Pagliacci
Aggiunto il 11 Gennaio, 2012
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L’approccio tedesco a questi Pagliacci rinvia alla riflessione iniziale fatta per Cavalleria. Anche qui Sawallisch dirige con un’estrema nitidezza e pulizia e ci offre una colonna sonora mai pesante o sguaiata senza tuttavia rinunciare alla drammaticità. Molto belli, in questo senso il Preludio ed un Coro delle campane introdotto da un complesso che, nell’annunciare «Gli zampognari», dice «Die Musicanten» davvero singolare. Notevoli sono anche l’Intermezzo e il dinamismo della successiva scena dei paesani in coda per assistere alla rappresentazione che, sappiamo, si rivelerà catastrofica.
Pesa su quest’edizione per l’orecchio italiano lo scoglio della lingua che produce una sorta di spiazzamento, anche se ampiamente riscattato dalla perizia dei solisti.
La Lipp è molto elegante nella sua scena il cui recitativo iniziale («Qual fiamma aveva nello sguardo») inclina ad una singolare pensosità e contemplazione, mentre la sua ballatella «Stridono lassù» lascia palesemente trasparire un’atmosfera viennese (del resto l’andamento è quello del walzer) e rende il brano con una leggiadria davvero cristallina, ma soprattutto conferisce una nota giovanile al personaggio e ciò lo si nota anche nel successivo conflittuale duetto con Tonio dove, pur scostandosi dall’espressività italiana, mostra lo stravolgimento della persona in relazione alla situazione. Molto brava appare la Lipp nella scena della recita differenziando i vari momenti. Resta comunque lontana dalla nostra sensibilità mediterranea.
J. Pease nel Prologo rivela un timbro chiaro ma robusto e prosegue nel drammatico duetto con Nedda con accento persuasivo e disperato. Anche nella successiva irruzione con Canio per scoprire gli amanti non erompe nelle note risatacce sguaiate che conosciamo, ma mantiene i suoi interventi sul piano di un’ironia feroce. Anche le sue battute di conversazione con Canio prima del «Recitar… Vesti la giubba» sono molto dense. È un Tonio meno ‘bestia’ (tanto per riferirsi al libretto, secondo le parole di Nedda) e più uomo con sentimenti che se emergono nella recita a causa della finzione, sono tali anche nella vita quotidiana e reale. Sentimenti espressi con grande signorilità vocale, senza mai caricare inflessioni o accenti e su questo terreno esecutivo, bisogna riconoscerlo, anche l’Italia non era avara di nomi: Galeffi e Basiola prima, Tagliabue e Taddei in seguito.
H. Braun, che compare come Araldo di un’edizione del Lohengrin con Fehenberger e la Kupper diretta da Jochum del ‘52, è Silvio con voce e modi interpretativi forse molto più vicini al nostro sentire quest’opera. Sfoggia infatti un timbro più corposo e scuro rispetto a Pease, ma è tuttavia abile negli alleggerimenti ed è molto bello il suo «E allor perché dì…» seguito da un altrettanto rimarchevole «Tutto scordiam» all’unisono con Nedda.
Hopf è un Canio molto valido soprattutto per il rispetto della progressione drammatica della vicenda. Inizialmente tranquillo ed ironicamente divertito con i paesani diviene sempre più drammatico, ma ci offre anche un avvio molto malinconico di «Vesti la giubba» per poi crescere nella disperazione e nella scansione sostenute da ottimo suono. Analoga crescita la udiamo nella scena della recita a partire da un iniziale «Un uomo era con te» dimesso e rassegnato per poi decollare con il seguente «No, pagliaccio non son» eseguito con morbidezza ma anche con note acute che, seppur non esplosive (infatti non esegue l’acuto di «Ma poi ricordatevi a ventitré ore»), sono ben emesse. Verso il finale trovano posto anche passaggi incandescenti resi però duri dalla lingua. A mezza voce è eseguita poi la frase «La commedia è finita» con un’orchestra che commenta molto bene l’esito della vicenda.
Il tenore Pfeifle è bravo nelle concitate battute del I atto nel tentativo di calmare Canio e conferisce un’eleganza quasi mozartiana alla sua serenata nel II atto. Pfeifle si mostra altrettanto bravo nella recita con Colombina.
Se si aggiunge che la resa tecnica del CD è molto buona ed il Coro è valido, si è dinanzi ad un’edizione che potrebbe ancor oggi imporsi all’ascolto, nonostante – come si è osservato per Cavalleria – la diversa lingua in un repertorio fin troppo italiano
Luca Di Girolamo