Giovedì, 28 Marzo 2024

Traviata

Aggiunto il 21 Febbraio, 2016


Giuseppe VERDI
LA TRAVIATA

• Violetta Valéry LICIA ALBANESE
• Alfredo Germont JAN PEERCE
• Giorgio Germont ROBERT MERRILL
• Flora Bervoix MAXINE STELLMAN
• Annina JOHANNE MORELAND
• Il Barone Douphol GEORGE CEHANOVSKY
• Il Marchese d’Obigny PAUL DENNIS
• Il Dottore Grenvil ARTHUR NEWMAN
• Gastone, visconte di Letorières JOHN GARRIS


NBC Chorus
Chorus Master: non indicato

NBC Orchestra
ARTURO TOSCANINI

Luogo e data di registrazione: New York, broadcast, 1946
Ed. discografica: - RCA Victor «Gold Seal» GD 60303 {2CDS} (1992); Grammofono 2000 AB 78744-46; Arkadia 2CD 78039 {2CDS} ; Music & Arts CD 4271 (rehearsals) {2CDS} (2004)ª; *Aura Music LRC 11097 {2CDS} (2001)

Note tecniche sulla registrazione: suono discreto (trattasi di broadcast)

Pregi: lavoro di squadra

Difetti: edizione vocalmente non significativa

Valutazione finale: images/giudizi/buono.png

Ritmo indiavolato, infernale.
Perfetta quadratura musicale.
Dinamiche puramente teatrali.
Questi – in sintesi – i pregi della “Traviata” di Toscanini, quelli per i quali questa registrazione avrà sempre un posto importante nella discografia del capolavoro verdiano. E – si badi – sono pregi che fanno passare in secondo piano i difetti non banali della stessa realizzazione, e che non esistono solo alla voce “cantanti”. La “Traviata” di Toscanini, infatti, scabra e dura come una roccia di basalto, è una realizzazione cruda e violenta che rifugge ogni tipo di implicazione sentimentale.
Perché si amano questi due protagonisti? Chi lo sa. Si incontrano, si urlano frasi appena condite da quell’angoscia esistenziale che sarebbe diventata di moda una decina d’anni dopo, grazie soprattutto all’impegno di Licia Albanese (gli altri due interpreti sono ben più superficiali); poi lei muore e fine del cinema.
Elvio Giudici parla di corsa febbricitante verso la morte, ma ho dei dubbi che questa sia una scelta premeditata di Toscanini. Lo sarà forse con Muti, una quarantina d’anni dopo; ma con Toscanini – il cui Verdi mi sembra ormai molto invecchiato – mi sembra che ci sia soprattutto una generica concitazione che lui spendeva un po’ ovunque, sia pur dominata dall’istinto del fuoriclasse e dal genio del vero uomo di teatro.
In cosa è invecchiato, il Verdi di Toscanini?
Soprattutto nel rifuggire da tutte le connotazioni sentimentali che sono il necessario contraltare alla violenza di cui Violetta è fatta oggetto. L’alchimia pressoché perfetta di quest’opera meravigliosa è nella gestione dei sentimenti di una puttana in cerca di redenzione, di un uomo che si innamora di lei e di una società che condanna questo legame e che fa di tutto per boicottarlo. La sola violenza probabilmente non basta a caratterizzare un’interpretazione; l’equilibrio fra le componenti è fondamentale.
Toscanini, artista di notevole intelligenza ma notoriamente drastico, fa una scelta di campo annullando una componente e buttandosi esclusivamente sull’altra; in questo mi sembra figlio del suo tempo, non diverso da quello di un Molajoli, che forse non pesta così duro sull’acceleratore, ma che – per dire – ha la stessa concezione violenta e funerea della festa a casa di Flora.
È quindi ovvio che i cantanti si uniformino a questa visione.
È quella di Toscanini una scelta di campo conseguenza dei cantanti che ha a disposizione, o sono i cantanti a essere scelti sulla base dell’impostazione voluta dal direttore? È difficile da dirlo solo ascoltando ma, considerando che anche all’epoca potevano esserci altre potenziali candidate al ruolo dotate di voce molto più interessante, viene da pensare che prediligere Licia Albanese per la parte protagonista, anche tenendo conto che era già da un po’ una stella del Met sia una precisa scelta di campo: Toscanini amava la voce della sua Violetta.
Questo viene confermato dalla stessa Albanese in un’intervista di Allan Ulrich per una testata di San Francisco nel 2004.
He [Toscanini] requested her Mimì for the 50th anniversary, NBC Symphony recording of "La Bohème," which he had premiered in 1896, and he re-engaged her immediately as the consumptive Violetta for their classic recording of "La Traviata."
"The maestro rehearsed me in the 'Addio.' There were so many wrong notes in his piano playing. He didn't care. The tears came down his cheeks. The music moved him so much." (http://www.sfgate.com/entertainment/article/Many-a-tear-was-shed-when-soprano-Licia-Albanese-2720028.php)
Ma non solo: nello stesso articolo-intervista la cantante, all’epoca più che novantenne (sarebbe morta nel 2014, a 105 anni) ma ancora lucidissima, racconta altri dettagli:
"Maria Callas once asked me how I ever got through it, but Toscanini wanted it that way," Albanese recalls, "it should be like Champagne, he said. I complained to him, and he said, 'You can do it.' Before I sang the part, I went to a hospital to study the behavior of people with tuberculosis and I learned that sometimes they can be hysterical."
Grandissima professionista, non c’è che dire; e molto funzionale alla visione dura e violenta di Toscanini.
Nondimeno, il canto è di qualità davvero modesta. Il primo atto è il peggiore, anche perché dopo un duetto con Alfredo anonimo, il grande momento solistico – ovviamente senza il mi bemolle conclusivo, ma chi se ne importa – la vede comunque in difficoltà, per tutti i passaggi virtuosistici ignobilmente spianati e senza aver nulla in cambio.
Il duetto del secondo atto è fra i più tristi e aridi, ma a questo concorre in modo determinante anche la modesta qualità del canto di Merrill in questo passaggio.
Anche “Amami Alfredo” passa senza punto esclamativo e senza schianto emotivo, mentre appena meglio è il finale secondo e l’Addio del passato, febbricitante e sgomento. Pessima gestione, invece, del “Parigi o cara”, anche in questo caso non per sua sola colpa.
Complessivamente la voce di Licia Albanese è piuttosto vuota, povera di armonici, limitata in acuto; a distanza di così tanti anni, e con molta acqua passata sotto ai ponti, non basta qualche colpo di tosse e un’espressione genericamente concitata per arruolare la cantante italo-americana nel novero delle Violette da ricordare.
Il quarantenne Jan Peerce era “il” tenore di Toscanini. Voce robusta, timbrata, sonora, pur senza eccessivi involi in acuto; purtroppo anche poche finezze, che peraltro non sembrano richieste dal direttore. Il personaggio è veemente quel tanto che basta nei passaggi più concitati, ma manca totalmente di quel tono carezzevole che sarebbe indispensabile nel primo e nel terzo atto.
Il più giovane dei tre è il trentenne Robert Merrill che in quel periodo negli USA si disputava con Frank Guarrera e Leonard Warren l’eredità di Lawrence Tibbett. La voce è generosa, ma l’interprete – come dicevo sopra – non c’è per niente nel duetto con Violetta del secondo atto; a conti fatti, forse è il momento che interessa di meno Toscanini. Invece “Di Provenza” è fatto molto bene e con sensibilità.
Comprimari di scarso interesse, così come il coro strapaesano.
L’orchestra, invece, suona benissimo, accompagnata dal super-maestro che mugugna e canticchia in continuo, comme d’habitude
Pietro Bagnoli

 

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