Sabato, 27 Aprile 2024

Zauberfloete

Aggiunto il 20 Gennaio, 2008


WOLFGANG AMADEUS MOZART
DIE ZAUBERFLOETE

• Elisabeth Grümmer (Pamina)
• Ernst Kozub (Tamino)
• Erika Köth (Regina della notte)
• Gottlob Frick (Sarastro)
• Günther Ambrosius (Papageno)
• Hannelore Steffek (Papagena)
• Willy Hofmann (Monostatos)
• Willy Wolf (Oratore degli iniziati)
• Prima e seconda dama: non indicate
• Rosl Zapf (Terza dama)
• Wilhelm Ernest (Primo uomo armato)
• Little Walter (Secondo uomo armato)
• Wilhelm Ernest (Primo sacerdote)
• Carl Ebert (Secondo sacerdote)

Coro: non indicato

Hessischen Rundfunks
SIR GEORG SOLTI

Luogo e data di registrazione: Francoforte, 1955

Ed. discografica: Walhall, Urania e Gala Music, 2 CD economici

Note tecniche sulla registrazione: ottima, mono in studio, ottima ripresa, ben distinte le sonorità

Pregi: equilibrio, ottima intuizione nella creazione di un insieme ragguardevole sul piano interpretativo. Ben delineata l’affettività dei personaggi, singolarmente, nelle coppie e nell’insieme

Difetti: trascurabile disomogeneità nella qualità degli interpreti sotto il profilo tecnico-stilistico, non rilevante in quanto comuni a tutti lievi incertezze

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png


L’edizione de Il flauto magico diretta da Sir Georg Solti nel 1955 è un’esperienza d’ascolto che riserva tante emozioni, in una concezione pre-filologica che raggiunge un vertice espressivo e stimola spunti di indagine interessanti.
L’opera è un accostamento “massiccio” di recitativo e cantato e la qualità degli interpreti, comparati pregi e difetti, è un valido tributo a questo “esperimento” che va in senso opposto all’obiettivo del recitar-cantando auspicato dai tempi di Monteverdi.
L’esecuzione ha un tono cameristico, molto intima, eccelsa armonia di sonorità e silenzi.
La direzione è musicalissima e briosa, una regia sonora dimensionata per un piccolo palcoscenico che dà risalto equilibrato a tutte le voci e agli strumenti di spicco, forse complice la presenza di un’orchestra appartenente alla televisione di un Land tedesco. Notevole la verve comica (eccezionali al proposito il Monostatos di Willy Hofmann – dalla vocalizzazione rapida e precisa - e la Papagena di Hannelore Steffek), brillante per estrema compostezza, belli gli accorgimenti sonori didascalici (oltre al notevole “peperino” flauto argenteo, i tuoni, il carillon). L’effetto è quello di una dinamica tutta giocata sul proscenio.
La scelta stessa delle voci protagoniste e comprimarie è all’insegna di questo equilibrio: con la sola eccezione del monumentale Gottlob Frick, Sarastro, che però stende la sua lettura in modo suadente e consolatorio e ben si accorda con la dolce Pamina di Elisabeth Grümmer; sorprendente quest’ultima per appeal giovanile e freschezza (soprattutto nel primo atto), trepida e appassionante nel parlato.
A proposito della prova di Frick è forse da segnalare un momentaneo “fuori-forma”: alcune discese alle note più gravi all’ingresso le rendono sfibrate. Veramente memorabile la definizione della figura del Capo degli iniziati: l’inizio del secondo atto (la valutazione delle doti di Tamino all’iniziazione) è una grande prestazione teatrale: recitazione e canto sono di soffusa ma gigantesca intensità.
Ernst Kozub, heldentenor tedesco scomparso prematuramente, noto in vari ruoli wagneriani e soprattutto per un’incisione de “L’Olandese volante” del 1968 accanto a Anja Silja e Theo Adam, non compete con la Grümmer per bellezza della linea melodica: difetta infatti la fluidità del fraseggio e si nota qualche disagio nell’intonazione; ma compensano l’eccezionale qualità del timbro, morbido e lucente, emozionante registro per registro, l’emissione fluente, la tensione e la passione che ne fanno un Tamino... da favola.
Erika Köth è una Regina della notte lirica e affettuosa, che non svetta e scintilla come Wilma Lipp o Cristina Deutekom, ma restituisce il lato materno del personaggio. Come Rezia nell’”Oberon”, quale esecutrice di questo ruolo può non definirsi “discontinua”? Difficilmente eccelle per garbo e perfezione stilistica nei melismi della prima aria “Eil, edler Held!” chi ha la voce per cantare “Ozean!” e viceversa. In questa registrazione gioca, per così dire, “in casa”, in quanto il “lancio” artistico avvenne nel 1947 con il primato in un concorso organizzato proprio dalla Hessischen Rundfunks.
Günther Ambrosius è un notevole Papageno, una caratterizzazione di pregio, decisamente più a suo agio nei recitativi e nelle sequenze più “agitate” che non nelle pagine elegiache. Hanny Steffek è grande attrice comica, una Papagena di tutto rispetto, che regala momenti incantevoli. I due “attori” diventano co-protagonisti e scandiscono il “film” di Papagena e Papageno in maniera totalmente autonoma dal “film” di Tamino e Pamina. In un certo senso è un tributo alla tesi di chi sostiene che l’opera in questione sia una sintesi di ideali di fratellanza e uguaglianza, eroici nel superamento delle barriere sociali, senza particolari ottimismi ma in un’ottica di armoniosa convivenza.

La genesi de Il flauto magico è quella di un racconto fiabesco che, grazie all’intesa tra Mozart e il librettista Emanuel Shikaneder, si impregna di simbolismi ascrivibili al credo massonico. Si vuole che l’anelito a una rinnovata età dell’oro, caratteristica del pensiero dell’epoca, si esprima nel rito di iniziazione e nell’accettazione delle dure ma giuste regole di Sarastro, con il passaggio da un regno oscuro (quello della Regina della notte) a uno luminoso (le illuministiche verità della ragione).
Questa analisi non convince però tutti: in fondo i rapporti tra gli individui nel regno di Astrifiammante (la Regina della notte) sono informati all’amore, contro la freddezza del sistema rigidamente gerarchico di Sarastro. Anche con riferimento alla teologia dantesca, il Paradiso non sarebbe tutto dalla parte del “solare” Sarastro (Dio è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”).

Questa edizione giunge quattro anni dopo lo storico e celebrato allestimento dell’estate salisburghese che vedeva Wilhelm Furtwängler dirigere Irmgard Seefried (Pamina), Anton Dermota (Tamino), Wilma Lipp (Regina della notte), Josef Greindl (Sarastro), Erich Kunz (Papageno). La conduzione della rappresentazione del 1951 è meno incline a valorizzare lo spirito comico della partitura e trascolora naturalmente verso espressioni più solenni, pur senza trionfalismi, in questo conforme allo spirito mozartiano. La sinergia Solti-Hessischen Rundfunks-interpreti rimane invece legata a un’espressione di candore giocoso e infantile, quasi a sottolineare che il regno delle tenebre è quello degli affetti sinceri, non così subdolo, e vi si gode una libertà più salubre per l’anima. Tutto sommato i buoni non sono del tutto buoni e lo stesso vale per i cattivi. Significativamente, i ritmi marziali sono fatti rientrare nella dimensione comica.
Solti non aveva a disposizione Erich Kunz, la cui vocalità è così finemente stilizzata che le note sembrano librarsi in cielo, ma Ambrosius, più artigianale, ha un timbro brunito da voce narrante che giova a far „scivolare“ nella fiaba. Nei duetti „Bei Männern, welche Liebe fühlen“, „Schnelle Füsse, rascher Mut“ e scene seguenti (verso la fine del I atto) sfoggia senso del tempo encomiabile.
Ernst Kozub ha dei problemi nelle note di passaggio, ma una profondità espressiva nel metallo vocale che non fa rimpiangere il più raffinato Dermota. Si distingue anche come fine dicitore e misurato declamatore dallo slancio controllato, che trova mirabile fusione nei colori dell’orchestra.
La Pamina di Elisabeth Grümmer è in progressiva trasfigurazione, quella notevolissima e matura in stile di Irmgard Seefried è donna fatta.

Nel glorioso decennio in cui si inscrive questa produzione compaiono altri eccelsi conduttori che ardiscono nell’attualizzare il verbo mozartiano ampliandone i tempi e il respiro (Karajan) e utilizzando al massimo il potenziale sonoro della compagine orchestrale in termini di luci e colori disegnando mirabili ceselli (Böhm raggiunge vette di eleganza klimtiane). Questa epoca musicale si caratterizza anche per la presenza di autorevoli voci „nuove“ rispetto al pur vasto panorama degli anni ’40 e dintorni, in grado di levigare il salto tra interpretazione lirica e drammatica elevando il livello dell’esecuzione e favorendo la credibilità dei caratteri, tutto a vantaggio dell’emozione e del piacere tratto dal puro ascolto. Ricordiamo al proposito la Marschallin della Schwarzkopf e di Lisa Della Casa, i quattro ruoli del Rosenkavalier (Maschallin, Sophie, Octavian, Annina) e la Zerbinetta interpretati da quest’ultima, la sua Ariadne e quella di Teresa Stich-Randall, la Marschallin e l’Octavian di Sena Jurinac, illustri precedenti della Sieglinde di Gundula Janowitz, importante al di là di ogni critica.
Ma, tutto ciò considerato, gli anni ’50 sembrano ancora essere era di transizione.
Emblematica al riguardo è la rappresentazione di Salisburgo del 1959 con la Wiener Philarmoniker sotto la bacchetta di George Szell, raffinato musicista ancora legato a una certa severità della prassi esecutiva, che ottiene un grande risultato, ma a cui sfuggono la valenza comunitaria e la tensione di complicità che lega l’insieme dei personaggi: in Solti il rimprovero mosso a Papageno dalle dame è materno (come materno è il luogo „uterino“ della scena dove origina la vicenda), in Szell l’amalgama tra Pamina e Tamino non avviene immediatamente attraverso lo specchio magico del ritratto e del duetto Papageno-Pamina „Bei Männern, welche Liebe fühlen“ e sembra più marcato il confine tra universo maschile e femminile (come anche in Furtwängler). Eppure George Szell disponeva in quell’anno di interpreti estremamente versatili nel percorrere agilmente con gusto e scienza le aree di intensità e colore della loro corda sia sul piano più prettamente musicale (Lisa Della Casa) che, audacemente, interpretativo (Leopold Simoneau), Papageno era il grande Walter Berry, quotato interprete del ruolo. Decisamente encomiabile la „collaborazione“ con la stessa Erika Köth-Regina della notte, qui - più ancora che con Solti – ottima caratterista lirico-drammatica, assolutamente priva di leziosità e atteggiamenti queruli (sempre in agguato in questo ruolo), forse un unicum. Graziella Sciutti, storica Zerlina e Despina e conclamata presenza del teatro mozartiano principalmente come soubrette, presente nell’evento del 1959, non si rivela Papagena d’effetto paragonabile.

Il disco di Solti è una svolta e un valido termine di paragone non solo per l’assoluta assenza di atteggiamento conflittuale tra personaggi ma anche con riferimento all’approccio simbolico (ancora da tributare a Dante) di Paradiso e Inferno come strati di un unico universo umano e metafisico che coesistono nell’onda circolare che armonizza la volontà umana e quella divina.
Non va dimenticata al proposito l’opera di Bruno Walter che interpretò Mozart sino alla fine del decennio (in Italia nel 1955 l’ultima volta) e si fece latore della vena pacificatrice di „Die Zauberflöte“ al di sopra delle passioni umane.
Ottima incisione e documento importante, anche come supporto didattico letterario e musicale, per ogni età di ascolto.
Francesco Carzedda

Categoria: Dischi

 

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