
Cantante poliedrica, di notevole fantasia esecutiva, è stata sostanzialmente un mezzosoprano, anche se ha affrontato ruoli da soprano nei quali - comunque - non ha avuto la stessa resa.
Per quanto mi concerne, più che le sue caratterizzazioni da femme fatale (Carmen) o quelle da vampiressa (Klythaemnestra, nella celeberrima incisione di Solti) mi interessano le sue realizzazioni di un personaggio spesso afidato a voci angelicate: mi riferisco alla Siegliende di Bayreuth del 1953, affrontata in entrambi i cicli di quell'anno con due direttori diversi, e cioè Clemens Krauss e Joseph Keilberth.
In entrambi i casi la cantante fatica - ma non più che tanto, in realtà - con gli acuti; in compenso il fraseggio è vario e articolato; e il personaggio è interessantissimo tutto chiuso come è in un grumo di dolore che non lascia nessuno spazio alla speranza, in ciò fondendosi benissimo con le intenzioni di Ramon Vinay, anch'egli presente in entrambi i cicli. Sono due protagonisti che si amano con rabbia, disperazione e nessuna concessione a un sentimentalismo di maniera; solo, ogni tanto, affiora una nota di tenera malinconia come in contemplazione di tutto ciò che sarebbe potuto essere, in un mondo migliore.
E' una visione che personalmente trovo affascinante, molto innovativa per l'epoca e ancora attualissima, molto più che tante note angelicate di Maria Muller (tanto per citarne una): la Resnik, vocalmente a disagio, denota una comprensione quasi sovrumana del proprio personaggio. Le fa degno contorno un Vinay che dimostra - a sua volta - che Siegmund non sta raccontando le prodezze di un becero come fa Melchior con i suoi Waelse! tenuti per 45 minuti ciascuno, ma la storia di uno sconfitto.
Trovo complessivamente invece molto, molto invecchiati alcuni dei suoi personaggi tipici.
Carmen, per esempio: molto maudite, molto old style. Per carità: all'epoca aveva una sua ragion d'essere, ma oggi, dopo la Ewing o la Antonacci, proprio nun se po' più sentì...
Anche la sua Klythaemnestra suona vecchia, una sorta di strega cattiva che appare oggi superatissima in un periodo come quello contemporaneo in cui direttori e registi cercano - giustamente - di individuare i tratti di un'umanità che fino a poco tempo fa sembrava negata al personaggio: mi riferisco, per esempio (ma non è l'unico) alla recente Elektra di Salonen-Chèreau con l'immensa Herlitzius e Waltraud Meier
