da teo.emme » ven 02 ott 2015, 18:54
Stimolato dalla bella chiacchierata con Pietro in occasione della Passione secondo Matteo al Conservatorio di Milano, circa il suo rinnovato interesse per Mahler, mi permetto di fare qualche riflessione sull'autore e sulla sua ormai vasta discografia. Non voglio avere pretese di completezza, ma semplicemente tracciare alcune linee interpretative in base alle mie dirette conoscenze.
Innanzitutto colpisce la relativa vicinanza cronologica delle incisioni del suo corpus sinfonico (e non solo in riferimento ai cicli integrali, ma anche alle singole sinfonie): Mahler muore nel 1911, solo una quindicina d'anni dopo Brahms e Bruckner, e ben prima di Strauss...eppure almeno sino agli anni '50 la sua produzione musicale viene perlopiù ignorata da pubblico e critica, né suscita l'interesse dei maggiori direttori dell'epoca, a differenza di Bruckner e persino dei compositori di area sovietica. Colpisce, anche, che alcuni grandissimi interpreti non ebbero mai alcun rapporto con la musica di Mahler: a cominciare da Furtwangler (ma anche Celibidache, Mravinskij, Toscanini etc...). Le ragioni vanno individuate - secondo me - in due fattori: innanzitutto la diffidenza da parte di musicisti legati ad un'idea classica della sinfonia ad accettarne la sua dissoluzione e frammentazione nell'uso spregiudicato di linguaggi anche bassi, finalizzati a scardinarne la forma (al contrario del sinfonismo bruckneriano che pur dilatando il modello sino al superamento dell'unità formale, rimaneva ancorato ad un'idealità classica); l'altro fattore è invece Mahler stesso e la sua attività di direttore d'orchestra per la quale era effettivamente celebrato e ammirato.
Sia come sia, la discografia mahleriana, pur relativamente giovane, si è ormai ingigantita e negli ultimi anni si è sempre più arricchita di nuove integrali, nuove interpretazioni, nuove letture: se all'inizio veniva esaltato il lato vitalistico e "rumoroso" della sua produzione, gradualmente la riflessione si è concentrata anche sulla complessità della struttura e della costruzione musicale, isolandone i caratteri più intimi e asciugandone l'ipertrofia sonora.
Oggi, dunque, abbiamo a disposizione un mare magnum di incisioni complete del ciclo sinfonico e di singole sinfonie: ce né per tutti i gusti e tutte le tasche. Tra queste si possono individuare diverse linee interpretative, principalmente lungo due direttrici: l'una più d'effetto nel sottolineare la potenza e la grandiosità dell'opera mahleriana in un ambito essenzialmente tardoromantico, l'altra più lirica e asciutta sino ad approcci più novecenteschi e analitici.
A) Comincio con le edizioni che mi convincono di meno (oggi, dopo ascolti e riflessioni):
- Abbado: non mi convince né il primo né il secondo ciclo, con differenze sostanziali però. Il primo è un patinatissimo prodotto DGG (registrato tra la fine dei '70 e i primi '90) che riproduce un Mahler abbastanza esteriore e poco pensato, dal suono burroso e tranquillizzante, ma il cui ascolto non lascia nulla. Il secondo ciclo (inciso tra gli anni '90 e i primi del 2000) è certamente più riflessivo, approfondito e ripensato - come tutto l'ultimo Abbado, tornato spesso e volentieri sui suoi passi lasciando, nelle revisioni di sue precedenti interpretazioni, capolavori come il ciclo beethoveniano - ma, qualcosa non torna ancora: è un deja-vu, una nuova-vecchia versione nel senso che sulla stessa linea si trovano già altri interpreti con risultati nel complesso più originali (penso ovviamente a Boulez e Zinman). Mi pare che Mahler non sia nelle corde di Abbado, così come non lo era in quelle di Karajan.
- Sinopoli: ecco un altro ciclo integrale che mi sembra invecchiato malissimo. E' stato uno dei miei primi, ma ora non mi convince più (come, in genere, tutto ciò che ci ha lasciato Sinopoli, che sempre più mi pare un direttore mai completamente espresso). E' un Mahler scuro, a volte corrusco, ma sostanzialmente privo di autentica riflessione nella ricerca dell'effetto bombastico (cifra, ahimé, assai consueta nelle incisioni di Sinopoli). Una buona introduzione, ma da abbandonare non appena si ascolta qualcosa di più originale.
- Gergiev: edizione recentemente conclusa (e ora disponibile in cofanetto economico). Presenta un Mahler molto lirico e romantico che prende spunto dalla tradizione interpretativa russa (coi suoi colori sgargianti e la timbrica lussureggiante), ma banalizzata come un film con troppi effetti speciali: un Rimsky-Korsakov in technicolor che satura l'ascolto di spezie, ma che lascia poco sapore in bocca.
- Maazel: non ha nulla di sbagliato e se ci si accontenta del bel suono, dei tempi giusti, della precisione e della piacevolezza e facilità d'ascolto allora è perfetta. Ma accanto all'indubbio magistero tecnico di Maazel e allo splendore dorato dei Wiener, non c'è molto altro.
- Solti: un Mahler che mette a dura prova i timpani. Enfatico, grasso, brutale....ma sostanzialmente privo di quel vitalismo che caratterizzava le primissime incisioni mahleriane di Solti.
Non sono brutte edizioni, intendiamoci, però sono interpretazioni che personalmente trovo superate o poco stimolanti: adatte, magari ad un primo ascolto per conoscere l'autore (sono tecnicamente molto ben fatte), ma che tendenzialmente si lasciano sullo scaffale non appena si ascolta altro.
B) Ci sono poi edizioni che, nella loro diversità mi conquistano sempre di più. Le cito in ordine assolutamente casuale perché non potrei indicare preferenze di una sull'altra:
- Boulez: è forse il Mahler più rivoluzionario. Quello che ha aperto la strada ad una riconsiderazione dell'autore, asciugandolo dagli eccessi tardoromantici che caratterizzavano la precedente tradizione esecutiva. Come per il suo Wagner è una ventata di aria fresca che aggancia Mahler alle più sofisticate esperienze novecentesche, attraverso l'analisi della scrittura colta nelle sue sfumature nascoste e sviscerata con minuzia chirurgica (il direttore si pone come occhio critico, super partes che con il maggior oggettivismo possibile porge questi impressionanti castelli musicali: e - paradossalmente - un precedente immediato in questo approccio scientifico si trova nel tanto frainteso Klemperer)
- Zinman: come nelle sue rivisitazioni dei grandi cicli sinfonici otto/novecenteschi, Zinman scegli un approccio cameristico nell'evidenziare con chiarezza ogni dettaglio. Il suono è asciutto e cesellato, ma al contrario di Boulez, la lettura è molto lirica.
- Gielen: l'edizione più novecentesca, aspra, moderna...senza compiacimenti romantici. Gielen ci mostra come il passo da Mahler a Schoenberg o a Webern sia meno lungo di quanto possa sembrare. E' una lettura profonda, spietata, incalzante
- Svetlanov: questa edizione e la successiva, rappresentano il vero Mahler russo (e non la sua caricatura, come quello di Gergiev), con il suo lirismo vibrante, il suo vitalismo di matrice ultraromantica. Una lettura immaginifica e ottocentesca nel miglior significato del termine: trascinante come un'epopea e dal suono caldo e pieno che non si rifugia nell'effettismo rumoroso.
- Kondrashin: più della precedente si percepisce l'animo russo, non privo di una certa retorica, ma perfettamente funzionale ad una grandiosità di altri tempi. Il ciclo non è completo (mancano la n. 2 e la n. 8 ), ma propone accanto alle versioni originali anche quelle in russo dei brani cantati.
- Bernstein: il binomio Bernstein/Mahler è ormai un classico. Sia la prima che la seconda versione sono imprescindibili. Il suo Mahler è vitalistico, selvaggio, violento (soprattutto il primo), e che non teme la contaminazione del linguaggio più basso di cui esalta la componente più popolare e volgare. Tutto è funzionale all'espressione, anche il suono che non è mai edonisticamente curato (come nelle brutte incisioni di Karajan, iper manierate e falsissime), ma diventa persino brutto se serve all'esposizione dell'idea: esempio l'incipit della Nona (non la versione contenuta nei due cofanetti, ma il live storico coi Berliner).
- Tennstedt: grandissimo ciclo di un grandissimo direttore forse sottovalutato. Tennstedt esalta la componente umana di Mahler, la sofferenza dell'esistere, il dramma quotidiano della vita, in una visione dolente ed elegiaca di enorme fascino. I tempi sono larghi, indugianti, ma tesi e profondissimi. Un'edizione poco conosciuta, ma fondamentale.
- Ozawa: con i Bostonians. E questo potrebbe bastare: una lettura insieme coerente e contraddittoria, antica e moderna, umana e superomistica. Il suono è lieve, delicato, morbidissimo: una seta che si svolge lentamente.
- Neumann: alla testa della superba Czech Philarmonic Orchestra, Neumann è fenomenale. Il suono è diverso da tutti gli altri: brillante, dorato, caldo, pastoso. Ricchissima di sfumature e contrasti è una lettura che impressiona per la compattezza e la teatralità. Ora è di difficile reperimento, ma è assolutamente una gioia per l'orecchio e il cuore.
- Inbal: lo stesso direttore dichiara che per lui il ciclo mahleriano è una sola immensa sinfonia divisa in 11 capitoli ad accompagnare la vita del compositore. Una visione affascinante e pienamente realizzata. E' un Mahler molto ragionato e costruito, ma per nulla distaccato o freddo.
C) Tra le incisioni delle singole sinfonie, amo ricordare:
- Salonen (n. 6 e n. 9): sulla stessa strada di Boulez, ma ancora più razionale.
- Neeme Jarvi (n. 8 ): credo la migliore Ottava disponibile sul mercato. Fedelissima alle richieste smisurate del compositore.
- Barshai (n.5, n. 9 e n. 10): direttore straordinario di cui si può ascoltare anche la sua versione della Decima.
D) Brutte, ma proprio brutte:
- Karajan (n. 4, n. 5, n. 6 e n. 9 in studio): davvero pessime le incisioni mahleriane del direttorissimo. Sembra non aver capito nulla di Mahler, ridotto ad un impasto manieratissimo di suoni, dilatati in effetti fluo zuccherosi e indigesti. Con un'eccezione: la Nona live del '82, che è una delle più importanti incisioni mahleriane di sempre.
Matteo Mantica
"Fuor del mar ho un mare in seno"