Tucidide ha scritto:D'altro canto, però, devo dire che non trovo particolarmente blasfema l'esecuzione dell'inno di Mameli prima di Wagner, di Verdi o di Bellini. Non credo che c'entri molto l'iato qualitativo fra "Fratelli d'Italia" e il Vorspiel del Parsifal: in un recital, in un concerto capita spesso di accostare pezzi sublimi ad altri nazional-popolari. Che male c'è? E d'altronde, se nel manifesto si fosse annunciato il Parsifal di Richard Wagner preceduto dall'esecuzione dell'Inno, dubito che qualcuno avrebbe rinunciato allo spettacolo, inorridito dall'accostamento blasfemo...
Non è questione di "blasfemia", né di iato qualitativo...ma di opportunità. Io credo che ogni luogo e ogni occasione abbia un suo modo comportamentale, una sua aspettativa e pure una sua ritualità. Ora, andare a teatro per assistere ad uno spettacolo musicale (pagando il proprio biglietto) non è lo stesso che assistere ad una parata degli alpini, o partecipare al conferimento di un'onorificenza al valore civile o ad una premiazione olimpica. Neppure è un'occasione ufficiale, nell'ambito della quale un certo protocollo istituzionale prevede gli onori di bandiera e inno (non era presente il Presidente della Repubblica, né quello del Senato, né quello della Camera: unici tre ruoli che dovrebbero giustificarlo). Dirò di più, anche se vi fosse stato Giorgio Napolitano in persona, non vedo perché si sarebbe dovuto tributargli tali onori - da parte della società civile, non istituzionale, quindi, fatta di cittadini (liberi nei diritti e tutelati dalla legge avanti la quale tutti noi siamo uguali) e non di sudditi: non mi consta che quando la Merkel si reca a Bayreuth venga suonato l'inno, neppure accade all'Opéra con Sarkozy...forse capitava nell'URSS, ma il precedente non mi sembra lusinghiero! Quindi in assoluto trovo inopportuna l'esecuzione dell'inno: sempre. Siamo a teatro, non in parlamento! Nello specifico, poi, la cosa - applicata agli italiani, novelli patrioti - assume i contorni della pagliacciata: l'Italia ci ha messo 65 anni a pronunciare senza vergogna la parola Patria, e ora - da ottusi neofiti - lo fa a sproposito. Del resto le greggi italiche sono avvezze a conversioni di massa: oggi canta l'inno chi, fino a poco tempo fa strepitava contro Roma "ladrona" e i terùn...oggi canta l'inno, scatta in piedi come sull'attenti con mano sul cuore, chi, fino a poco tempo fa riteneva che "patriottismo" facesse rima con "fascismo" e del tricolore amava solo il colore rosso... E anche nel passato gli esempi si sprecano: prima tutti fascisti, poi - a fascismo caduto - tutti partigiani, poi tutti democristiani (ma a parole nessuno votava per la DC), poi socialisti, ora berlusconiani... E naturalmente ad ogni metamorfosi assume l'intransigenza del puro: si permette di giudicare e di rimproverare, in nome di una coerenza pidocchiosa che è mero opportunismo. Intransigente con gli altri, naturalmente, ma accomodante coi propri difetti (l'italiano tipico è calvinista con il prossimo, ma cattolico con sé stesso). Ecco, per tutto questo non mi sono alzato e non mi alzerò mai a teatro per una pagliacciata del genere. E' una violenza, un'imposizione degna di un paese sudamericano: sono a teatro e voglio sentire l'opera, non sorbirmi un conato di patriottismo spicciolo. Ripeto: è roba da terzo mondo...