Cerco di riprendere, per quanto mi è possibile, le fila del discorso "mozartiano".
Rispondo brevemente a Fritz Kobus (che sono felice di rileggere) dicendo che il pensiero di questo forum è talmente poco "monolitico" che il primo a dire che il Mozart all'inglese, benché giustamente divulgatissimo, si può ragionevolmente discutere ero stato io.
Pur ammirando sconfinatamente i veri artisti (artisti, e non produttori di note) che sono molti cantanti britannici, avevo per primo osservato una qual certa incompatibilità tecnica fra le loro sonorità e le specifiche esigenze della scrittura mozartiana.
Avevo tentato, nel mio omaggio a Rolfe-Johnson, di distinguere i limiti e i pregi (presenti ovunque e in chiunque) del Mozart anglosassone, con serenità critica e obbiettività.
Ma evidentemente, mi scuserà Teo.Emme, questo a lui non basta.
Per lui non è possibile mettere da una parte i pregi e dall'altra i difetti: occorre che tutto il bene sia di qua e tutto il male di là!
E il bello è che del "monolitico", del fautore del "pensiero unico" me lo prendo io!

Come al solito Teo.Emme ragiona per categorie, anche se esse - mi perdonerà ancora una volta - portano a esiti anti-storici.
Ad esempio, siccome l'assioma cellettiano distingue il "calore mediterraneo" (da una parte) e "le parrucche incipriate" (dall'altra) allora per forza gli inglesi (non essendo mediterranei) apparterranno agli incipriati.
Se Teo.Emme si fosse preso il disturbo di ascoltare Langridge, Rolfe Johnson e Bostridge avrebbe notato che - con tutti i loro difetti e limiti - c'è molta più cipria, molta più retorica, molti più nei finti nel modestissimo Mozart di Pavarotti di quanto non ce ne sia in loro: il loro è un Mozart divelto non solo dalle consuetudini polverose del barocco di maniera (quelle che ad esempio esibiva Gigli nei suoi terrificanti approcci a questo repertorio), ma addirittura ricondotto a una modernità estrema, forse eccessiva, arida e moderna come quella di raffinati cantautori.
Il loro canto - per sgradevole che appaia a chi non lo ama - è comunque lontanissimo dalle affettazioni che per Celletti (nei suoi un po' limitati orizzonti storici ) erano l'unico contraltare alla "solarità" dei cantanti italiani: il limite degli inglesi semmai è di essere stati troppo vicino a Britten quando cantavano Mozart... accusiamoli per questo, semmai... capisco se li rimproveriamo di essere dei sofisticati rockettari travestiti da mozartiani, ma proprio dei cicisbei imparruccati e incipriati proprio no!
Altro esempio: affermare che non furono fenomeni di virtuosismo è giusto, e tuttavia sia Langridge, sia Rolfe Johnson, sia Bostridge hanno sempre eseguito la versione virtuosa e ornata di Fuor del Mar, e senza sfigurare affatto, mentre quel mostro di vocalismo "sacro" e di puro spirito mozartiano che è Pavarotti ha sempre e solo eseguita quella facilitata ("giustamente" come si affretta a specificare teo.emme, pur avendo appena accusato gli inglesi di non essere abbastanza agili)
Relativamente al fatto di tirare in ballo Pavarotti, come possibile alternativa ai grandi cantanti britannici, a me lascia senza parole!
Sbaglierò, ma mi chiedo ...cosa ha fatto Pavarotti per Mozart? Qualche Idamante in gioventù e un paio di orribili Idomenei in vecchiaia.
Ben poca cosa rispetto alle centinaia di recite nel mondo che si sono ripartiti i tanto esecrabili inglesi.
Certo, sia pure nelle poche occasioni in cui ha perso con Mozart il suo prezioso tempo (ben meglio impiegato con le Tosche e gli Andrea Chenier), Pavarotti esibiva un timbro più caldo e ...sensuale (bah... io vorrei sapere da qualche signorina degli anni '70 e '80 se avrebbe preferito andare a letto con Langridge o con Pavarotti, ma tant'è...) il punto è che non basta il calore del timbro per rendere conto di personaggi di tale complessità.
A questo proposito vorrei evocare un episodio a cui io stesso ho assistito.
Nei primi anni '90 Pavarotti venne a cantare a Ferrara.
Ferrara Musica, la prestigiosa associazione concertistica nata nella mia città che raccoglieva nelle sue stagioni gli Abbado, i Gardiner, i Boulez, decise di invitarlo per due concerti ispirati proprio a Mozart, con Abbado e la Mahler Chamber Orchestra.
Il concerto prevedeva vari brani strumentali e, con Pavarotti, le due arie di Don Ottavio e il Fuor del Mar (ovviamente facilitato, anzi "giustamente" facilitato, come dice Teo.Emme).
Sono arie talmente stranote che avremmo potute cantarle anche noi.
Non di meno Pavarotti si presentò senza nemmeno saperle. Si disimpegnò in Idomeneo (dato che l'aveva già fatto a teatro) ma nelle arie di Ottavio, eseguite con lo spartito davanti, si perse per ben due volte, sbagliò i fiati, entrò in anticipo scatenando il panico sul podio e nell'orchestra.
Nella replica del giorno dopo, Abbado dovette cambiare il programma: le arie di Don Ottavio furono sostituite da quelle della Tosca.
E l'orchestra dovette imparare in una notte, mentre Pavarotti non era riuscito (nei due anni precedenti la scrittura) a imparare quelle di Don Ottavio.
In tutta sincerità (ma ovviamente ognuno la pensi come vuole) io trovo che il semplice considerare Pavarotti un "mozartiano possibile" sia un insulto ai veri artisti (come Rolfe Johnson) che a questo autore hanno consacrato la vita.
Tutto questo, ovviamente, IMHO.
Salutoni,
Mat