Sabato, 27 Aprile 2024

Rusalka

Aggiunto il 21 Giugno, 2006


• Rusalka Renée Fleming
• Principe Ben Heppner
• Ondin Franz Hawlata
• Jezibaba Dolora Zajick
• Principessa Eva Urbanovà
• Guardia Ivan Kusnjer
• Sguattero Zdena Kloubovà
• Ninfe Livia Aghovà, Dana Buresovà, Hana Minutillo
• Cacciatore Ivan Kusnjer

Czech Philharmonic orchestra
Direttore: Charles Mackerras
The Khun Mixed Choir
Direttore: Pavel Khun

Luogo e data registrazione: Praga 28 aprile – 9 maggio 1998

Note tecniche sulla registrazione: qualità eccellente con rapporto voci-orchestra ottimo

Pregi: straordinario Mackerras, ottimo tutto il resto.

Difetti: nessuno

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png

Neppure in questa opera di Dvorak il soprannaturale lega con gli umani, pure la dolcezza del finale, in cui il tema di Eros e Thanatos, così solenne nell’enunciazione degli ottoni, si sposa a meraviglia con il tema di Rusalka, così offuscato dal dolore, una certa speranza ce la lascia coltivare.
In fondo, l’amore trionfa sempre anche sulla incomunicabilità, sulle debolezze e le delusioni suscitate dagli umani, troppo attenti al “materiale” più che ai sentimenti profondi.
Si sa, e non si scopre alcunché, che Mackerras ama il mondo slavo con tutto se stesso, avendoci regalato nella sua ricca e lunghissima carriera interpretazioni straordinarie di opere di Janacek, a cui si aggiunge questa altrettanto straordinaria rivisitazione del grande boemo.
Un’orchestra vibratile, e la filarmonica ceca è uno strumento duttilissimo, sempre pronta a rimarcare le piccole variazioni dinamiche, dal respiro leggero dell’acqua alla dolcezza raffinata della notte al chiaro di luna, dalle continue e disperate raccomandazioni dello Spirito delle acque alle acide e invidiose puntature della Principessa, vera strega della storia.
La natura sembra amica, se la si rispetta, anche quando suscita terrificanti maledizioni da cui si ricavano solo drammi e disperazione, così trapunta di una continua e stuporosa interrogazione lamentosa, diafana e corrucciata insieme.
Espressività degli archi, morbidi e nervosi ad un tempo, precisione nel gioco contrappuntistico dei vari legni, acuti e gravi, fino alla squillante sezione degli ottoni di wagneriana opulenza.
Nulla viene lasciato al caso, neppure le parti più strettamente folcloristiche e di sapore più popolaresco, come nella sarabanda che agita la gioiosa presentazione delle ninfe al primo atto, la ritmica e saltellante preparazione del filtro magico di Jezibaba, sempre nel primo atto o la rappresentazione dell’universo umano in quella polka dal ritmo danzante e allegro all’inizio del secondo.
Ma magica è la trasparenza dell’accompagnamento dell’aria di Rusalka del primo atto: “ canto alla luna” , un larghetto dal misticismo contemplativo, migliore traduzione possibile del sogno slavo, cullante nella sua cantabilità “ notturna”.
Ricchezza di variazioni ritmiche e timbriche in un altro capolavoro interpretativo che risulta essere l’aria del Principe: “ Ella era là…” dove si sposa alla perfezione l’allegro vivace iniziale, con gli ottoni nostalgici di chi non ritrova più la celestiale visione che l’ha turbato – che ricordano da presso il Lohengrin – al moderato con moto pieno di dolce e galante amorosità, fino all’andante sostenuto che in tutto disegna una espressiva dichiarazione d’amore arricchita da un fiotto di arpeggi.
Naturalissima è poi la propensione alle sottolineature cromatiche dei brevissimi interludi, piccole aree dalla purezza stilistica degna delle più famose composizioni sinfoniche.
Insomma una prova maiuscola, che nulla toglie alla edizioni Supraphon che l’hanno preceduta ma che aggiunge una particolare capacità d’emozionare, oggi del tutto rara.
Per posizionarsi sul gradino più alto di una ipotetica valutazione complessiva delle realizzazioni dell’opera, Mackerras aveva bisogno però di grandi cantanti e almeno i principali sono davvero eccellenti.
La Rusalka della Fleming ha fatto il giro del mondo, con piena soddisfazione per chi l’ha potuta ascoltare dal vivo, ma anche per i comuni mortali, come il sottoscritto, che si affidano solo all’ascolto dei dischi lo stupore si accompagna alla piena ammirazione.
Centri pieni, risonanti nelle note gravi, omogeneità d’emissione che non lascia spazio nei vari registri, acuti – in modo particolare i molti Si bemolle – raggianti, facili.
Ma espressività molto occidentale con vibrazioni sottili e continue che ravvivano un personaggio il cui pallore dovrebbe essere peculiare.
Una donna a tutti gli effetti, quindi, che non solo canta molto bene ma interpreta meglio con una carica di sensualità e di dolcezza malinconica da innamorata senza infingimenti.
Il principe di Heppner è un piacere per le orecchie, tale è la facilità nell’emissione, la lucentezza del timbro, il metallo prezioso degli acuti che ne fanno il migliore interprete della parte in assoluto.
Il canto si sposa sempre alla consapevolezza della nobiltà del ruolo, ma i tremiti, l’ansia, lo stupore di chi vorrebbe capire, la nostalgia tutta intrisa di dolente sconforto stupiscono.
Il finale dovrebbe riempirci di disperazione ma Heppner sa virare dal semplice dolore ad una serenità maestosa, la morte come mezzo ultimo per non separarsi più, la notte come pace eterna che irrompe in un mondo, quello degli umani, fatto di inganni e perfidie, ormai, dopo aver conosciuto la ninfa muta, non più sopportabile.
Per il futuro, sarà difficile associare alla parte un tenore che non abbia le caratteristiche di Heppner, un po’ come il timbro di Pavarotti è stato e sarà sempre il Rodolfo per antonomasia.
Bravissima la Jezibaba della Zajick, un po’ più discreta nell’ottava grave, ma la parte deve rispondere alle esigenze dell’orchestrazione che le dedica ritmi ben più saltellanti e in allegro, che non lasciano certo il tempo per voci da mezzosoprano troppo cavernose.
Non è lei la perfida, ma risponde con naturalezza alle esigenze dei ruoli, di qui il soprannaturale e di là l’uomo con i suoi tradimenti.
Chi non sta alle regole paga, ma è un gioco inevitabile, in Jezibaba non v’è cattiveria compiaciuta, v’è solo il mistero di un mondo che noi non riusciremo mai a penetrare.
L’Ondin, lo spirito delle acque di Hawlata, è un buon basso-baritono, senza vette interpretative e una voce non del tutto morbida, che si stimbra nella salita agli acuti, ma il suo ricorrente e straziante “ Beda” finisce per agitare anche i più indifferenti.
Riesce a trasmettere il paternalismo convinto di chi non è riuscito a distogliere dai pazzi progetti la figlia prediletta… e chi non avrebbe agito così?
La Principessa della Urbanovà ha l’asprezza nel timbro necessaria ma gli acuti suonano un po’ indietro e lievemente sforzati e forse manca di una più intensa cattiveria.
Bella voce educata la guardia forestale di Kusnjer, così come corretta è la voce dello sguattero affidata alla voce femminile della Kloubovà.
Dolcissime le tre ninfe: Aghovà. Buresovà e Minutillo.
A chi non l’avesse ancora fatto raccomando un ascolto attentissimo, lo stupore non mancherà di dipingervi il volto incredulo.

Ugo Malasoma

Categoria: Dischi

 

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