Sabato, 21 Giugno 2025

Don Carlos

Aggiunto il 27 Ottobre, 2006


• Filippo II JOSEPH ROULEAU
• Don Carlo ANDRE’ TURP
• Rodrigo ROBERT SAVOIE
• Il Grande Inquisitore RICHARD VAN ALLAN
• Un frate ROBERT LLOYD
• Elisabetta di Valois EDITH TREMBLAY
• La Principessa Eboli MICHELLE VILMA
• Tebaldo GILLIAN KNIGHT
• Le Comte de Lerme EMILE BELCOURT
• Un Herald Royal GEOFFREY SHOVELTON
• Voce dal Cielo PRUDENCE LLOYD



BBC Singers
Chorus Master: non indicato

BBC Concert Orchestra
JOHN MATHESON

Luogo e data di registrazione: Camden Theatre, London, 22 Aprile 1972
Ed. discografica: Opera Rara, 4 CD

Note tecniche sulla registrazione: rimasterizzazione digitale di un broadcast della BBC a cura di Oliver Davis; suono ampio, caldo, ben spaziato in tutte le sue componenti

Pregi: prima registrazione della versione originale francese

Difetti: la Tremblay appare inadeguata; poco interessante l’Inquisitore di Van Allan

Valutazione finale: images/giudizi/buono-ottimo.png

Quanti Don Carlo(s) avremo ascoltato nella nostra vita? Innumerevoli.
C’eravamo anzi convinti di conoscere la versione francese, grazie al lavoro svolto da Abbado sul materiale elaborato da Ursula Gunther, David Rosen e Andrew Porter in occasione della pubblicazione dell’edizione DGG (e correva l’anno 1983), ma abbiamo scoperto che anche quella era una rielaborazione della materia; c’erano – è vero – una serie di brani in Appendice, ma la sostanza dell’opera richiamava maggiormente una più classica edizione italiana in 5 atti; solo, era in francese. Non parliamo dell’edizione di Pappano, personalissima rielaborazione del direttore geniale e vulcanico, ma che nulla ha a che vedere con quanto stabilito da Verdi.
Ci siamo anche convinti della bontà definitiva dell’edizione in 4 atti, deplorandone solo la traduzione in italiano, ma ammirandone per contro la maggior stringatezza dremmaturgica e la miglior logicità espositiva.
Ma nessuno di noi poteva dire di aver ascoltato l’opera nella sua ideazione originale, e ciò fondamentalmente per i seguenti motivi:
1. Verdi stesso aveva eliminato “prima della prima” una fetta considerevole di musica – 8 brani – per permettere al pubblico di uscire dal Teatro in tempo per prendere l’ultimo treno
2. l’opera venne sottoposta precocemente ad una serie di revisioni, compresa la traduzione in italiano di De Lauzières prima e di Zanardini poi. Fra questi stravolgimenti della struttura musicale, va considerata anche la strutturazione in 4 atti anziché in 5, il che doveva essere particolarmente attraente per Verdi che amava la stringatezza espositiva
3. il materiale espunto venne recuperato solo in tempi recenti dal trio di studiosi sopra citato. Tale materiale fornì la base su cui venne preparato il broadcast all’origine di questa registrazione. Dopo di allora, curiosamente, basta: fatto strano in un’epoca come la nostra che ama particolarmente le edizioni storiche ed integrali
4. l’opera è bellissima nella sua intierezza, ma oggettivamente molto complessa da allestire. Prescindendo dal balletto “La Peregrina” - tra l’altro piuttosto noioso, conveniamone – che pure richiederebbe un corpo di ballo all’altezza della situazione, la vocalità dei cantanti viene messa letteralmente alla frusta da uno spettacolo che richiede un impegno ed una dedizione di rara pesantezza
Ora ecco che Opera Rara, nell’ambito della collana Verdi Originals, recupera il broadcast del 1972 della BBC in cui un cast francofono nelle prime parti eseguiva nella sua intierezza la partitura pensata originariamente da Verdi nel 1867. La pubblicazione non è completamente nuova: già la Ponto nel 2002 aveva edito il materiale, ma senza il libretto che invece Opera Rara mette a disposizione in quattro lingue, anche se il saggio iniziale di Andrew Porter è sorprendentemente molto più scarno di quanto sarebbe lecito aspettarsi (data l’importanza della pubblicazione) e, per conoscere approfonditamente la storia dell’opera, non rimane che rivolgersi ad altri testi. Fra questi, ritengo particolarmente appropriato citare il fondamentale “L’opera in CD e video” di Elvio Giudici (Ed. Il Saggiatore, 1999) in cui il celebre critico fa un lavoro di revisione storica interessante e vivace oltre che - come al solito - documentatissimo; fra l’altro, afferma molto correttamente che gli otto brani mai eseguiti perché espunti dallo stesso Verdi alla vigilia della prima rappresentazione sono stati di volta in volta “appiccicati” in varia misura ad integrazione della versione del 1884, vale a dire un’opera profondamente diversa rispetto a quanto concepito originariamente dall’Autore. Senza contare che il Don Carlo continua a circolare abbondantemente in italiano e nella versione in 4 atti; e quanto tale abitudine sia radicata lo dimostra il fatto che anche un fanatico delle edizioni filologiche come Muti scelse proprio tale versione per inaugurare la Scala nel 1992; e, tanto per essere precisi, anche la più recente produzione di Don Carlo pubblicata in DVD, quella diretta da Chailly ad Amsterdam, è anch’essa allineata su questi criteri.
Detto questo, non rimane che da lodare incondizionatamente la scelta della Peter Moores Foundation – una delle poche organizzazioni in grado di fare veramente cultura nel mondo dell’opera – di allestire un’edizione discografica in grado di porsi come archetipo editoriale per chiarire definitivamente le idee dell’ascoltatore spesso disorientato, specie se esce dal confortevole seminato della cara, vecchia ed affidabile edizione in quattro atti che, se ha avuto la benedizione di Verdi in persona che l’ha allestita, qualche ragione ce l’avrà ancora. Con tutto il rispetto per il Genio che ha pensato la possente architettura di questo straordinario drammone, ascoltando il lento dipanarsi in cinque interminabili atti (che ci immaginiamo intercalati da lunghi intervalli per allestire le macchine sceniche) della vicenda vieppiù farraginosa ed antiteatrale, non c’è da meravigliarsi che l’Autore stesso, prima di partire con la prova del teatro, forte del proprio senso pratico, abbia impugnato le forbici e dato alla partitura una sana e generosa sfoltita.
A conti fatti ce n’era proprio bisogno?
Noi pensiamo di sì, e proprio a cominciare da quel primo atto che dovrebbe permettere di contemplare l’esordio e la rapida fine della storia d’amore quanto mai improbabile fra i due sfortunati amanti. Il logorroico coro iniziale dei boscaioli fa da preambolo ad un improbabile rimpiattino in cui Carlos fa finta di non essere chi in realtà è. Questo gioco delle parti fra innamorati è quanto di più estraneo allo spirito verdiano si possa immaginare, ed infatti non ha mai fatto particolarmente presa, probabilmente contribuendo la sua parte all’affermazione della versione che esclude questa scena. L’ascolto di questa registrazione non contribuisce per nulla a far cambiare l’opinione dell’ascoltatore: il brano debole è, e debole resta. Si passa attraverso una prolissa introduzione alla scena del giardino, con un improbabile scambio di mantelli fra due protagoniste femminili che si usmano male sin dall’inizio. Si giunge al famigerato balletto noto come “La peregrina”, anche questo lontanissimo dalla più pura ispirazione verdiana. E si arriva – per concludere - al solenne epicedio di Philippe II sul cadavere di Posa, che richiederebbe però per far risaltare al meglio le intenzioni verdiane un interprete più emozionante ed emozionato del pur bravo Rouleau, dotato di capacità evocative inversamente proporzionali al vocione tonitruante messo in campo (il glorioso Lloyd che compare come Monaco suscita fremiti ben maggiori nell’ascoltatore).
Non si pensi però ad un’edizione mancata: è un’incisione globalmente piacevole, ben fatta, ben diretta e ben riprodotta. Da un punto di vista documentario è un prodotto indispensabile sullo scaffale di ogni appassionato verdiano, ma oseremmo dire di ogni melomane. Manca – se proprio vogliamo – quel guizzo che faccia slittare l’interpretazione da bella ad indimenticabile; il che, forse, non si poteva pretendere data la vastità della materia messa in campo. Certo però che in assenza di una forte caratterizzazione teatrale, il lavoro diventa solo un manuale di consultazione.
E così, si loderà senza riserve il canto onesto e professionale di Andrè Turp, che dipinge un Infante molto ben cantato e ricco di buone intenzioni; ma lo smarrimento dei sensi di Vickers, l’insicurezza morbosa di Corelli, l’eroismo volutamente posticcio di Domingo, l’infantile perdita di certezze di Carreras, la voglia di tenerezza di Alagna o, per stare al più recente, la psicotica nevrosi di Villazon, stanno proprio su un altro pianeta.
L’a noi sconosciuto Robert Savoie è probabilmente uno dei due migliori in campo, quanto a qualità di canto e ad araldica compostezza; però manca completamente di carisma, connotazione fondamentale in un ruolo così emotivamente intenso.
Da questo particolare punto di vista l’Eboli di Michelle Vilma appare indiscutibilmente superiore, però è penalizzata da un accompagnamento bizzarro che si manifesta soprattutto nella grande scena dell’ “O don fatal et detesté”, che appare più un improprio momento di riflessione piuttosto che una scena di ribellione interiore; per cui, alla fine, l’impressione destata è molto inferiore all’impatto che genererebbe una voce per sua natura generosa ed espansiva, tra l’altro molto precisa e a fuoco anche nei passaggi di agilità della canzone del velo, fra le migliori che abbiamo ascoltato.
Complessivamente buona anche la prova di Rouleau, un cantante che in Italia gode di una certa notorietà grazie al suo ottimo Assur nell’incisione della Semiramide con Bonynge; la voce è calda, ben impostata, forse un po’ troppo “tiefer” per una parte come questa che abbiamo imparato ad amare maggiormente quando interpretata da bassi più chiari. L’impressione che ne esce è di un interprete forse un po’ troppo senescente, anche se di discreta autorevolezza. Ciò che manca, come spesso capita, è un’impronta marcata di personalità che, in un personaggio del genere, è un connotato fondamentale: il tutto si riduce ad un’espressione generica di brada muscolarità che, se all’inizio non dispiace, dopo un po’ stanca.
Non del tutto censurabile l’Inquisitore di Richard Van Allan, che però rifugge siccome la peste il canto sfumato e di conversazione che dovrebbe – e potrebbe – finalmente portare una nota di novità in un personaggio tanto spesso segnato da berciate inqualificabili. Il tono è sostenuto e sicuro, ma l’eloquio è decisamente poco vario e assai poco carismatico.
Abbastanza criticabile, invece, la prova della Tremblay che – fra tutti – è quella che appare maggiormente messa alla frusta da una scrittura che chiaramente è molto più impegnativa di quanto sembri a prima vista e che è costretta in un’emissione spesso stridula, sforzata e affetta da fastidioso vibrato. Peccato perché le intenzioni sono interessanti nel cercare un eloquio vario e lontano dalla solita generica mestizia buona per tutti gli usi.
Infine, come abbiamo già accennato, debordante il carisma di Robert Lloyd nella breve parte del Monaco, per di più all’epoca ancora nel pieno possesso dei propri mezzi vocali
Fra i comprimari, segnaliamo con piacere la voce dal cielo di Prudence Lloyd e il Tebaldo di Gillian Knight.
Ottimo il coro, di cui stranamente non viene segnalato il direttore. La direzione di Matheson è salda e attenta, pur non brillando per eccessiva fantasia; forse, data l’importanza documentaria del lavoro, non era nemmeno particolarmente necessario. Però, una materia così potenzialmente incandescente come il Don Carlos, richiederebbe forse qualcosa di più

Categoria: Dischi

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.