizio complessivo: images/giudizi/discreto.png

La casa Pentatone sta portando avanti e con certo successo, in occasione del bicententario della nascita di R. Wagner, l’integrale delle sue 10 opere maggiori dirette da Marek Janowski. Il progetto iniziato nel 2011 con Der Fliegende Holländer, si concluderà con Siegfried e Gotterdämmerung. Trattandosi di opere maggiori, mancano all’appello Le Fate, Il divieto di amare e Rienzi ed ecco dopo la vicenda dell’eroe marinaro, del puro folle e del certame poetico di Norimberga approdare sui nostri scaffali il cavaliere del cigno con tutti i guai che si porta dietro a causa della sua voluta celata identità. La registrazione sul piano tecnico è ben equilibrata anche se si deve dire che alcuni cantanti (specialmente il bravo Araldo di Markus Brück) sono collocati non in primissimo piano e ciò si ripercuote sulla nitidezza della loro scansione. La stessa cosa va detta del Coro, ottimo senz’altro e preciso, appare a tratti un po’ troppo lontano (es. il famoso Inno nuziale dell’inizio del III atto è piuttosto fiacco).
Tutta l’impostazione esecutiva appare spostata verso un garbato lirismo che abbonda in piani e pianissimi, accordi improntati alla dolcezza e alla delicatezza, ma ciò – a mio avviso – non basta a rendere ragione di certo eroismo che la vicenda ha in sé sebbene in misura minore rispetto ai ritmi forsennati di certe pagine della Tetralogia (sarei proprio curioso di sentire come queste pagine saranno rese). Janowski dirige molto bene ed inizia con un Preludio delicato e ricco di pianissimi che preparano tuttavia un crescendo molto vellutato e gentile e così va detto anche dell’entrata di Elsa, oppure di certi passi dell’esordio di Elsa o del ‘duettone’ tra i due sposi nel III atto. Tuttavia quando si tratta di esprimere marzialità (interludio tra II e III scena del II atto) oppure un clima che non sia lirico, ma tetro e tenebroso (inizio del II atto) non mi sembra che ci sia grande incisività ed energia. L’atmosfera di mistero, di tenebra e di ambiguità propria della I scena del II atto, a mio avviso, non emerge a dovere. Un altro esempio di certa incompletezza lo trovo nella bellissima esecuzione dell’interludio che separa la II e la III scena del III atto: la bellezza è da ricercarsi nel carattere aristocratico del suono, nella compattezza e pastosità dello strumentale, ma se si ricercano la grinta o la carica barbarica che la pagina evoca (in fondo sono armigeri che si preparano alla guerra!) non le si trovano ad onta di un’esecuzione formalmente corretta. La stessa cosa va detta del finale del I atto: qui il tratto dominante è la gioia, ma in quest’esecuzione c’è del grigio e tutto si mantiene nell’ambito delle ‘correttissime’ buone maniere (qui l’andarsi a risentire Kempe – ed. EMI – oppure Kubelik – ed. DGG – è una forte tentazione!).
Il direttore, poi, a volte corre in soccorso dei cantanti i quali, chi più chi meno, lasciano tutti a desiderare. Questo correre in soccorso lo si nota ad esempio nel finale in cui le sonorità aumentano in modo davvero squassante nel sorreggere una Ortrud (la Resmark) che, nel lanciare le sue tre apostrofi, fatica parecchio in alto. La stessa cosa, per il medesimo personaggio, va detta dell’Invocazione agli Dei pagani nel II atto nella quale, oltre ad un registro acuto non persuasivo, anche la dizione è poco scandita.
Del cast l’elemento migliore in campo mi pare proprio la Elsa della Dash: non un prodigio di finezze vocali o interpretative (è piuttosto mesta anche in momenti gioiosi come l’«O fänd ich Jubelweisen» che introduce il finale I, oppure un po’ imbambolata verso il finale II nella frase «Mein Retter, der mir Heil gebracht!»), pochissimi suoni scorretti (qua e là certa fissità nella III parte del suo intervento iniziale: «Des Ritter will ich wahren» e quel che segue, mentre buone mi paiono le chiamate all’acuto nelle domande fatali al III atto rivolte al protagonista) o un’assenza di partecipazione a quanto sta eseguendo ed inoltre la Dash è priva di un vezzo che affligge (ed ha afflitto in passato) molte esecutrici del ruolo: la piagnucolosità che rende Elsa una sorta di Micaela dei poveri. Non si pretende di fare una Elsa marmorea (Flagstadt docet), ma neppure il suo esatto contrario (De Los Angeles docet, ma non solo lei…). Elsa è una giovane che deve portare una nota di nobiltà anche se possiede un’indole ingenua e fondamentalmente instabile (su questo ultimo carattere mi pare molto valida la prova della Silja nel vecchio live del ’64 diretto da Sawallisch pubblicato dalla PHILIPS).
Sostanzialmente positive sono le prove del Re e dell’Araldo. Per quest’ultimo vale quanto detto prima: il cantante è buono, ben scanditi i suoi proclami, buona l’atmosfera orchestrale che gli viene creata attorno, ma con un eterno secondo piano sonoro, per cui questo Araldo perde in incisività. Re Enrico invece ha la voce di Günther Groissböck che vanta nobiltà di espressione, ottima dizione, ma non quel volume e quell’accento perentorio ed imperioso che altri interpreti del ruolo ci hanno fatto conoscere (ad esempio, il «Gött allein» del I atto è un po’ sforzato). Il pensiero va qui a gente come Greindl, Frick, Ridderbusch e Talvela: voci che – specialmente gli ultimi due – esprimevano forza e regalità non disgiunta a paternità, oppure a certa volitività. Inoltre non sempre in Groissböck il passaggio di registro verso l’alto è ideale.
Gerd Grochowski è un Telramund che sembra un pò rifarsi al modello Fischer-Dieskau pur non avendone altrettanto carisma. Voce tendenzialmente chiara e nemmeno troppo potente (l’accusa a Lohengrin avanti alla chiesa nel II atto lo mette a dura prova) si serve con notevole effetto di un fraseggio insinuante e serpentino al suo apparire («Dank König, dir, dass du zu richten kamst»), ma ci si ferma qui. Nel duetto con Ortrud (forse la pagina meno allettante di tutta la presente registrazione) Grochowski non è né grandioso, né disperato e siccome nemmeno la di lui consorte fa faville interpretative, (né l’orchestra crea veramente qualcosa) figuriamoci che godimento…. Anche la riapparizione del personaggio dopo il duetto Elsa-Ortrud non è particolarmente significativa. Dell’accusa al cavaliere davanti alla chiesa ho già detto qualcosa e aggiungo che Grochowski non è neppure tanto minaccioso ed è tendenzialmente fagocitato dall’atmosfera orchestrale che ha intorno.
Ho lasciato per ultimi i due esecutori, a mio avviso, più deboli del cast, anche se l’idea di ingentilire il protagonista non sarebbe cattiva, ma è stata già varata da Peter Anders in un’incisione di oltre mezzo secolo fa e con una rara intelligenza esecutiva e colori da vendere! Vogt è un protagonista liricissimo e, talvolta, anche querulo e che manca totalmente di piglio eroico: mai un accento fremente, deciso e drammatico (neppure nel divieto a Elsa, figuriamoci nell’apostrofe ad Ortrud del II atto – il «Du fürchterlches Weib» non pare molto minaccioso – oppure, in pieno duetto del III atto, dove l’«Hochtest Vertraun» che dovrebbe essere intimidatorio, dà l’idea del maestro che rimprovera benevolmente la scolaretta discola mentre la posta in gioco è diversa, senza contare che tutto questo duetto vede carente il tenore di vera passionalità). Invece in tutti i momenti in cui il sentimento gentile del personaggio deve venire fuori Vogt sale in cattedra, ma i suoi suoni, pur dolci e suadenti, non sembrano avere molta consistenza. Del resto, le rare volte che il personaggio deve simulare eroismo, la voce più di tanto non gli consente, come accade nelle battute successive al monologo e allo svelamento della propria identità. Per quanto poi concerne l’ardua frase con la quale il protagonista chiude il II atto – «Heil dir Elsa! Nun lass vor Gott uns gehn!» – essa è attaccata quasi in falsetto e tenuta con tono tanto carezzevole quanto stucchevole e casi simili ce ne sono a iosa. Un eroe a metà: floscio (anche nel concertato del dubbio del II atto), zuccheroso e talvolta poco espressivo sicché ad esempio, pur nella gentilezza dei modi e dei suoni sfoggiati da Vogt, il monologo finale («In fernem land») è una poesiola. Non so se questo sia una trovata dei nostri ultimi tempi in fatto di interpretazione, sta di fatto che questo Lohengrin così privo di mordente, almeno per me, non è proponibile. Forse si pensava ad una stilizzazione del personaggio, unita alla liricizzazione di tutta la vicenda costruita smussando le sonorità più forti, ma mi chiedo tali operazioni servono all’autore, all’opera? al pubblico? Inoltre – solita storia – in un’opera (come genere musicale) ci sono le note, ci dev’essere anche il canto e la varietà espressiva…
Non è persuasiva neppure la Ortrud della Resmark: la voce è piuttosto anonima, nemmeno estesa e l’interprete manca di perfidia, sottigliezza, ambiguità, (il «Könnest du erfassen» non brilla davvero per misteriosa dialettica del ‘non detto’) e violenza espressiva laddove essa occorre (la ‘piazzata’ ad Elsa davanti alla chiesa è lenta, poco animata, poco incalzante tanto che la Dash nelle repliche è più vivida della sua assalitrice). Apparentemente non sembra cantar male, ma nei due duetti che nel II atto la vedono interlocutrice ed instillatrice di veleno non è né sottile (penso a certe frasi della Klose, o della Ludwig, o della più recente Meier), né efferata (Varnay). Manca di grandiosità demoniaca e sensuale, oltre che di velenosa dialettica.
Il cofanetto è un cartonato che porta insieme le tre custodie dei cd, poi il libretto dell’opera bilingue (tedesco-inglese) preceduto da un saggio introduttorio contenente anche la trama dell’opera a firma di S. Georgi nonché i profili degli esecutori. Questa sezione è trilingue in quanto al tedesco e all’inglese si aggiunge anche il francese. Il saggio è interessante anche se inizialmente discutibile se vi si legge un vecchio e superato luogo comune secondo il quale «Duemila anni di Cristianesimo equivalgono a duemila anni di patriarcato…. ecc.», quasi ignorando che, proprio in epoca in cui si svolge il Lohengrin ed in Germania, abbiamo il caso di Roswitha la poetessa monaca che gira mezza Europa e scrive di teatro! Non solo! Il suo monastero di Gandersheim si costituisce quasi come una cittadella monacale con governo (al femminile) e zecca propria.
Invece di ripetere questi discorsi si pensasse a registrazioni migliori di questa ne guadagnerebbe la cultura
Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

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