Venerdì, 26 Aprile 2024

Guerra

Aggiunto il 19 Gennaio, 2012


RENZO ROSSELLINI
LA GUERRA

• Marta MAGDA OLIVERO
• Maria NICOLETTA PANNI
• Erik GIACINTO PRANDELLI
• Marco SILVIO SPACCESI
• Prete RENATO CESARI
• Postino RENATO CESARI
• Donna 1 AGATA RUBEO
• Donna 2 ANGELA ROCCO
• Uomo 1 WALTER ALBERTI
• Uomo 2 OTTAVIO TADDEI

Coro della Rai di Roma
Chorus master: non indicato

Orchestra della Rai di Roma
MASSIMO FRECCIA

Luogo e data di registrazione: RAI Auditorium, Roma, 8 Ottobre 1960
Ed. discografica: Eklipse EKR P-7 1 CD prezzo medio

Note tecniche sulla registrazione: classica ripresa radiofonica dell'epoca, in mono e con un discreto bilanciamento

Pregi: la Olivero

Difetti: genericità degli altri interpreti

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png


Passati i 40 anni la Callas era praticamente alle porte del ritiro, e in ogni caso sempre più arroccata sui suoi 3 o 4 ruoli-monster. Passati i 40 anni la Tebaldi aveva già dato tutto il meglio di sè e, ormai invischiata nel repertorio tardo ottocentesco, sparava le sue, talvolta improbabili (vedi Fanciulla), ultime cartucce più per necessità che per curiosità (se mai ne ha avuta). Passati i 40 anni la Gencer, pur in piena attività, era ormai schiava del personaggio della tirannica regina, e si può dire che la sua carriera (salvo eccezioni) procedeva quasi esclusivamente in quel solco sovranico-sacerdotale. Eppure c'era una signora, che passati i 40 anni, cominciava invece la sua seconda, lunghissima, multiforme carriera, una signora più vecchia delle succitate dive del dopoguerra, con una educazione musicale e culturale certo meno al passo con quei tempi (diremmo anzi tardo-ottocentesca), una signora che, stranamente, decise di votarsi alla modernità. Stiamo ovviamente parlando di Magda Olivero. La Olivero contiene in sè una delle più grandi - ed eccitanti - contraddizioni della storia della lirica moderna. La Olivero fà esattamente quello che non ti aspetteresti da lei. Cosa ti aspetti che faccia, del resto, una bella signora ricca di estrazione borghese a (nel caso in questione) 50 anni suonati? Perdipiù dotata di una tecnica di canto che più antimoderna non si può? (e Celletti, ricordiamolo, gongolava assai per questo). A non conoscerla diremmo che ci troviamo di fronte ad una Devia di 50 anni fà. E invece la divina Magda era, nelle sue scelte, tutt'altro che arroccata nell' antichità, era un vero e proprio schiaffo al melomane tradizionalista, schiaffo ben più sonoro di quello di certe "sperimentatrici", giacchè inferto dalla reincarnazione pressocchè perfetta dei topoi del passato, tecnica sul fiato e manierismi compresi. E mentre, applicando la sua debordante personalità ai titoli più astrusi della sua epoca, sottilmente pareva irridere i belcantisticellettiani tromboni (senza che questi se ne avvertissero), d'altro canto - o meglio dal medesimo canto, volendo giocare con le parole - rappresentava la distruzione, attraverso la sua retorica, della retorica della modernità; quando trovava i suoi ruoli la Olivero non era nè nel passato nè nel futuro, costruiva un presente eterno, un valore assoluto ancor oggi immutato. Così è stata la "più contemporanea" tra le artiste del suo tempo, fiera foriera di una sfida che nessuno più ha saputo raccogliere e portare avanti. Persino l'etichetta di "soprano verista", che pure le fu data all'epoca, è assai riduttiva (direi probabilmente consolatoria per pubblico e impresari o comunque facilmente decodificabile), riduttiva nel descrivere un'artista che, in fin dei conti, aveva più di 80 titoli in repertorio, la maggior parte dei quali di autori del '900 che con la Giovane Scuola avevano spesso poco a che fare. E non solo i "prevedibili" (ma mica tanto in quel contesto) Poulenc, Strauss, Janacek, ma pure tanti autori nostrani come Malipiero, Menotti, Respighi, fino ai meno celebri Rusconi, Fuga, La Rosa Parodi e tanti altri. "Preferivo le opere moderne, dove occorre anche saper recitare." dichiara la Magda. Qualcuno dirà "perchè forse in Traviata non serve saper recitare?", certo, ma è nell'adesione tra parola scenica, azione drammatica e musica, ora spesso liberata dai clichè classico-romantici della forma (ma pure del pensiero), che la Olivero ritrova quel recitar-cantando di monteverdiana memoria che lei, spesso e volentieri, amava citare. Interessante notare pure nel suo repertorio autori in qualche modo correlati a musiche da film come Rota, Mangiagalli, Lattuada e non ultimo Renzo Rossellini (fratello del regista Roberto e autore di alcune colonne sonore di suoi film, come Roma città aperta). L'atto unico "La Guerra" è, tutto sommato, un ascolto sicuramente d'impatto, lungi dall'essere un'opera geniale, eppure il suo interesse maggiore risiede nell'essere classico esempio in cui si realizza la quadratura dell'arte di Magda Olivero. Diciamo subito che gli altri personaggi (e l'onesta direzione d'orchestra) fanno solo da contorno alla grande performance della primadonna. La prima considerazione, banale e forse esteriore, deriva proprio dal contesto congeniale in cui viene a trovarsi la cantante: " Recitare è sempre stata la mia passione segreta. Se avessi potuto pensarci prima, avrei fatto l'attrice" dichiara continuamente la soprano da più di mezzo secolo a questa parte. E' un dettaglio non da poco, giacchè in questo piccolo affresco neo-realista, profumato di una musica sì veristeggiante ma piena dell'allure delle pellicole cinematografiche di quel genere, la Olivero si muove da consumata attrice di teatro, prima che da interprete musicale, atteso che la musica, in questo caso, sembra essere più un commento sonoro che un elemento centrale. Ma è soprattutto attraverso lo scontro di due estetiche (e delle due etiche ad esse correlate) che la Olivero arriva alla sua verità. Invecchiata e costretta su una sedia a rotelle (quale delle dive citate all'inizio avrebbe cantato così?), il personaggio di Marta è l'archetipo della anzianità, dilaniata da ansie terrificanti e sentimenti contrastanti di amore e nostalgia per il figlio Marco (scappato alle tirannie straniere), di disprezzo per la figlia Maria (amante di un militare dell'occupazione), di paura della solitudine, di fedeltà verso un certo tipo di ideali e valori diremmo conservatori e filo-reazionari, eppure coerenti nel loro appartenere ad un'altra epoca. Un personaggio fuori da "quel" tempo che vive, si muove, si anima grazie allo scontro violento col suo presente (i figli e, appunto, la guerra). La "retorica della vecchiaia" vestita da un personaggio anacronistico e immersa in un contesto così interattivo e iperreattivo non era più retorica teatrale, esplodeva nel realismo. Non a caso la stessa Olivero citava, tra le cose da lei più amate in campo extra-verista, opere come la Francesca da Rimini (affresco dannunziano di dantesca memoria), Mondi Celesti e Infernali di Malipiero (dove incarnava in pratica la storiografia delle maschere femminili, da Giulietta alla Madonna), oppure Lode alla Trinità di Rusconi (evidente apologia dei valori cristiano-cattolici) o ancora "La visita della vecchia signora" di von Einem (e il titolo parla da solo) che lei descriveva come "la mia ultima grande fatica" (la cantò a quasi 70 anni!). Un bel pugno nello stomaco a tutto il decorativismo filoborghese di Tosca e Manon Lescaut (che in bocca alla Olivero diventavano artefazione - del personaggio - moltiplicata ad artefazione - dell'interprete). Si ascolti tutta la scena iniziale del dialogo del postino con Marta. Il canto dell'Olivero, dolente, microscopicamente ipercaratterizzato punto per punto, ma quasi sempre raccolto, è prigioniero del suo vibrato stretto che è quasi un tremore interno, nelle cui frequenze si racchiudono le tribolazioni materne di Butterfly e le gelosie possessive di Tosca (notare il cambiamento del tono e del colore quando, dopo aver parlato di Marco, si parla di Maria). Eppure laddove nei personaggi pucciniani la Olivero appariva cosparsa di una patina antica che comprometteva la freschezza giovanile e irriverente dei personaggi, quì il tono, volutamente ancora più livido, appare giustamente senile. Come pure nella scena dello scontro con la figlia (quando ella la informa di essere incinta), il lancinante "sgualdrina", istintiva e violenta reazione ai valori lesi, seguito subito dalla patetica implorazione di non andar via, reazione invece puramente affettiva, ricorda certe veristiche contraddizioni di Manon o Santuzza che, declinate in questa chiave, assumono quì una luce completamente nuova. E il clichè, magicamente, diventa oro colato. L'apice si raggiunge nel trasalimento, tutto novecentesco, del finale, quando Marta si accorge di essere rimasta sola e, smarrita in un tetro e incredulo terrore, si imbatte in cinque minuti di recitazione cantata nuda e cruda: lancia richiami soffocati, singhiozza stancamente, lascia sgocciolare le parole in soffi quasi esanimi, sfiora sovente il parlato, crea tutta una serie di effetti agghiaccianti da pelle d'oca in una sorta di scena della pazzia post-moderna, prima di esplodere nell'urlo di dolore finale in cui, morendo, la donna è vittima di una sorta di cortocircuito emotivo (suo figlio ritorna improvvisamente ma ella scopre che è cieco), come se le contrapposte forze interne che la animavano fossero improvvisamente esplose. Il miracolo di Magda Olivero ci lascia, anche a distanza di 50 anni, ancora senza parole.
Triboulet

Categoria: Dischi

 

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