Premessa: non ho ancora acquistato il disco, quindi per il momento sospendo ogni giudizio in merito (magari ne potremo riparlare).
Vorrei peró fare qualche commento piú generale, sebbene so giá di attirarmi gli strali di Enrico in primis e in secundis di molti altri (ahi, excusatio non petita accusatio manifesta…

)
Cos´é questa Norma? Cosa aspettarsi da un´incisone come questa? Il non plus ultra in fatto di filologia? La rivelazione della "Norma cosí come la voleva Bellini"?
Beh… direi proprio di no. E inutile cercare in un disco quello che si sa giá di non poter trovare.
Cecilia Bartoli é la cantante d´opera che piú di tutti ha avvicinato le sonoritá del canto lirico a quelle del canto non-operistico: l´emissione, le sonoritá, gli effetti, il colorismo esasperato… sono quanto di piú vicino si possa immaginare a quelli di una cantante pop.
La Pasta cantava cosí? No, ovviamente. Inutile quindi cercare nella Norma della Bartoli un approccio vocale „ortodosso“ o filologico.
Dal punto di vista interpretativo, vi sembra possibile anche lontanamente ipotizzare un legame tra l´aulicitá tragica della Norma della Pasta e l´interpretazione da neorealismo cinematografico della Magnani (cui si rifá esplicitamente la Bartoli nelle interviste e nella stessa cover del CD?). Anche qui, ovviamente, no. Inutile quindi anche in questo caso cercare in questa Norma un´interpretazione "ortodossa" o filologica.
E allora? Come considerare la Norma della Bartoli?
Forse come un semplice "canovaccio", un punto di partenza sul quale costruire, interpretare, dire qualcosa di veramente nuovo in un´opera conosciutissima (in modo non dissimile dal Bach di Gould, dal Vivaldi di Nigel Kennedy, dal Beethoven di Fazil Say). E´ l´esasperazione della soggettivitá dell´interpretazione ("un albero esiste perché IO lo vedo") contro una presunta (ma quanto realizzabile?) oggettivitá dell´intepretazione ("l´albero c´é perché c´é, e basta"). La Bartoli (anche nel suo atteggiarsi da diva d´antan, nel suo collezionare cimeli appartenuti alla Malibran) si propone (e si impone) come interprete CREATRICE, non come mera, passiva esecutrice di un testo. E questo in Vivaldi, Gluck, Salieri, e… Bellini!
Proprio in questo, paradossalmente, si ristabilisce l´equilibrio (questo sí filologico!) tra musicista, librettista e cantante (ciascuno dei tre pienamente e parimenti creatore dell´opera). Cosí la Bartoli, cantante d´opera che incide una Norma "pop", crea qualcosa di nuovo, restituisce un ruolo creativo all´interprete, si conferma regina della filologia applicata all´opera. Se non nei risultati (tutti da valutare) almeno nelle intenzioni.
Ciao!
DM