Sabato, 20 Aprile 2024

Andrea Chenier

Aggiunto il 11 Maggio, 2008


Umberto GIORDANO
ANDREA CHENIER

• Andrea Chenier FABIO ARMILIATO
• Maddalena di Coigny DANIELA DESSI’
• Carlo Gérard CARLO GUELFI
• La Contessa di Coigny VIORICA CORTEZ
• Roucher ENZO CAPUANO
• Madelon VIORICA CORTEZ
• Bersi ROSSANA RINALDI
• Fléville ANTONIO MARANI
• Mathieu MARCO CAMASTRA
• Fouquier Tinville ANTONIO MARANI
• Incredibile MAURO BUFFOLI
• Schmidt ANDREA SNARSKY
• Abate MAURO BUFFOLI
• Maestro di casa ANDREA SNARSKY
• Dumas ANDREA SNARSKY


Coro sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi”
Chorus Master: Romano Gandolfi

Orchestra sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”
VJEKOSLAV SUTEJ

Luogo e data di registrazione: Milano, 31 Ottobre – 9 Novembre 2005
Ed. discografica: Universal, 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: buona; prospettiva teatrale con lieve preponderanza dell’orchestra sulle voci

Pregi: Dessì e Armiliato in particolare, ma comunque si ascolta con piacere

Difetti: se proprio vogliamo, edizione non particolarmente utile

Valutazione finale: images/giudizi/buono-ottimo.png

Il prezzo è particolarmente allettante (14€ di lancio, almeno per il momento) e induce volentieri all’acquisto anche solo banalmente per la curiosità di ascoltare alcuni dei cantanti italiani più famosi in un’opera così difficile. Alla fine sono soldi ben spesi per un’edizione che, probabilmente, non arricchisce l’ascoltatore che già conosce le incisioni fondamentali di questa operona, ma che comunque lo lascia ben più che soddisfatto. Certo, le ragioni che portano a questo tipo di operazione sono chiaramente la documentazione di almeno due dei protagonisti, e cioè Daniela Dessì e Fabio Armiliato che, comunque, lo precisiamo sin dall’inizio, non tradiscono per niente le attese.
Se si sta al gioco, se non si pretende l’edizione che squaderni completamente il panorama, se non si cercano le voci che spacchino woofer e tweeter come unico criterio interpretativo di quest’opera, in cerca di un ripristino della mitica età dell’oro in cui tutti avevano i polmoni d’acciaio, ci si può anche divertire.
La direzione d’orchestra è affidata a un professionista affidabile: il croato Sutej è una buona conoscenza del pubblico italiano ed è uno di quei personaggi che conoscono il repertorio anche capovolto. Come a dire: poche o punte seghe mentali, ottima “regia” sonora con giusta enfatizzazione di tutti i momenti clou e perfetto sostegno al canto. Certo, se vogliamo proprio spaccare il capello in quattro, possiamo rilevare che manca un’organicità vera e propria, che qualche volta si accelera un po’ troppo mentre altre volte si rallenta oltre misura, ma insomma, non è il disegno direttoriale ad essere privilegiato in siffatto contesto, mentre invece si vuole – e giustamente – dare il necessario rilievo alle voci che si “mettono in gioco” in un’opera come questa.
Che requisiti chiediamo a cantanti che si cimentano in questo tipo di operazione?
Innanzitutto che ci credano. Il problema che abbiamo rilevato – per esempio – nell’edizione di Chailly con Pavarotti è che l’unico a crederci veramente è il buon vecchio Leo Nucci. Per “crederci” intendiamo adesione ad una drammaturgia fatta di tinte talmente forti da essere oltremodo improbabile: dalla storia d’amore fra il poeta sentimentalone e la figlia di buona famiglia ma redenta dalla causa, alla finta concupiscenza del rivoluzionario di pastafrolla, che infatti si pente subito non appena l’oggetto dei suoi desideri ricorda la mamma morta, tutto contribuisce a rendere quest’opera figlia non del Verismo, bensì di un romanticismo di riporto, filtrato attraverso la sensibilità (si fa per dire) dei romanzi d’appendice.
In secondo luogo, che abbiano la voce. Non siamo dei vociofili a tutti i costi, né crediamo che il tonnellaggio vocale risolva i problemi di una partitura, ma per arrivare indenni al duettone finale del quarto atto (altra mazzata!) la voce ci vuole, eccome. E qui c’è. Magari non sempre cristallina, magari non sempre perfetta, magari non sempre bellissima, ma c’è.
Daniela Dessì è probabilmente la nostra cantante più importante del momento: lunga carriera, seria, intelligente, musicalissima, con una cultura ad ampio spettro che le permette di spaziare da Vivaldi al Verismo, tutto fa di lei una delle personalità più intriganti dei nostri tempi. Tra le sue virtù, fra l’altro, c’è l’assoluta mancanza di spocchia che la rende persona gradevole, alla mano e pronta alla battuta. Al di là delle indubbie qualità umane, c’è però una tecnica rifinitissima messa al servizio di una voce molto gradevole e personale, una di quelle cioè che si riconoscono al volo, e questa è una qualità che si apprezza sempre in un cantante. Quello di Maddalena è un ruolo ingrato: antipatico all’inizio, si deve progressivamente “scaldare” per arrivare all’estasi del duettone finale. La Dessì riesce benissimo a far vedere all’ascoltatore l’evoluzione del proprio personaggio, culmine un “La mamma morta” veramente da manuale, con suoni proprio belli e smorzati meravigliosamente: ottima riuscita.
Più articolato il discorso per il di lei marito Fabio Armiliato, che ha l’onere esecutivo maggiore. Non rivoluziona sicuramente la storia interpretativa di questo personaggio, ma appare senza se e senza ma come uno dei pochi riferimenti attuali possibili per l’esecuzione della parte. L’Improvviso è un po’ faticoso,anche se alla fine ben cantato. Il “Credo ad una possanza arcana” corelleggia un po’ troppo (quei singhiozzi finali sono proprio brutti, via), ma il passaggio – qui indispensabile – è dominato proprio bene. La messa di voce su “Ora soave, sublime ora d’amore” non ha la forza evocativa di quella di Corelli, ma riesce ad avere un’affettuosità che si apprezza senza riserve. Ottimo davvero il “Sì fui soldato!”, anche se gli attacchi suonano sempre un po’ difficili: è nel dipanarsi del brano e nella conclusione che Armiliato dà il meglio di sé, grazie anche ad un settore acuto che suona bello nitido. Ottimo anche il “Come un bel dì di maggio”, anche se concluso dal solito singhiozzone perfido; e nel duettone finale riesce a respirare bene insieme alla moglie. Uno Chènier, il suo, complessivamente più sul versante “poeta” che quello “soldato”, ben cantato, che realizza un’ideale fusione stilistica fra l’ambito modello Corelli e quello gigliano assai più a portata di mano.
Carlo Guelfi è una specie di prezzemolino che compare in tutte le produzioni più importanti attuali. Molti non se ne spiegano esattamente le ragioni, che credo siano essenzialmente tre: le voci italiane di baritono in grado di reggere parti così impegnative scarseggiano; è oggettivamente molto musicale; sa sempre quello che sta dicendo. Certo, mi rendo conto, tutto ciò non arriva a configurare una grande interpretazione. Il canto è quello che è: voce molto chiara (il che non è necessariamente un male: alcuni dei più grandi baritoni documentati dalla discografia avevano e hanno voce chiara quando non chiarissima), emissione molto aperta (il che non vuol dire che sia “indietro”), colore particolarmente povero di armonici. E tuttavia, per contro, sensibilità, appropriatezza, convinzione, adesione stilistica ed intellettuale; ce n’è più che a sufficienza per giustificare la scelta. Non indicherei come paradigmatica un’interpretazione come questa, specie a fronte di così tanti paragoni, ma ha una sua ragion d’essere.
La veterana Viorica Cortez fa la mamma e la terribile, insopportabile, odiosissima vecchia Madelon: è ormai in disarmo, ma chapeau al temperamento! Ottimo Marco Camastra nei panni di Mathieu “Populus”, ma non particolarmente eccellente il resto dei caratteristi. Prova eccellente, infine, quella del coro diretto dal grandissimo Romano Gandolfi, purtroppo poi scomparso di lì a poco

Categoria: Dischi

 

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