Mercoledì, 24 Aprile 2024

Meistersinger

Aggiunto il 23 Maggio, 2009


RICHARD WAGNER
I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA

Hans Sachs DIETRICH FISCHER-DIESKAU
Veit Pogner PETER LAGGER
Kunz Vogelgesang PETER MAUS
Konrad Nachtigall ROBERTO BAÑUELAS
Sixtus Beckmesser ROLAND HERMANN
Fritz Kothner GERD FELDHOFF
Balthasar Zorn LOREN DRISCOLL
Ulrich Eisslinger KARL-ERNST MERCKER
Augustin Moser MARTIN VANTIN
Hermann Ortel KLAUS LANG
Hans Schwarz IVAN SARDI
Hans Foltz MIOMIR NIKOLIC
Walther von Stolzing PLÀCIDO DOMINGO
David HORST R. LAUBENTHAL
Eva CATARINA LIGENDZA
Magdalene CHRISTA LUDWIG
Un guardiano notturno VICTOR VON HALEM

Chor der Deutschen Oper Berlin
Chorus Master: Walther Hagen-Groll

Orchester der Deutschen Oper Berlin
EUGEN JOCHUM

Luogo e data di registrazione: Jesus-Christus-Kirche, 3-4/1976

Edizione discografica: DGG “The Originals”, 4 CD economici

Note tecniche: rimasterizzazione pressoché perfetta

Pregi: Ligendza e Domingo

Difetti: non ce ne sono di particolari

Giudizio complessivo: images/giudizi/ottimo-eccezionale.png

“Wagner non sapeva mai quando concludere un’opera”.
Così si esprimeva Dietrich Fischer-Dieskau a proposito dei Maestri Cantori di Norimberga, lavoro fra i più lunghi mai composti dal grande musicista: e sembrerebbero parole quanto mai adeguate, anche tenendo conto dell’amore che il grande baritono aveva per il ruolo di Hans Sachs, tanto da inserirne il monologo finale in un concerto che tenne a 17 anni.
Questa è l’unica registrazione disponibile dell’Hans Sachs del grande baritono berlinese, ed è un’acquisizione di notevole spessore musicale anche se, per le sue peculiari caratteristiche di fonazione, non arriva a scalzare dal piedistallo i grandi interpreti del ruolo. È bravo, canta benissimo, è analitico, viviseziona la frase, conosce le regole del declamato alla perfezione, ma non arriva ad essere Sachs come ci riusciva, per esempio, Schöffler, Hotter o altri anche meno dotati di lui. Questo Sachs eccelle nella prima parte del terzo atto; quando cioè dà al giovane ed irruento allievo la lezione su come comporre il Preislied, anche perché il tono, pur essendo un po’ professorale, è simpatico e ricco di bonomia. Allo stesso modo, si apprezzano senza riserve i due monologhi finali del terzo atto, mentre quello del Lillà del secondo manca del senso di rimpianto e di abbandono, e quello della Follia manca singolarmente di struggimeno. Quello che insomma manca – e qui concordo con Elvio Giudici – è la spontanea affettuosità dell’accento che rendeva irresistibile persino la caratterizzazione di un Wotan imperioso come Hotter. Ma la dialettica di Sachs, quella dialettica che lo porta a convincere e mettere d’accordo tutti, trova nel declamato sapido e appena appuntito di Fischer-Dieskau una delle migliori caratterizzazioni della storia del disco, ed è giusto che sia stata fissata in questa edizione che si colloca nei piani alti di una discografia complessivamente molto prestigiosa.
Ma, per singolare che possa essere l’interpretazione del baritono berlinese, la vera ragione per comprare questi dischi è la soddisfazione di ascoltare non solo una delle migliori interpreti di Eva, ma una delle pochissime registrazioni disponibili di colei che fu l’Isolde di almeno un decennio: Catarina Ligendza. Svedese, nata a Stoccolma nel 1937, formatasi con Josef Greindl, aveva debuttato nel 1965 come Contessa nelle “Nozze di Figaro” e nel 1971 aveva fatto Leonore del Fidelio. Da allora in poi, il passaggio a quei grandi ruoli wagneriani che l’avrebbero resa famosa, grazie anche alla scrittura al Festival di Bayreuth ove si era coperta di gloria come Brunnhilde e, appunto, Isolde, ruolo che poi fece anche a Milano con Carlos Kleiber e Spas Wenkhoff. La voce è una meraviglia: una folgore, dotata di un’estensione da vero soprano drammatico, ma anche di una smaltatura e di una luminosità che ha pochi confronti (in quegli anni, essenzialmente Gwyneth Jones). Non è un caso che sia stata l’interprete di riferimento per questi ruoli a cavallo fra gli Anni Settanta e gli Ottanta. Anche nel suo caso, ovviamente, alla rivalutazione odierna appare clamorosamente chiaro il mistake di base che porta i critici de noantri a non capire un benemerito fico secco delle caratteristiche di emissione necessarie a dominare questi ruoli.
Il terzo asso di questa registrazione all stars è un cantante che, in quel periodo, si dedicava a tutt’altro repertorio, pur avendo già cantato Lohengrin sin dal 1968: sto parlando chiaramente di Plàcido Domingo. Il quale ha effettivamente – e per sua stessa ammissione – una pronuncia tedesca ancora piuttosto fantasiosa (ma migliorerà molto negli anni a venire, quando Domingo si proporrà come uno dei più importanti tenori wagneriani del secolo scorso), canta come suo solito – il che, da un punto di vista stilistico, c’azzecca assai poco con Wagner – ma si ritaglia una fetta di gloria accentando con veemenza, gusto e perfetto aplomb il ruolo di Walther. Certo, per il momento siamo ancora molto lontani dallo stile wagneriano e siamo ancora più dalle parti del canto confidenziale emesso nel più puro stile dominghiano, ma si capisce che il grande artista cerca di uscire dagli schemi che gli sono consueti. È chiaro che poi ci ricasca a capofitto nei momenti che gli sono più congeniali – come per esempio il Preislied – ma il tentativo è nel complesso più che apprezzabile e, soprattutto, si capisce già da questa registrazione che sono state poste le fondamenta del grande wagneriano che verrà. Certo, sarà pur sempre un Wagner in stile dominghiano, ma la Storia la si fa anche imponendo i dati salienti della propria personalità, specie se debordante di calda umanità come nel caso del Tenòr.
I “Meistersinger” di Jochum li conoscevamo già dal live del 1949 con Hotter; è una direzione serena, tranquilla, ricca di buonsenso e placida bonomia, molto sinfonica, forse un pizzico carente sul fronte della personalità, ma riesce a servire a meraviglia le ragioni del testo e quelle del canto, dato quest’ultimo non indifferente, considerando i pezzi da novanta che aveva a disposizione per questa registrazione.
Qualche cenno sugli altri interpreti principali.
Roland Hermann, nato a Bochum nel 1936, è forse un po’ troppo gutturale per i miei gusti, ma è molto bravo nel caricare quanto basta i toni del suo Beckmesser, ricavandone un pomposo ma fondamentalmente simpatico rompiballe.
Christa Ludwig come Lene è uno spreco bello e buono: canta bene, ci mancherebbe, ma svogliatamente; e non ha nemmeno un pizzico del sale che ci vorrebbe a interpretare una ragazzotta popolana.
Horst Laubenthal è un David di voce aggraziata e molto intonata, ma il peso specifico è minimo anche per un ruolo di garzone di bottega, peraltro per nulla banale quanto ad estensione e durata. Prova gradevole e nulla più.
Analogamente, né Peter Lagger né Gerd Felhoff riescono a coprirsi di gloria nei rispettivi ruoli, affrontati senza particolare entusiasmo.
Riversamento di qualità semplicemente eccezionale!

Categoria: Dischi

 

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