Mercoledì, 30 Aprile 2025

Peter Grimes

Aggiunto il 24 Novembre, 2018


Benjamin BRITTEN
PETER GRIMES

• Peter Grimes JON VICKERS
• Ellen Orford HEATHER HARPER
• Captain Balstrode NORMAN BAILEY
• Auntie ELIZABETH BAINBRIDGE
• Niece 1 MARILYN HILL SMITH
• Niece 2 ANNE PASHLEY
• Bob Boles JOHN DOBSON
• Swallow FORBES ROBINSON
• Mrs Sedley PATRICIA PAYNE
• Rev. Horace Adams JOHN LANIGAN
• Ned Keene PHILLIP GELLING
• Hobson JOHN TOMLINSON


The Royal Opera Chorus
Chorus Master: John McCarthy

Orchestra of The Royal Opera House
Sir COLIN DAVIS

Regia: Elijah Moshinsky
Scene: Timothy O’Brien, Tazeena Firth
Light designer: David Hersey
Regia televisiva: John Vernon

Luogo e data di registrazione: Royal Opera House, Covent Garden, Londra, 1981
Ed. discografica: Warner Music Vision 0630-16913-2 (2003)ª; NVC Arts– 1 DVD

Note tecniche sulla registrazione: immagini e audio perfettamente masterizzati
Pregi: Vickers mitico, ma eccellente anche tutto il resto
Difetti: nessuno
Valutazione finale: images/giudizi/eccezionale.png

Questo è un capolavoro vero e va guardato ancora oggi con ammirazione per quello che direttore, regista e protagonista riescono a realizzare.
Lo spettacolo non è affatto invecchiato, grazie a un impianto scenico chiaro, aperto, senza chiari riferimenti, essenziale e talvolta anche luminoso, eppure tetro, opprimente, in cui il mare non si vede mai ma se ne intuisce la presenza angosciante, che incombe sulle vicende degli esseri umani. Il palcoscenico è aperto, senza sipario, con il coro che si sistema nella sala del consiglio mentre in orchestra accordano gli strumenti; l’opera inizia al terzo colpo di martelletto di Swallow mentre Hobson – John Tomlinson, futuro Wotan – pronuncia il nome del protagonista. Per inciso, nel cast c’è un altro Wotan: è il bravissimo Bailey, che dà voce a un severo ma commosso Balstrode.
La realizzazione, come dicevo, è frutto dell’intesa di tre menti geniali, dotate di istinto teatrale bruciante – direttore, regista e tenore – che puntano sulla ribellione eroica, quasi sovrumana di Peter alla logica del Borgo, qui protagonista in modo ossessivo e compulsivo, grazie alla bravura quasi trascendentale del coro diretto magnificamente da John McCarthy. Chiaramente è una realizzazione costruita sulle spalle possenti di Vickers, che domina la scena con la propria mimica e il pentagramma con il proprio senso della parola che ha mutuato da anni di frequentazione del declamato wagneriano: stiamo pur sempre parlando di colui che probabilmente, ancora oggi e dopo tanti anni, è da guardare come il più straordinario Tristan di tutti i tempi. Ed è proprio la disperazione cupa che fa ribollire dal terzo atto di Tristan a pervadere questa interpretazione di un personaggio senza nessuna speranza di redenzione, vittima di quelle “accidental circumstances” che rievoca amaramente alla fine dell’opera, quando ormai il suo destino è segnato, ma alle quali – in fondo – non crede nessuno; lui per primo.
Ciò che faceva di Peter Pears un uomo debole, chiuso nel proprio mondo, vagamente alienato e credibilmente vittima delle “circostanze accidentali”, in grado di trasmettere il senso del progressivo scivolamento nella psicosi, in bocca a Vickers diventa ribellione, violenza allo stato puro. Quel continuo articolare “Peter Grimes” prima della condanna di Balstrode, in bocca a Pears è la ripetizione catatonica di frasi sconnesse da parte di un uomo già consapevole della propria morte imminente; in bocca a Vickers trasuda l’amarezza di chi ancora non si è rassegnato.
Il Grimes di Pears accetta il borgo, vorrebbe solo starsene per conto proprio e, magari, arrivare al matrimonio con Hellen per guadagnare un riconoscimento sociale cui, allo stato, non ha diritto; nel suo caso, le “accidental circumstances” sono assolutamente credibili.
Il Grimes di Vickers non è accettato dal Borgo, ma lui non si rassegna e coltiva sentimenti di rivalsa che lo rendono odioso a tutti, principalmente a sé stesso: si pensi alla cattiveria con cui prende il ragazzino per il lavoro, nonostante sia domenica.
Ma il Grimes di Vickers non è solo violenza; è anche il tono estatico e sofferto con cui articola il Monologo delle Pleiadi, che ricorda il modo parimenti sofferente con cui declamava le diverse e non meno laceranti sofferenze di Otello (sul motivo, peraltro, della Pleiade ardente che nel ciel discende) e di Tristan. Ed è lo stesso tono, sospeso fra mezza voce e falsetto, con cui declama “In dreams I’ve built myself”, con tenerezza e rimpianto, aiutato da una mimica facciale mutevolissima.
Il limite è quello di aver di fronte non un vinto, ma un eroe; e tale apparve agli spettatori del Metropolitan di New York, in occasione del debutto nel ruolo, nella produzione di Tyrone Guthrie con un cast da sogno che comprendeva Elizabeth Söderström (Ellen), Thomas Stewart (Balstrode), Jerome Hines (Swallow), Jean Kraft (Sedley), Lily Chookasian (Auntie), sotto la direzione di John Pritchard; per inciso, di questo cast vale la pena di segnalare come curiosità che Hines era stato lo Swallow della prima rappresentazione al Met nel 1948. Il grande tenore canadese aveva 41 anni all’epoca di questo debutto; mantenne il personaggio in repertorio per altri 16 anni, sino cioè al 1983, due anni dopo questo video.
È Peter Grimes un eroe come lo dipinge Vickers? Tale non ci sembra dal libretto di Montagu Slater, e come tale fu contestato da Britten e Pears; ma il travisamento – se pure c’è stato – è frutto della personalità e della soverchiante umanità di Vickers, uno che ha rivestito di sé stesso tutti i personaggi che ha affrontato.

Accanto a questo monumento della Storia dell’Interpretazione, un vero e proprio parterre royal, a cominciare dal Direttore.
Sir Colin Davis, uno che dalle nostre parti non abbiamo mai né amato né capito particolarmente, legge questa partitura respirando letteralmente col protagonista, quindi con una scansione bruciante e ben poco british (Pappano, nel 2013, sarà molto più compassato e ravishing) e, per inciso, abbastanza lontana dal suo stile esecutivo abituale, decisamente più cool. Essendo un grande direttore sinfonico, gli interludi orchestrali sono letti in modo a dir poco esemplare: si pensi, per esempio, all’Interludio 2, violento e bruciante; o alla Passacaglia del Secondo Atto. Ma anche l’accompagnamento al canto è eccezionale, con un amore particolare non solo per quello aspro e frastagliato di Vickers, ma anche a quello di Ellen, che risalta con una forza che non sempre sembra appartenerle.
Ellen è Heather Harper. Irlandese, cinquantenne all’epoca di questo video, grande specialista del repertorio britteniano, ma anche di Bach e Handel. Come Ellen aveva già debuttato almeno dal 1969, ma la sua familiarità con Britten risale al 1962, quando era subentrata, nella prima assoluta del War Requiem, a Galina Vishnevskaya con un preavviso veramente minimo (le autorità sovietiche avevano negato alla cantante russa l’autorizzazione a recarsi nella ricostruita Cattedrale di Coventry per l’evento; ma, curiosamente, le permisero l’espatrio per la registrazione). La Harper è la partner perfetta per questo Grimes: oltre a cantare splendidamente, è forte, volitiva, distrutta dalla vita, concreta, violenta. Eccezionale la forza con cui proclama il suo “Whatever you say”, ma non meno emozionante è “Embroidery in childhood”, declamato con poca forza evocativa, ma con un tono svuotato, pieno di amarezza.
Non meno grandioso il Balstrode di Norman Bailey, unica eccezione rispetto al cast della registrazione discografica (lì era Jonathan Summers): grandissimo cantante, comunicativo, empatico.
Eccellenti anche gli altri personaggi: lo Swallow di Forbes Robinson, la Auntie della spiritosa Elizabeth Bainbridge, la Sedley dell’austera, timbratissima Patricia Payne e l’Hobson di John Tomlinson, giovane e ancora non nel pieno del fulgore della propria fama.
Spettacolo grandioso, che non ha perso un centesimo della propria attualità.
Pietro Bagnoli

 

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