Venerdì, 19 Aprile 2024

Walkure

Aggiunto il 01 Luglio, 2006


DIE WALKÜRE
• Siegmund James KING
• Sieglinde Régine CRESPIN
• Hunding Gottlob FRICK
• Wotan Hans HOTTER
• Brünnhilde Birgit NILSSON
• Fricka Christa LUDWIG
• Waltraute Brigitte FASSSBAENDER
• Helmwige Berit LINDHOLM
• Ortlinde Helga DERNESCH
• Gerhilde Vera Schlosser
• Schwertleite Helen WATTS
• Siegrune Vera LITTLE
• Rossweisse Claudia HELLMANN
• Grimgerde Marilyn TYLER

Wiener Philharmoniker
Sir GEORG SOLTI

Luogo e date d’incisione: Vienna, Sofiensaal. Rheingold Settembre/Ottobre 1958; Siegfried Maggio & Ottobre 1962; Götterdämmerung Maggio – Novembre 1964, Walküre Ottobre/Novembre 1965

Ed. discografica DECCA
14 CD complessivi (in cofanetto; le 4 opere che vengono vendute anche separatamente) a prezzo pieno

Note: registrazione molto ben spaziata, tecnicamente perfetta e celebre per l’accurata veste tecnica. Rapporto ideale fra piano orchestrale e vocale. Godibilissima, nonostante gli anni trascorsi, grazie alla splendida rimasterizzazione

Pregi: è la prima registrazione in studio del Ring, allestita con i migliori cantanti dell’epoca, tuttora specchio fedele di un’epoca grazie alla collaborazione con cantanti che erano stati di riferimento per i rispettivi ruoli nel decennio precedente.

Difetti: virtualmente nessuno. Quella che può apparire come una certa superficialità nella narrazione, in realtà è una lettura che programmaticamente si affida al canto fine a se stesso, ottimistico e ricco di positivo buon senso

Valutazione complessiva: images/giudizi/eccezionale.png

NOTA: per ulteriori informazioni di carattere generale sul Ring completo di Solti, si rimanda all’introduzione del Rheingold

Orchestra seria e pensosa, quasi riflessiva in una tempesta che è suonata più corrusca e rutilante in altre celeberrime interpretazioni. Si ha quasi l’impressione che il grande direttore voglia farci riflettere sul tema orchestrale, che ha un’allure ipnotica, lenta, quasi metafisica.
King ci presenta il suo migliore Siegmund, veramente straordinario nella sua asciuttezza espressiva, e virtualmente perfetto in una vocalizzazione pressoché da manuale. Egli è Siegmund in ogni più profonda fibra dell’animo. Il richiamo Waelse, Waelse non ha sicuramente la durata estenuante di quello di Melchior o di Lorenz, ma certe intuizioni di fraseggio sono già quelle di interpreti più sofferti e assai meno solari, come il fondamentale Vickers, rispetto al quale vanta ragioni di canto nettamente superiori. Gli fa da contraltare la meravigliosa Créspin, una delle cantanti da me preferita in ogni tempo, dalla calda e conturbante femminilità, e dalla vocalità voluttuosa. Se proprio vogliamo, manca qualcosa sul versante della tensione drammatica nella disperata agogica del secondo atto, anche se amorevolmente supportata dalla direzione di Solti (ho la ferma convinzione che quella della Créspin fosse una di quelle voci che i direttori amavano incondizionatamente, al punto da trovare sempre la giusta misura per supportarne il canto che tendeva a periclitare nei passi più roventi; è forse la ragione dello straordinario esito puntualmente raggiunto anche nella ben più impervia scrittura di Brunnhilde registrata qualche anno dopo con Karajan). Il riconoscersi dei fratelli è quasi teatrale, da tanto è emozionante, e costituisce senza forse il momento più bello fra i tanti splendidi proposti da questa registrazione.
Gottlob Frick è probabilmente il più importante tieferbass della storia del canto wagneriano, e oltre all’imponenza della voce sapeva cantare anche straordinariamente bene: la sua presenza è incombente e inquietante, ma sempre nell’alveo di un canto che non concede mai nulla agli effettacci truculenti per stupire l’ascoltatore.
Nel secondo atto compare la Ludwig, che porta a termine un compito ben più che onesto col consueto splendido mestiere, ma le preferiamo cantanti più problematiche e di voce parimenti rutilante. Ma soprattutto è il grande momento in cui fanno il loro ingresso in scena padre e figlia, qui due autentiche icone del canto lirico di ogni tempo.
Birgit Nilsson era ormai da tempo la Brunnhilde di riferimento, da quando cioè tale ruolo era stato abbandonato dalla Modl e dalla Varnay. La voce, nel pieno del suo fulgore, era assolutamente straordinaria per il metallo, l’ampia gamma di modulazioni e la non comune estensione. Era una cantante talmente sui generis che quando, a distanza di oltre 20 anni, proposero a Solti di reincidere il Ring, il grande direttore magiaro ebbe a dire: “Per gli altri cantanti dei surrogati li posso anche trovare. Ma una Nilsson non la trovo più”. Oltre a tutto esisteva anche un feeling umano fra direttore e soprano, una di quelle intese che di tanto in tanto si creano fra i grandi artisti, e che invece non si sviluppò mai fra Birgit e Karajan ma, d’altro canto, la Nilsson notoriamente trovava particolarmente difficile lavorare con una persona così singolarmente priva di sense of humour come Karajan. Questa probabilmente fu la vera ragione della mancata partecipazione del grande soprano svedese al progetto Ring che la DGG affidò a Karajan, e non il fatto che l’avesse appena inciso con Solti. Quanto questo aspetto caratteriale contasse nei rapporti artistici della Nilsson, è ormai cosa ben nota e molto ben evidente in ognuna delle sue interpretazioni, condite sempre da una nota ironica ben percepibile, come a sdrammatizzare la portata dei drammi che affrontava. Proprio in forza di questo aspetto francamente incontrovertibile, sarebbe definitivamente ora di smitizzare l’idea che la Nilsson fosse un’interprete fredda. Certo, di fronte alla calda femminilità della Crespin, probabilmente la Nilsson non esce vincitrice, ma le armi messe in campo sono sensibilmente diverse. Innanzitutto non manca mai in nessun passaggio, per impervio che possa essere, il dominio pressoché perfetto del canto in ogni suo aspetto, ciò che le ha permesso di affrontare anche ruoli virtualmente lontani dal suo terreno di elezione, come i grandi personaggi verdiani o quelli pucciniani come Minnie o Tosca. Inoltre, come dicevamo, ciò che rende francamente irresistibile il suo modo di porgere la frase è la calda umanità e l’affettuosa ironia che non vengono mai meno, anche in personaggi monomaniaci come Elektra. Affatto diversa dalle 4 grandi Brunnhilde di area europea che l’hanno immediatamente preceduta (tralasciando le più remote, nell’ordine: Leider, Flagstad, Varnay e Modl), rispetto ad esse propone un personaggio più franco e comunicativo, meno virginale e fiero, ma più ricco di serena ed affettuosa pensosità. È da lei che discendono le grandi Valkirie dei nostri giorni: dalla sin troppo sottovalutata Evans alla Jones, sino alla Marton e alla Behrens. Invano si cercherà nell’Annuncio di Morte di questa Brunnhilde la ieraticità di una Flagstad (vera sacerdotessa, anche se dispiace averne come Ring integrale solo il documento del 1950): la sua franchezza rimanda più alla sorridente baldanzosità di Marjorie Lawrence, rispetto alla quale poteva però vantare una maggior ortodossia vocale. Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo di una prestazione straordinaria sotto tutti i punti di vista, possiamo dire che invano cercheremmo le interessanti problematiche psicologiche evocate dalle due grandi sacerdotesse degli Anni Cinquanta, cioè la Modl e la Varnay; ma i tempi ormai erano cambiati e si poteva puntare in altre direzioni, con recupero almeno parziale di alcune vecchie tradizioni che avevano manifestato la loro efficacia e credibilità. Nessuna Brunnhilde avrebbe mai più rimesso le alette dell’elmo della Flagstad, questo era chiaro, e nessuno avrebbe mai richiesto niente del genere; ma il canto ambiva a volare nuovamente libero e spensierato, come quello di una vera ragazza che aveva voglia di godersi la sua vita (sia pure da Valkiria): dati gli anni in cui fu effettuata questa registrazione, gonfi di esistenzialismi veri e fittizi, un bel coraggio, non c’è che dire. Ma, sicuramente, fra le molte splendide espresse in questa registrazione, quella della Nilsson è l’interpretazione più allineata con le intenzioni del direttore.
L’altra grande icona rappresentata qui e nel Siegfried è inevitabilmente quella di Hans Hotter, la cui presenza carismatica non poteva mancare in questo contesto da All Stars. Ma – e sia detto con tutto il reverenziale rispetto per questo immenso cantante che ha fatto più di ogni altro la Storia dell’interpretazione wagneriana – la sua partecipazione appare un po’ meno giustificata. Intanto per i raggiunti limiti di età, anche se è tanto e tale lo strapotere vocale di Hotter da venire a capo di (quasi) ogni difficoltà proposta dalla partitura, anche se – ad essere del tutto onesti – con minor orgoglio e baldanza rispetto a quegli Anni Cinquanta che lo avevano visto assoluto dominatore del ruolo soprattutto sul palcoscenico di Bayreuth. Intendiamoci: il monologo del secondo atto ha ancora oggi una forza espressiva impressionante, che deriva dallo strapotere intellettuale prima ancora che vocale, che portano Hotter ad un’immedesimazione con ben pochi e paradigmatici riscontri nella storia del canto lirico di ogni tempo. E l’Addio a Brunnhilde ha una potenza evocatrice che ha del sovrumano, anche e soprattutto nei ripiegamenti intimistici di cui Hotter era maestro sempre imitato e mai superato (grazie anche alla splendida attività liederistica, fortunatamente ben documentata). Quello che forse lascia un filo perplesso l’ascoltatore è proprio il confronto con la Nilsson, lontana le mille miglia dalle angosce esistenzialiste di una Modl e forse culturalmente più vicina alla solare estroversione della già citata Lawrence, il cui partner dell’epoca era il corrusco ed assai meno problematico Schorr. Sembrerebbe – e sottolineo l’uso del condizionale, per non sembrare blasfemo di fronte a cotanta icona – che la presenza dell’imponente Hotter sia quasi un overtreatment nel quadro dipinto da Solti, per il quale il volubile ed assai più giovanile London apparirebbe forse più adeguato, rispetto alla granitica presenza dell’illustre predecessore. Ma le icone sono così, da accettarsi in blocco senza se e senza ma. Era oggettivamente un delitto che nessuno avesse proposto al grandissimo basso tedesco la possibilità di incidere in studio il ruolo che maggiormente aveva caratterizzato la sua parabola artistica, quindi ben venga questo documento sia pure un po’ tardivo rispetto al suo periodo migliore.
Rimangono da citare le 8 walkyrie, tutte molto brave; due di esse interpreteranno più avanti, in altre produzioni, il ruolo di Brunnhilde (la Lindholm e la Dernesch; ma nel terzetto di Ondine del Crepuscolo compare chiotta chiotta anche una certa Gwyneth Jones…)

Categoria: Dischi

 

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