Agogica

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Agogica

Messaggioda melomane » lun 28 gen 2008, 12:20

Alcune esecuzioni sono rese grandi, a mio parere, dall'uso efficace e intelligente delle indicazioni relative al ritmo contenute nella partitura.
Le opere di Rossini possono divenire più emozionanti sul piano musicale (Marilyn Horne) e più commoventi (Lucia Valentini Terrani ne "La canzone del salice" da Otello).
Le opere romantiche e protoromantiche ne vengono esaltate nella drammaturgia.
L'interprete sovrana 8) nell'attenzione a questo aspetto è, per me, Leyla Gencer: è in grado di affrontare la melodia più ampia con fiati lunghissimi mirabilmente tenuti e mezzevoci lunari e riesce a "scomporre" le sequenze più movimentate con sillabato e senso del tempo unici.
La grande ripresa del Roberto Devereux del 1964 a Napoli deve molto a questa sua abilità: le tre scene finali del secondo atto includono tempi molto vari tra il largo e il presto, il finale è un cavalleresco dalla linea travolgente. Leyla Gencer-Elisabetta è precisissima tanto nel fraseggio ampio che nelle roulades che dominano le altre voci e manifestamente ha (e rende) la percezione dei ritmi orchestrali.
Un secondo esempio è "Un ballo in maschera" rappresentato a Bologna nel 1961 con la direzione di De Fabritiis (Myto ha pubblicato la ripresa live stereo!): "Fuggi, fuggi: per l'orrida via" è ben reso dall'orchestra ma l'onda vocale è quella di Amelia, rapida ed incisiva.

Alcune incisioni contengono delle perle ritmiche anche ad opera dei comprimari:
- Mozart, Le nozze di Figaro, Glyndebourne, 1934/5, in particolare nella prima aria di Bartolo "La vendetta, oh, la vendetta!" cantata da Italo Tajo, direttore Fritz Busch;
- Mozart, "Il flauto magico", l'edizione diretta da Solti del 1955, rivela un Monostatos eseguito da Willy Hofmann, adatto alla verve della parttura.

Avete qualche beniamino che si distingue in questo senso?

Un caro saluto

Francesco
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Re: Agogica

Messaggioda stecca » lun 28 gen 2008, 16:46

melomane ha scritto:Alcune esecuzioni sono rese grandi, a mio parere, dall'uso efficace e intelligente delle indicazioni relative al ritmo contenute nella partitura.
Le opere di Rossini possono divenire più emozionanti sul piano musicale (Marilyn Horne) e più commoventi (Lucia Valentini Terrani ne "La canzone del salice" da Otello).
Le opere romantiche e protoromantiche ne vengono esaltate nella drammaturgia.
L'interprete sovrana 8) nell'attenzione a questo aspetto è, per me, Leyla Gencer: è in grado di affrontare la melodia più ampia con fiati lunghissimi mirabilmente tenuti e mezzevoci lunari e riesce a "scomporre" le sequenze più movimentate con sillabato e senso del tempo unici.
La grande ripresa del Roberto Devereux del 1964 a Napoli deve molto a questa sua abilità: le tre scene finali del secondo atto includono tempi molto vari tra il largo e il presto, il finale è un cavalleresco dalla linea travolgente. Leyla Gencer-Elisabetta è precisissima tanto nel fraseggio ampio che nelle roulades che dominano le altre voci e manifestamente ha (e rende) la percezione dei ritmi orchestrali.
Un secondo esempio è "Un ballo in maschera" rappresentato a Bologna nel 1961 con la direzione di De Fabritiis (Myto ha pubblicato la ripresa live stereo!): "Fuggi, fuggi: per l'orrida via" è ben reso dall'orchestra ma l'onda vocale è quella di Amelia, rapida ed incisiva.

Alcune incisioni contengono delle perle ritmiche anche ad opera dei comprimari:
- Mozart, Le nozze di Figaro, Glyndebourne, 1934/5, in particolare nella prima aria di Bartolo "La vendetta, oh, la vendetta!" cantata da Italo Tajo, direttore Fritz Busch;
- Mozart, "Il flauto magico", l'edizione diretta da Solti del 1955, rivela un Monostatos eseguito da Willy Hofmann, adatto alla verve della parttura.

Avete qualche beniamino che si distingue in questo senso?

Un caro saluto

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Beh....neanche da dire....ed altro che i fiati lunghi della Gencer....diciamo che non prendeva quasi mai fiato. come scoperse durante le prove l'allibito Von karajan nel Requeim di Salisburgo 1976. vediamo se indovini ??
Ah ti do una dritta: in questo forum è considerata una cantante raffazzonata....e quasi sempre fuori parte (invece in altre parti del globo è ritenuta immensa)
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Messaggioda Luca » lun 28 gen 2008, 20:49

Provo a indovinare io: è la Caballé che di agogica si intendeva se.... andava piano.

Saluti, Luca.
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Re: Agogica

Messaggioda MatMarazzi » mar 29 gen 2008, 3:15

melomane ha scritto:Avete qualche beniamino che si distingue in questo senso?


Caro Melomane,
se ci limitiamo a parlare di ritmo (giacchè mi pare che il tema da te proposto sia molto più ampio) non resta che approvare quello che hai detto sulla Gencer, per cui il ritmo era una delle armi favorite.
Il ritmo della Gencer si estrinsecava soprattutto (ma non esclusivamente) nell'avventarsi sui tempi forti (con anacrusi poderose) che davano al suo canto un senso di immensità e di forza scatenata che il suono vocale (da solo) non avrebbe avuto.
Un esempio efficace è, in Norma, la frase "solo, tutti! I Romani a cento a cento" ecc...
La voce non è enorme, ma l'effetto che produce la Gencer in questa frase lo è, e solo per merito del ritmo.
Quel "tutti" esplode con tale precisione sul tempo forte da sembrare un bomba. L'enfasi di (ro)MAni è costruita invece dall'anacrusi (il registro di petto su I-RO che si materializza, sempre con precisione diabolica, nella sillaba successiva).

La Sutherland, l'altra grande "ritmista" della sua generazione, aveva la sua specialità nel rubato, altro segreto che pochissime conoscono.
La sua precisione consisteva nel ...liquefare le melodie, che affrontava con senso ritmico rigorosissimo ma adornandole di mille infinitesimali fluttuazioni, che davano un senso di mobilità ariosa e guizzante, come un caleidoscopio di luci, alla più schematica delle melodia.

Sia la Gencer, sia la Sutherland, però, dovettero inchinarsi alla maestria della Callas, per cui il ritmo era una ragion d'essere, il fondamento stesso della musica.
I miracoli che la Callas sa compiere col solo supporto ritmico sono tali e tanti che è quasi inutile citarli.
Tralasciando alcune regine del canto Jazz, non ho più sentito alcuna cantante così profondamente padrona del ritmo.
Oggi Anne Sophie von Otter (in altro repertorio) le si avvicina.

Una della ragioni per cui non amo fino in fondo nè la Price, nè la Caballé è proprio l'inerzia ritmica, che nel repertorio italiano mi pare una colpa capitale.
Senza una riflessione ritmica di un certo tipo, le melodie dell'opera italiana sembrano organetti; è il ritmo che ti permette di trasfigurarle, di trasformare una "marcia" in una "danza".

Scusa se mi sono limitato all'aspetto ritmico, ma per me è più importante perfino dell'agogica e della dinamica.

Complimenti del bellissimo argomento.
Salutoni
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Re: Agogica

Messaggioda Teo » mar 29 gen 2008, 10:57

MatMarazzi ha scritto:Senza una riflessione ritmica di un certo tipo, le melodie dell'opera italiana sembrano organetti; è il ritmo che ti permette di trasfigurarle, di trasformare una "marcia" in una "danza".

Scusa se mi sono limitato all'aspetto ritmico, ma per me è più importante perfino dell'agogica e della dinamica.


Non so se siamo OT, a mio avviso non credo, però mi piacerebbe capire meglio il tuo punto di vista in merito.

Anche io ritengo "fondamentale" il ritmo nella musica, per esempio nel Jazz è sempre stato l'elemento trainante (a volta anche l'unico) del cambiamento di uno stile (fin dal periodo del ragtime per poi passare al be-bop, al cool, al free, ecc.), quello che generalmente viene chiamato con il termine "swing".

Premesso che ritengo a mia volta la Callas maestra in questo (non a caso la principale interprete di un cambiamento), mi piacerebbe soffermarmi sull'aspetto "ritmico" non tanto della divina, quanto più sul significato che si ritiene attribuire alla parola stessa.

Per me per esempio l'agogica così come la dinamica, per quanto più o meno importanti, non stanno al di fuori del ritmo, anzi, ci stanno proprio dentro, in quanto accenti, ovvero cellule ritmiche.

Il mio pensiero infatti è che la padronanza e la maestria nel saper gestire perfettamente il ritmo, con un infinita proprietà di accenti, ne caratterizza l'interpretazione. Credo infatti che pur rispettando la misura o la battuta di uno spartito, l'interprete giocando sulla ritmica (ovvero sull'insieme degli accenti metrici, dinamici, agogici, melodici, ritmici, ecc.) crea la propria visione, esprime la propria interpretazione.

Che ne pensi?

Salutissimi.

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Re: Agogica

Messaggioda stecca » mar 29 gen 2008, 11:33

MatMarazzi ha scritto:Una della ragioni per cui non amo fino in fondo nè la Price, nè la Caballé è proprio l'inerzia ritmica, che nel repertorio italiano mi pare una colpa capitale.
Senza una riflessione ritmica di un certo tipo, le melodie dell'opera italiana sembrano organetti; è il ritmo che ti permette di trasfigurarle, di trasformare una "marcia" in una "danza".



"Inerzia ritmica" la Montse ?? Ma se era tutto un rubato, un allargamento, una dinamica diversa, una acciaccatura inserita all'improvviso, una velocizzazione di glottide etc. etc. ?? Risenti cosa inventa al "e l'anello coniugale" di Gemma di Vergy prima del "Di ch'io vada in Palestina" o quello che fa alla ripresa del "e noi siamo soli" da Tosca o il rallentamento alla chiusa del larghetto del duetto con Padre Guardiano della Forza.....mah.....inerte ritmicamente proprio non mi pare, anzi semmai talvolta interpolante oltre lo scritto...però opinoni ci mancherebbe....chissà cosa mi dici della Anderson allora ? tanto per dire eh...
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Callas, Gencer e ritmo in agogica

Messaggioda melomane » mar 29 gen 2008, 14:35

Carissimi,

concordo sul nominare la Callas riguardo al tema. Le ragioni espressive della compianta artista si fondano senz'altro anche sul ritmo.
Mi vengono in mente l'inarrivabile "Tu vedrai che amore in terra" del III atto del Trovatore Emi diretto da Karajan nel 1956 e soprattutto le scene d'insieme de "Il pirata" live diretto Rescigno nel 1959.
Anzi in questo senso ho meno difficoltà a vedere in Leyla Gencer una discendenza (fatte salve le considerazioni anagrafiche), forse il sigillo del definitivo superamento del ripiego sui soprani di coloratura per la rappresentazione delle opere protoromantiche e romantiche.
Allo stesso tempo la Gencer dà un contributo assolutamente personale: coerentemente con la sua vocalità (più ancora che con la sua voce naturale) Leyla non entra di peso nell'insieme delle voci o nelle sonorità orchestrali, ma è sempre sopra, in virtù di una tecnica virtuosistica studiata sul lato "leggero", o a sostegno di voci più "pesanti" ma meno guidate dall'intuito agogico.
E ciò in modo parallelo alla sua personalità di interprete, il cui tratto non era - come si sostiene - l'alterezza, ma l'alterità. Grande drammaturga, non fu mai, a mio modo di sentire, nel personaggio o "il" personaggio, ma una lente di lettura, capace di riempire la scena (reale e sonora) con tutti gli elementi dell'aura dell'opera (il gotico del Donizetti inglese ad esempio, naturalmente le atmosfere di corte 8) ).
La Callas fu tutt'e due.
La Sutherland mi pare eccelsa nel ritmo delle pagine elegiache (Lakmé, Concerto per soprano di coloratura e orchestra di Glière) o puramente virtuosistiche (I atto di Lucia di Lammermoor), ma meno attenta alla drammaturgia e carente di "mordente" in opere come lo stesso Trovatore.

Vi chiedo una precisazione: ho in mente che
- l'agogica sia tutto ciò che concerne, in scrittura e esecuzione, la lunghezza delle note (indicazioni come largo, presto, mosso etc.) e il ritmo sia l'accentazione che va ad integrarla per meglio definire l'espressione o le intenzioni dell'autore e dell'esecutore;
- la dinamica ciò che riguarda l'intensità della nota (indicazione come forte, piano, tecniche come "smorzando", "rinforzando", etc.).

Ma forse sbaglio...

Un caro saluto

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Re: Callas, Gencer e ritmo in agogica

Messaggioda Teo » mar 29 gen 2008, 16:52

melomane ha scritto:Vi chiedo una precisazione: ho in mente che
- l'agogica sia tutto ciò che concerne, in scrittura e esecuzione, la lunghezza delle note (indicazioni come largo, presto, mosso etc.) e il ritmo sia l'accentazione che va ad integrarla per meglio definire l'espressione o le intenzioni dell'autore e dell'esecutore;
- la dinamica ciò che riguarda l'intensità della nota (indicazione come forte, piano, tecniche come "smorzando", "rinforzando", etc.).


Carissimo melomane, forse ti può essere utile quanto riportato nei testi di teoria della musica:

Ritmo (dal greco "rhytmos" scorrere, fluiere)
Preso in senso musicale, il ritmo è l'articolazione del tempo in durate di suono e silenzio. Si basa sulle durate e sugli accenti, che si distinguono in forti e deboli. Esso è basato sulla suddivisione del tempo in forme e misure variabili, talvolta regolari e simmetriche altre volte irregolari e asimmetriche. Il ritmo è definito come una successione di accenti, intendendo con accento il maggior rilievo (variazione di intensità o d'enfasi) che alcuni suoni hanno rispetto ad altri nell'ambito di un brano o una frase musicale.
Avremo allora suoni più accentati (accento forte), meno accentati (accento debole) o non accentati. La sequenza degli accenti di un brano musicale tende normalmente a ripetersi a intervalli regolari ed è questa ripetizione che viene chiamata ritmo del brano: la più breve sequenza non periodica (quella che viene ripetuta) viene anche chiamata cellula ritmica. L'accentuazione dei suoni di un brano musicale può anche avere altre funzioni, e gli accenti vengono così distinti in diverse tipologie: di accento metrico, ritmico, dinamico, agogico, melodico o patetico.

Accento Agogico
L'accento agogico può cadere su una nota qualsiasi della misura. Esso dà maggiore importanza al discorso musicale e all'esecuzione di una frase musicale. Molto usato nel periodo romantico e negli adagi in genere. È segnato con un trattino sopra o sotto la nota e sta ad indicare che il suono deve essere un po' tenuto appoggiato, non sforzato

Accento Dinamico
L'accento dinamico non ha un posto prestabilito fra i tempi o suddivisioni della misura; può essere posto su qualsiasi nota della misura rinforzandone l'intensità. Esso è usato molto nei ritmi sincopati, perché va a rinforzare proprio il tempo o la suddivisione debole. Si segna graficamente con il simbolo > (maggiore) e viene posto sopra o sotto la nota

Ora, per come la vedo io, nel canto il ritmo è la scelta e caratterizzazione dell'insieme di tutte quelle pause e quegli accenti scritti e non scritti, che un cantante decide di imprimere al brano.
Tuttavia credo che spetti agli accenti il ruolo da protagonista.
Le pause possono rendere maggiormente efficace una scelta intepretativa, ma sono gli accenti a determinarne la visione, la caratterizzazione.
Il ritmo quindi, come scelta e interpretazione dei vari accenti, crea e sviluppa la linea espressiva del canto portando alla luce la propria visione del personaggio.

Ritengo quindi che una grande interpretazione, si debba misurare anche nella scelta ritmica imposta al brano, poiché pause e sopratutto accenti, per come scelti ed eseguiti, danno senso ed espressione ad una frase.
Credo che la Callas in questo fosse davvero magistrale, non è un caso a mio avviso che tra i vari meriti che gli si riconosce, vi è l'immediata comprensione della parola cantata.

Spero essere stato comprensibile e d'aiuto alla discussione.

Un saluto.

Teo

PS. riflettendo sugli spunti interessanti di melomane e del marazzo, mi è risultato inevitabile :lol: pensare a quanto sia fondamentale essere in possesso di una tecnica efficace per saper governare le intenzioni che nascono dalla lettura di una partitura, con particolare "accento" a quel repertorio diciamo belcantistico (non è un termine forse appropriato ma è per rendere l'idea sul periodo a cui mi riferisco) :wink: beh sono sempre più convinto che la Callas fosse dotata di una tecnica sopraffina (oltre ad una genialità musicale fuori dal comune). Lancio il sasso ma mi sa che è meglio aprire un altro 3D altrimenti rischio davvero di andare oltre l'OT...
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Re: Agogica

Messaggioda VGobbi » mar 29 gen 2008, 21:53

MatMarazzi ha scritto:Una della ragioni per cui non amo fino in fondo nè la Price, è proprio l'inerzia ritmica, che nel repertorio italiano mi pare una colpa capitale.

Forse mi sbaglio, ma io noto un'assomiglianza, pur affrontando un repertorio diverso lo stile di canto di una Leontyne Price con quello della Sutherland. Personalmente in fatto di inerzia ritmica, a me pare che pure la Sutherland non scherzi.

Cosa ne pensate?
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Messaggioda Pruun » mar 29 gen 2008, 21:57

Dissento, ovviamente, e anzi trovo che i rubati della Sutherland siano tra i più diabolici e interessanti mai uditi (in questo concordando, per una volta :wink: col Marrazzi).
G.
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Re: Callas, Gencer e ritmo in agogica

Messaggioda MatMarazzi » mer 30 gen 2008, 2:23

melomane ha scritto:concordo sul nominare la Callas riguardo al tema. Le ragioni espressive della compianta artista si fondano senz'altro anche sul ritmo.


Per come la vedo io, si fondano all'80 per cento, anzi, al 90 per cento sul ritmo.
Sono arrivato alla conclusione, come ho già detto da qualche parte, che scavando, scavando la radice della grandezza della Callas ha due matrici: il ritmo e il colore.
Ci si ragioni sopra, e il suo mistero verrà alla luce.


Anzi in questo senso ho meno difficoltà a vedere in Leyla Gencer una discendenza (fatte salve le considerazioni anagrafiche), forse il sigillo del definitivo superamento del ripiego sui soprani di coloratura per la rappresentazione delle opere protoromantiche e romantiche.


Scusa se mi permetto, ma io credo che questa sbandierata continuità fra la Callas e le sue cosidette "eredi" non esista.
Purtroppo, sulle cose che più contano, la Callas non ha avuto seguito e la sua grande lezione si è letteralmente dispersa con lei.
Il così detto "dopo Callas" a me pare semplicemente un ritorno a più "miti consigli".

Anche a livello ritmico, ad esempio, non c'è una vera continuità fra Callas e Gencer, salvo il fatto che erano brave entrambe (la Callas un po' più che brava...)
Il senso del ritmo della Gencer appare condizionato a una dialettica squisitamente ..."impressionistica", una sorvegliatissima catena di emozione-reazione. Il rimto della Callas era invece architettonico.
Ecco perché le arcate melodiche della Callas danno l'impressione di strutture altamente complesse ma cristalline, lineari, limpidissime.
Al contrario quelle della Gencer evocano una sorta magma emozionale, estremamente suggestivo e inquietante, ma meno coerente e stabile.

Non vedo continuità di esperienza ritmica nemmeno fra la Callas e la Sutherland.
La Callas alla frase - strutturata, come si è detto, in modo geometrica - imprimeva una pulsazione ..interna.
Collegava i valori in un tragitto ritmico talmente solido da risultare necessitante, anzi imprigionante per l'ascoltatore.
La Sutherland invece all'intelaiatura di una frase ("pensata" rigorosamente) era come se vi svolazzasse intorno, con la grazia misteriosa e fatata di una falena, per esaltare e acuire quel senso di surrealtà che l'emissione immascheratissima contribuiva a creare.
L'idea della Callas (in questo senso Toscaniniana) di un disegno melodico totalmente imbastito sul ritmo, non ha più trovato alcuna applicazione dopo di lei.

E stiamo solo parlando di ritmo... perchè se cominciassimo a parlare di colori, sarebbero dolori.
Sono sempre più convinto che la lezione della Callas, a parte i livelli più ingenui ed elementari dell'ascolto, non abbia davvero avuto seguito.


Vi chiedo una precisazione: ho in mente che
- l'agogica sia tutto ciò che concerne, in scrittura e esecuzione, la lunghezza delle note (indicazioni come largo, presto, mosso etc.) e il ritmo sia l'accentazione che va ad integrarla per meglio definire l'espressione o le intenzioni dell'autore e dell'esecutore;
- la dinamica ciò che riguarda l'intensità della nota (indicazione come forte, piano, tecniche come "smorzando", "rinforzando", etc.).

Ma forse sbaglio...


Non è che sbagli Francesco, è che occorre intendersi sulle parole, che in fondo sono solo parole.
Ferme restando le giuste osservazioni di Teo, il termine "agogica" viene di solito viene utilizzato genericamente per tutte le indicazioni di un compositore che riguardino non il "cosa" (le note) ma il "come": come le note andrebbero fatte, sia a livello ritmico, sia a livello dinamico.
Possiamo dire, scherzosamente (ma non troppo), che si tratta di una piccola ingerenza del compositore nell'ambito di competenza dell'esecutore.

E' vero però che taluni autori, proprio come te, chiamano "agogiche" solo le annotazioni a carattere ritmico (definendo "dinamiche" le altre).
Io sono più dalla parte dei primi, ma in effetti è solo questione di intendersi.

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Re: Agogica

Messaggioda MatMarazzi » mer 30 gen 2008, 3:10

Teo ha scritto:Che ne pensi?


Se ho capito bene (non è facile intendersi sui termini) sono d'accordo con te.
Ritmo e dinamica (per semplificare le parti in causa) sono alleati strettissimi, in quanto sono entrambi alla base del fraseggio musicale.
Devono (dovrebbero?) dialogare e interagire.
Ok.
E tuttavia possono anche esistere l'uno senza l'altro, agire in autonomia, sgomitare fra loro, venire valorizzati l'uno a danno dell'altro.
Proprio i casi di Leontyne Price e Montserrat Caballé (mi scusi Stecca se insisto :) ) sono esemplificativi di dinamiche elaboratissime ed estremamente suggestive a fronte di un senso del ritmo approssimativo e trascurato.

E allora, se sono costretto a scegliere fra un cantante povero di dinamica ma ricco nella ritmica e uno con le caratteristiche opposte, io scelgo il primo.
Non saprei spiegarti perchè...
Forse perché per me il livello più elementare (e quindi profondo) della musica è il ritmo...
Armonia e melodia vengono dopo...

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Pagine e interpreti

Messaggioda melomane » mer 30 gen 2008, 9:15

Il senso del ritmo della Gencer appare condizionato a una dialettica squisitamente ..."impressionistica", una sorvegliatissima catena di emozione-reazione. Il ritmo della Callas era invece architettonico.
Ecco perché le arcate melodiche della Callas danno l'impressione di strutture altamente complesse ma cristalline, lineari, limpidissime.
Al contrario quelle della Gencer evocano una sorta magma emozionale, estremamente suggestivo e inquietante, ma meno coerente e stabile.


Questo vale anche per le tre scene (quarta, quinta e sesta) verso il finale del II atto del Roberto Devereux? E' una delle pagine più efficaci sul piano drammaturgico tra tutti i miei ascolti, che trova fondamento proprio nelle variazioni ritmiche. Mi sembra una pagina unitaria nel disegno scritta sul ritmo (dal largo maestoso alla "cavalcata") con incastonati un parlato a fior d'orchestra e silenzio gotico.
Come "Il trovatore" Callas-Karajan, che da "D'amor sull'ali rosee" a "Tu vedrai che amore in terra" è un'interazione tra soprano e orchestra basata su un'intesa notevole.
La Callas "disegna" il ritmo e la melodia traendo espressione del peso della sua voce più di quanto non faccia la Gencer, che esalta invece il ritmo orchestrale.

E' bellissima++ questa discussione, a stento rimpiango di non essere in presenza. Sarebbe il massimo se si riportasse il cenno a qualche momento musicale che si riferisce a quanto dite, a volte trovo difficoltà a immaginare cosa intendete, o meglio a ricondurlo alla mia vita di ascoltatore di nastri, vinili, cd, videotape, dvd...

Un caro saluto

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Re: Agogica

Messaggioda Teo » mer 30 gen 2008, 14:48

MatMarazzi ha scritto:Forse perché per me il livello più elementare (e quindi profondo) della musica è il ritmo...

Sono perfettamente d'accordo.

Sempre per fare un esempio, è noto a tutti che uno degli elementi più intriganti del Jazz è l'improvvisiazione.
Quando uno strumentista o vocalista si cimenta in questo "gioco" si usa dire che tendenzialmente suona (o canta) avanti o indietro rispetto ad un tempo prestabilito, ovvero tende ad anticipare o rallentare lo "scorrere" di un tempo prefisso iniziale.
Dove sta la cosa interessante? nella capacità dell'interprete nel far risultare questo effetto piacevole, quasi impercettibile, armonioso con l'insieme dell'esecuzione, mai fuori o sopra le righe, insomma...un elemento naturale.
Ecco secondo me il "ritmo" è proprio lo "scorrere il fluire naturale delle cose".
Quando un interprete sa usare questi accenti, queste dinamiche, quando le sa rendere "naturali" spontanee (rispetto al senso della frase), allora ci si rende conto che l'interpretazione ha assunto una piena aderenza a ciò che l'artista voleva dire.
Ecco perchè a mia volta sostengo che la Callas in questo era Magistrale, perchè sapeva rendere il tutto incredibilmente "naturale".
Il ritmo così come il tempo non lo si può fermare, ma lo si può gestire, lo si può spingere, lo si può rallentare, lo si può accentuare, l'importante è lasciarsi andare lasciarlo scorrere fluire dentro le proprie idee, dentro le proprie intenzioni. Questo per esempio è quello che la Callas mi trasmette.

Non so se sono stato chiaro :roll:

Grazie per la bella discussione, salutissimi.

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Messaggioda melomane » mer 30 gen 2008, 15:21

Ecco secondo me il "ritmo" è proprio lo "scorrere il fluire naturale delle cose".

Quanto è vero, proprio mentre pensavo che i frammenti greci e l'unica tragedia che ho letto in greco (Medea di Euripide :shock: ) sono immensamente più interessanti se letti con giusto ritmo...
Tanto per chiarire, la media dei miei voti in greco era sei meno meno :oops: , però anni fa ho seguito una trasmissione radiofonica in cui si rileggevano frammenti e passaggi insistendo sul ritmo percussivo ad essi associato nelle rappresentazioni classiche.
Questo non fa che aggiungere fascino a Maria Callas interprete tragica, mediterranea... originaria greca... almeno nel mio immaginario...

Voglio citare due interpreti - dalla vocalità non paragonabile - che mi sembra abbiano dato un buon esempio del senso del ritmo ne "Il barbiere di Siviglia":
- Mercedes Capsir (Figaro Riccardo Stracciari) diretta da Lorenzo Molajoli nel 1929;
- Dora Gatta (con Gino Bechi) diretta da Victor de Sabata nel 1952.

Un caro saluto

Francesco
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