Giovedì, 18 Aprile 2024

Trovatore

Aggiunto il 12 Luglio, 2006


• Il Conte di Luna Robert MERRILL
• Leonora Gabriella TUCCI
• Azucena Giulietta SIMIONATO
• Manrico Franco CORELLI
• Ferrando Ferruccio MAZZOLI
• Ines Luciana MONETA
• Ruiz Angelo MERCURIALI
• Un vecchio zingaro Mario RINAUDO
• Un messo Angelo MERCURIALI


Coro del Teatro dell’Opera di Roma
(Maestro del Coro: Gianni Lazzari)

Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
THOMAS SCHIPPERS

Data e luogo di registrazione: Roma, 1964

Note tecniche: registrazione in studio, di qualità sufficiente

Pregi: probabilmente il miglior Manrico di Corelli

Difetti: versione tagliatissima; notevole erraticità ritmica; prestazione generalmente poco convincente di tutti gli altri cantanti

Valutazione finale: images/giudizi/mediocre.png

Che brutto Trovatore!
E dire che i presupposti sono ben più che interessanti, almeno a leggere i nomi inalberati dalla copertina.
In realtà, i problemi affiorano già dal primo ascolto e gettano una pesante ipoteca su un’edizione che doveva apparire sostanzialmente inaccettabile già nel momento stesso in cui venne proposta.
Innanzitutto i tagli e le interpolazioni abusive. In quegli anni si doveva pensare con maggior serietà a inserire le cabalette che già aveva fatto ascoltare – per esempio – Karajan con la Callas e sempre per la stessa Emi. Di queste cabalette viene mantenuta solo il “Di tale amor che dirsi”, mentre invece viene clamorosamente mutilata la scena di Leonora dell’Aliaferia, in cui viene saltato a piè pari il “Tu vedrai che amore in terra”, senza il quale si perde quell’effetto risolutivo cui tutta la scena precedente prelude. La Pira presenta solo la stretta, perdendo così l’inciso di Leonora; e, by the way, facendoci perdere la gioia di ascoltare per intero una delle più belle Pire di Corelli. Il terzetto del primo atto viene concluso nel modo più balordo con un acuto all’unisono, che è straordinario solo in Corelli, ma è perfido negli altri due protagonisti. Il secondo atto viene concluso all’unisono da tenore e soprano, ma qui siamo in buona compagnia, visto che questa pessima abitudine vige tuttora non solo a teatro, ove anche il tenore vuol far notare al mondo la sua presenza (e, alle volte, meglio fora se avesse taciuto), ma persino in disco, anche nelle incisioni più recenti in cui questa insensata e orrida interpolazione si dovrebbe considerare definitivamente superata.
Quindi, pessima incisione quanto a contenuti. E, si conferma, pessima incisione anche in rapporto all’epoca di registrazione, che già aveva visto ben altre idee sull’editing di quest’opera.
Ma non ci consola, ahimè, nemmeno il canto, se non parzialmente in Corelli. Il quale non ha – a regola – la voce ideale per Manrico, da cui ci aspetteremmo una connotazione di gioventù che stentiamo ad ascoltare in questo vocione atomico, ma in compenso canta splendidamente, con sagace risparmio di quei portamenti che hanno ammorbato tante sue prestazioni dal vivo, e ci propone una Pira in do come raramente faceva dal vivo, almeno nelle incisioni che ci rimangono. Fiati interminabili, smorzature estasianti – che, quando voleva, sapeva fare splendidamente – e un tono generalmente malinconico che rende bene quell’aspetto crepuscolare del personaggio che lui e ben pochi altri ci hanno fatto sentire.
Ma qui finiscono i motivi di interesse.
Anche perché Gabriella Tucci è purtroppo impari al ruolo. È probabile che non fosse eccezionalmente ispirata ma, santa pace!, come si fa ad avallare un canto così sforzato, tutto sul forte, senza mai un cenno di quello stordimento emotivo e di quella dolce alienazione che apparenta così strettamente Leonora alla donizettiana Lucia? E poi, il vibrato: non apparteniamo di sicuro a quella categoria che ha in gran dispitto il vibrato, ma c’è un limite a tutto, specie quando appare evidente che serve a coprire problemi di altro genere. Questa Leonora è avara di fantasia e di emozioni, e il problema si evidenzia soprattutto nella grande scena del quarto atto. Dov’è lo smarrimento di chi sa che il grande amore sta per perdere la vita? Dov’è la dolce alienazione che asseconda l’ipnotico andamento della musica? Dov’è lo stupore del risveglio durante il coro dei monaci, che rivelano dolorosamente alla donna che quello che sta vivendo non è un sogno, ma la cruda realtà?
Di tutto questo, purtroppo, non c’è niente: c’è solo una cantante che emette le sue note impilandole una sull’altra. Conoscendo le prestazioni di una cantante che ha fatto di Verdi uno dei capisaldi del proprio repertorio, ci aspettavamo francamente qualcosa di più.
Robert Merrill, invece, rispetta pienamente le previsioni. Il suo Conte è stentoreo e legnoso, ben poco emozionale, trucibaldo e violento, strettamente apparentato con Barnaba e Scarpia; parrebbe quasi aver fatte sue le parole che Leo Nucci disse prima del Trovatore scaligero del 2000: “Il Conte di Luna è un toro imbizzarrito da prendere per le corna”: Merrill non lo prende per le corna, ma gli fa la corrida e alla fine lo trafigge fra le scapole, quasi che invece di un baritono fosse un matador.
Triste prestazione anche di Giulietta Simionato, cantante che adoriamo in quasi tutto ciò che ci ha proposto. Qui purtroppo, o per scarsa vena, o perché a fine corsa, non riesce a venire a capo della propria difficilissima parte. Le intenzioni la sostengono ancora; la voce, purtroppo, non più.
Nemmeno Ferruccio Mazzoli è una buona scelta per Ferrando, mentre invece gli altri comprimari sono tutti buoni; il che, però, non è ragione sufficiente per aggiungere questo Trovatore ad un’eletta schiera.
Rimane Schippers, uno di quei direttori dal temperamento fantasioso che, solitamente, non delude le attese dell’ascoltatore. Qui sì.
Vuoi per le già citate scelte editoriali, vuoi per una strana erraticità ritmica che non finisce per accontentare nessuno: né i cantanti (l’unico a starci bene è Corelli, ma con la voce che mette in campo può fare sostanzialmente quello che vuole), né gli ascoltatori

Categoria: Dischi

 

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