Cari amici,
sono contento che il tema abbia suscitato un così bel dibattito.
Proverò a rispondervi, partendo dal semplice, e lasciando per un'altra volta la questione più spinosa: la DiDonato..
Spinosa perché la DiDonato-Colbraniana ancora non esiste (si attende la sua Elena ginevrina); noi stiamo solo ipotizzando quale sarà la sua reazione a contatto con questi ruoli, partendo da questo disco e da ciò che sappiamo di lei.
Non è un esercizio semplice, ma nemmeno gratuito: i risultati, nei limiti delle umane possibilità, occorre tentare di prevederli.
Vi risponderò... promesso.
Vengo alle altre questioni e parto da Vit.
VGobbi ha scritto:non mi capacito come mai per questi ruoli seri, siano sempre state affidate alla vocalita' di una "Pasta". Come mai, si e' sempre rimasti convinti che anche il Rossini serio andava affibbiato ad una vocalita' che richiamasse una falsa aulicita', una vocalita' fine a se' stessa e prodiga di inutili funambolismi, una linea vocale cosi' immacolata da rasentare la perfezione, quando invece (mi riferisco al Rossini e quanto detto da Matteo), il compositore pesarese aveva pensato e scritto per un altro tipo di voce. Possibile che in questo oltre quarantennio, abbiamo dovuto aspettare l'Antonacci o la Di Donato (sempre leggendo i vostri pareri, senz'altro piu' esperti ed appassionati di me, almeno in questo repertorio) per scoprire le nuove vie interpretative. Possibile che nemmeno la "reisnassance rossiniana" non abbia avuto nulla da dire, al di la' di riportare in auge certo repertorio ...
In realtà il problema che poni ha, secondo me, una risposta abbastanza immediata.
Quando si tira in ballo un repertorio "nuovo" (e prima della Rossini Renaissance il Rossini Serio era "nuovo", in quanto da secoli al di fuori dell'orizzonte del pubblico e della pratica teatrale) devi adattarti al fatto che gli interpreti (i pionieri) non avranno ancora maturato tecniche, stili, espressività specifici.
I cantanti saranno costretti (ma questo vale anche per direttori, scenografi, registi) ad applicare al "nuovo" repertorio le tecniche, gli stili, le espressività mutuate da altri repertori, quelli "in voga" al momento.
Tanto per fare un esempio, c'è ancora qualche passatista disutile che pensa di poter affermare che Wagner vada cantato con stile "Sutherland", dal momento che i primi interpreti wagneriani (quando ancora non esistevano, nè potevano esistere, gli specialisti wagneriani) fosse reclutati per forza di cose tra i cantanti che c'erano (e se uno arrivava vivo alla fine delle prove, Wagner era già commosso).
Come chiunque sa, i primi veri "wagneriani" sono quelli che - via via che il repertorio wagneriano prendeva piede - si concentravano sulle specificità della sua scrittura fino a mettere in campo tecniche, stili ed espressività appositamente pensate per Wagner.
Stessa cosa è avvenuta col recupero novecentesco di Rossini.
Quando negli anni '50 e '60 si osarono le prime scoperte rossiniane, mancavano i cantanti "rossiniani". Ci sono volute generazioni - via via che tale repertorio prendeva piede - perché si formassero le prime scuole rossiniane novecentesche.
Bene, se anche noi ragionassimo come quei passatisti disutili, dovremmo esaltare i vari Francesco Albanese e Umberto Grilli, quali modelli di interpreti rossiniani... Ma ovviamente non è così. Erano cantanti preparati per altro repertorio, costretti a cimentarsi con Rossini.
Il problema era serio per tenori e bassi (che ormai in nessun repertorio - parlo degli anni '50 e '60 - coltivavano agilità e spettacolarità di estensione).
Per le donne era un po' più semplice: il virtuosismo era ancora abbastanza praticato.
Inoltre il caso Callas aveva riportato in auge il cosidetto "drammatico d'agilità" (espressione idiota, ma tant'è... usiamola anche noi). Per cui, anche per spirito di emulazione, tanti soprani degli anni '50 ripresero a lavorare sul coté virtuosistico.
Niente di più ovvio che, per i ruoli Colbran, si andasse a razzolare nell'ambito dei soprani virtuosi, gli stessi a cui (sempre sull'esempio Callas) si affidava la rinascita di Donizetti e Bellini.
All'epoca era già una gran fortuna poter disporre di "drammatici d'agilità" (umpf) per lo meno virtuosi e carismatici come surrogati dei ruoli Colbran.
Le avresti chiamate anche tu, all'epoca, le Sutherland, le Zeani, le Caballé... e ti saresti baciato i gomiti.
Arriviamo agli anni '80 e al Festival di Pesaro. La situazione si è rovesciata.
Mentre, sull'esempio Horne, contralti, tenori e bassi finalmente trovavano una risposta adeguata ai personaggi rossiniani, nè Pesaro, nè altri hanno avuto il coraggio di mettere in forse la supremazia che, nel frattempo, le belcantiste-tuttofare si erano guadagnate.
Così si è continuato a chiamare loro.
Col senno di poi sappiamo che Pesaro - sul fronte Colbran - ha sbagliato sempre.
Sarebbero stati gli anni per buttare sul tappeto nei ruoli Colbran (che so?) una Normann, una Price (Margareth), ... e invece hanno continuato con le loro Lucrezie e Amine in libera uscita.
Lasciamo a Pesaro la gloria di aver riconsociuto l'importanza della rivoluzione americana negli altri personaggi (i Merritt, i Blake, i Ford, i Kunde, i Ramey...) e lasciamogli la vergogna di non aver mai capito (nemmeno oggi) la strada per i ruoli Colbran.
E soprattutto lasciamogli la vergogna di essersi lasciata sfuggire l'occasione di incoronare l'unica vera colbraniana del secolo scorso: la Antonacci.
A questo discorso, della "storicizzazione" del processo, si collega anche la valutazione del caso Sutherland.
Enrico ha scritto:Credo anche che si debba riconoscere alla Sutherland il merito della riscoperta e del successo di Semiramide (come di certe opere di Haendel in tempi in cui per allestire un Giulio Cesare si chiamava la Tebaldi): la lascerei tranquilla e ancora degna di ammirazione sul suo splendido piedistallo, dal momento che dalle altre opere di Rossini si è tenuta ben distante. Le acque avrebbero dovuto smuoversi un po' di più in tempi più recenti, soprattutto dopo che i veri rossiniani avevano fatto capire quali potessero essere le giuste direzioni interpretative.
Tucidide ha scritto:E' vero che la Callas e la Sutherland, diversissime come erano, hanno posto le loro incarnazioni colbraniane su piedistalli aurei. Ma è anche vero, credo, che quel piedistallo fosse avvertito come assai meno invadente all'epoca. Anzi, mi viene da pensare che, per quel tipo di ruoli e di repertori, allora abbastanza inusuali, il piedistallo fosse proprio quello che voleva e si aspettava il pubblico.
Adesso suona un po' vetusto, ma all'epoca era pienamente legittimo.
Come ho detto sopra, sono d'accordo con voi nel "giustificare" Armida-Callas e Semiramide-Sutherland con la necessità di fare (allora) con quello di cui si disponeva.
Interpreti Colbran non ce n'era, nè potevano esserci.
I pionieri andavano raccolti nei repertori che si consideravano (allora) più vicini... Chi meglio di una Lucia, una Beatrice, una Norma poteva cantare un personaggio di primadonna rossiniana?
Facendo di necessità virtù, l'una e l'altra hanno costruito personaggi affascinanti e assolutamente convincenti.
Quindi nessuno ce l'ha con loro... mi limitavo a constatare i "danni" (chiamiamoli così) che il loro imprinting ha prodotto nel tempo, quando - come dice Enrico - le altre tipologie vocali erano lì a dimostrare che per i ruoli Colbran altre strade andavano percorse.
Solo su una cosa non sarei d'accordo... la difesa del "piedistallo" suggerita da Tucidide, secondo cui esso sarebbe giustificato dai gusti degli anni '50 e '60.
Eh, no! Indipendentemente da Sutherland e Callas (maestre della sublimazione e della metafisica operistica), non c'è epoca (nè la loro, nè la nostra) che giustifichi la scappatoia rappresentata dal "piedistallo", per lo meno nell'accezione che - in questa discussione - ho dato al termine, ossia un simbolico cumulo di frasi fatte, luoghi comuni, manierismi "operesi", ovvietà pontificanti ma in realtà pantofolaie.
Gli anni '50 e '60 poi non erano proprio per niente ostili a una "psicologizzazione" dei personaggi: la Callas (ossia la più famosa cantante dell'epoca) era una che quando voleva "psicologizzava" i ruoli in maniera spaventosa: basti pensare a Butterfly o Aida. La Schwarzkopf in Ariadne sconvolse una generazione abituata alle Ursuleac, alle Reining e le altre "Ariannone" tutte avvolte di pepli che strillavano dal loro piedistallo. La Moedl, invece di pontificare come le Isolde precedenti, mollava a sua volta un calcione al piedistallo (tristissimamente praticato dai wagneriani fra le due guerre) e sfolgorava di umanità: ciò non le impedì di essere la più celebre Isolde dell'epoca di cui parliamo. La Borkh faceva vibrare la più incredibilmente umana delle Elektre senza alcun piedistallo, anzi con note che urlavano di verità. Voglio accontentare Vit, dicendo che persino il suo Gobbi, quando riconduceva Simone alle radici plebee e tribunizie di un corsaro riconvertito alla politica, lo faceva senza alcun piedistallo (sul quale invece i Simoni precedenti e posteriori hanno sempre amato salire).
Quindi non è vero che il pubblico "reclamasse" dalla Callas e dalla Sutherland un tipo di approccio "sublimante" per Armida e Semiramide.
Era solo una scelta di comodo: ciò non riduce affatto la portata del risultato, intendiamoci, ma non credo lecito affermare che fosse un'esigenza del pubblico.
La realtà è che la Sutherland non avrebbe potuto fare altrimenti (perché l'astrazione era l'unica freccia espressiva al suo arco... ma che freccia!).
Mentre la Callas avrebbe anche potuto, se solo (come dice Triboulet) quel suo unico approccio non fosse stato così frettoloso...
e a proposito dell'Armida fiorentina della Callas...
Triboulet ha scritto:Questo non vuol dire che difendo la Callas che, a parte la mostruosità vocale, è alquanto superata. Come pure sono state superate le sue Medee e Lady di quel periodo (52-53). Se vuoi saperlo penso che la Callas del 58-59 sarebbe stata una Armida perfetta, almeno a giudicare da come a distanza di pochi anni riuscì a rileggere Rosina. Se avesse unito Rosina a Medea, la Callas avrebbe avuto cinismo e ironia (e, in quel periodo, persino le difficoltà in acuto, oltre che la proverbiale disomogeneità dei suoi registri)... certo la sensualità, quella non ce l'ha mai avuta
La Callas arrivava davvero dappertutto... ma evidentemente non solo con l'istinto.
Il suo istinto era portentoso, intendiamoci, ma - senza un tempo di maturazione adeguato (vedi la sua Lady) - poteva anche rivelare dei limiti.
Se le fosse stata data l'occasione di maturare per bene la questione dei ruoli "Colbran", di certo avrebbe tirato fuori - come tu dici - il miracolo.
Anche io ne sono sicuro!
Soprattutto negli anni che i vociologi chiamano "del declino" (mentre sono stati quelli della sua maggiore creatività), ossia dal 54-55 in poi, la Callas avrebbe potuto essere l'Elena e la Desdemona, la Semiramide e la Zelmira dei nostri sogni.
E non solo... ma (mi spiace per Tucidide) sono sicuro che l'avrebbe anche fatta scendere dal piedistallo!
Vuoi la prova?
Confronta il suo sonnambulismo scaligero del 52 (bello ma "piedistalloso" all'inverosimile) con quello "bergmaniano" inciso nel '58.
Ecco... la Callas dell'epoca avrebbe certamente fatto vivere questi personaggi, scovato la loro verità, giù dal piedistallo.
Ma, caro Triboulet, conveniamo che stiamo parlando di sogni.
Chi le avrebbe potuto offrire, all'epoca, la possibilità e soprattutto il "tempo" per un simile approfondimento?
In fondo la sua rivoluzione più importante (la definizione dei ruoli "Pasta") si è retta sulla popolarità di opere come Norma e Sonnambula, che tutto il mondo era disposto a programmare.
Già di Bolene ne ha fatta solo una...
Forse all'epoca noi stessi avremmo ritenuto uno spreco che ...la più grande Violetta del Novecento perdesse il suo prezioso (e poco) tempo con opere poco note.
E visto che sono a Triboulet concludo con la questione dei Colbran "buoni" e "cattivi".
Come a tutt'oggi ci sono interpreti che cantano SOLO la Pasta patetico-elegiaca (vedi Dessay, che difficilmente farà Norma... almeno credo ) perchè hanno una vocalità e un carattere che si associa più naturalmente a quel tipo di scrittura, così si può dire ad esempio che l'Elena della Ricciarelli è migliore della sua Armida (così come la sua Bolena è migliore della sua Norma). Il problema è proprio la scrittura, che ovviamente non è sempre la medesima da un ruolo all'altro, tanto in Bellini quanto in Rossini.
Vedi Triboulet,
secondo me invece i ruoli "pasta" non presentano affatto una scrittura diversa, e nemmeno i ruoli Colbran
Siamo noi che, perdendo di vista il mondo che sta dietro alle note, ci attacchiamo a questioni che a noi sembrano importanti (mentre non lo sono) come l'opposizione buona-cattiva (Elena-Armida) o tragica-elegiaca (Norma-Sonnambula).
E siamo noi che, alla luce di tali questioni, forziamo la "nota", la "scrittura", il "suono" per farvelo aderire a tutti i costi.
Ci pare talmente importante che Elisabetta sia cattiva e che Elena sia buona, da pensare che persino la scrittura rossiniana diverga, mentre non è così.
Se noi fossimo in grado di vedere la vera "costante" fra i ruoli Pasta o fra i ruoli Colbran, capiremmo che le distinzioni da noi operate sono solo fuorvianti... e ci conducono a travisamenti, forzature, tradimenti del personaggio.
Poi.. che queste forzature, tradimenti e travisamenti possano anche sortire grandi interpretazioni (la Dessay come Amina) è vero.
Non di meno (scusa se mi ripeto) la Dessay come Amina ha molto da dirci su se stessa, su quanto è brava ed espressiva, ma ben poco da dirci sul personaggio.
Chi è Amina... cosa si cela dietro di lei, la Dessay non potrà mai rivelarcelo, perchè il "quid Pasta" non è fra le sue corde.
Solo grazie alla rivelazione del "quid Pasta" (non solo musicale, ma anche poetico e culturale, che - in modo ben diverso - hanno colto sia la Callas sia la Sutherland) abbiamo potuto capire quale universo si agita dietro il cantabile ipnotico e sublimante di Amina, quel suo procedere incerto fra sogno e realtà, quel suo smarrirsi fra le vertigini del "sub-lime" Romantico.
E sempre grazie al "quid Pasta" (svelatoci da Callas e Sutheralnd) abbiamo potuto intuire gli abissi lirici di Norma, la sua sconfinata solitudine, i suoi silenzi, quel suo rabbrividire alla luna, nel respiro di alberi secolari, quel suo perdersi fra rimembranze, amori ideali e sacrifici.
Senza la rivelazione del "quid" eravamo condannati a vedere solo l'esteriorità di queste parti e a non capire la compresenza tragico-elegiaco che si riverbera da un personaggio all'altro.
Tu dici "la scrittura è diversa". E' falso, Triboulet, almeno per me.
La scrittura di queste due opere è la stessa; anzi, proprio il separare le Amine dalle Norme ha stravolto la scrittura, ne ha stravolto il linguaggio, ne ha stravolto il suono: Toti dal Monte da una parte, Gina Cigna dall'altra.
Ora che si "possa" eseguire un ruolo anche fregandosene di ciò che sta oltre le note è vero...
L'abbiamo detto tante volte: Vinay, Del Monaco, Vickers sono stati i maggiori Otelli del '900, benché non avessero alcuna idea dell'"universo Tamagno".
Ma questo non toglie che se finalmente saltasse fuori un Otello che, oltre ad essere un grande inteprete e musicista come loro, fosse anche consapevole del "quid Tamagno", allora Vinay, Vickers e Del Monaco sarebbero spazzati via (come la Callas spazzò via la Toti e la Cigna), perché allora ci brillerebbe in faccia la "verità" di Otello.
Nei ruoli Pasta è impossibile distinguere fra tragedia ed elegia, perché queste due componenti coesistono, come circonfuse in un vortice di luce.
Un'Amina senza prospettiva tragica è monodimensionale. Una Norma senza vertigine elegiaca lo è altrettanto.
Con i ruoli colbran è lo stesso: bontà e cattiveria (come li vediamo sul libretto) non sono elementi importanti, proprio perchè siamo nel contesto a-morale (in questo senso modernissimo) del materialismo rossiniano.
Come ho scritto in questo stesso thread, io ritengo i ruoli rossiniani pre-francesi totalmente anti-romantici, perché visti senza alcun retroterra morale, solo come architetture "psicologiche"; in essi cattiveria e bontà sono mescolati, compresenti, interagenti.
Non sono che "reazioni" a determinate sollecitazioni.
Se invece accettiamo la divisione (etico-romantica) fra buoni e cattivi, tradiremo sia Ermione (che non è cattiva) sia Desdemona (che non è buona) e perderemo di vista quello che davvero conta.
Quindi o trovi un soprano onnipotente, capace di convincere sia nella canzone del salice che nell'infuocato finale di Armida, oppure ci saranno sempre interpreti che faranno meglio l'uno e peggio l'altro.
Permettimi, Triboulet, di affermare che questo è il segno della nostra sbagliata visuale del problema.
Siccome non riusciamo a vedere ciò che unisce i diversi personaggi creati da una stessa artista, ci autoconvinciamo che quell'artista era un mostro di trasformismo, o come dici tu Onnipotente.
E chi l'ha detto che la Colbran o la Pasta fossero onnipotenti?
Secondo me invece la Pasta era semplicemente la Pasta, sia in Norma, sia in Amina.
Era forse - la Sutherland - un'interprete onnipotente e camaleontica?
No, non lo era affatto... anzi era compassata, statica e prevedibile.
Eppure è riuscita "stupenda" sia in Amina, sia in Norma... Proprio come la Pasta.
Come è possibile?
Semplicemente perché ha intuito in cosa consisteva il "quid Pasta", la "costante" che una volta scoperta ti permette di essere Amina e Norma (e Beatrice e Anna...) senza alcuna difficoltà, anche se non sei - come lei non era - un'attrice camaleontica.
Trova il "quid Colbran" e allora capirai che non c'è alcun bisogno di favoleggiare sul mostruoso trasformismo della Colbran.
La Colbran era sempre la Colbran, sia che fosse Desdemona, sia che fosse Elisabetta...
siamo noi che ancora non abbiamo capito la sua vera natura e quindi non comprendiamo la coerenza fra un ruolo e l'altro...
Ci stiamo avvicinando al discorso DiDonato!
Un salutone e scusate lo stile arruffato (è quasi l'una).
Mat