Tucidide ha scritto:Secondo me non tutte le Aide da te citate come vocaliste erano vere vocaliste.
E invece secondo me erano tutte esimie vocaliste.
Anzi, con la V maiuscola.
La Cerquetti apriva i centri, e anticipava in certi casi alcuni colorismi.
Attenzione. La Cerquetti non apriva i centri: Celletti (che se si parla di vocalismo è una vera autorità) spiegava molto bene che esistono "finte aperture" esibite da alcuni vocalisti provetti. Ne parlava a proposito di Schipa e (se ben ricordo) della prima Tosca della Freni.
Sono sonorità che sono sempre puntualmente incanalate nella maschera, benché diano l'effetto di aperture e trasparenze, ma non hanno nulla in comune con i veri, autentici colori di chi i suoni li apre (e proprio per questo secondo lui censurabili)
Ascolta bene i centri della Cerquetti e della Ponselle e capirai che non escono mai dal controllo della maschera e ...magari confrontali a quelli della Moedl o della de Los Angeles!
Affermare che queste due regine del vocalismo "aprissero ai centri" è affermazione che lascerebbe sconcertato non solo me, ma qualsiasi cellettiano!

Quanto al fatto che se non sei vocalista, non canti l'Aida, beh, direi che si tratti di una forzatura.
Non direi. A me pare una considerazione elementare.
Se non si è vocaliste solidissime, ci si lascia le penne al primo atto.
La stessa Callas (che nell'edizione EMI, come ho più volte ricordato, depone il suo vocalismo per inseguire la modernità dei colori) finisce per essere catastrofica in diversi momenti del terzo atto, anche se geniale e rivoluzionaria come interprete.
La Nelli con Toscanini (che era una tipica sincretista americana e che pendeva molto dalla parte del colore) fa un'ottima Aida, ma tecnicamente appare molto incerta.
Basterebbe la Tomowa per contraddirlo. E non dimentichiamo nemmeno che un ruolo come Abigaille, ben più belcantista di Aida, è stato cantato da una come la Rysanek - e la medesima Tomowa ha cantato l'aria in maniera notevole, che tu stesso ci hai sottoposto.
La Tomowa era un'eccellente vocalista. Come tutte le cantanti bulgare si forgiava su una tecnica antica.
Come la Cortez, come la Kabaiwanska. Persino la Dimitrova, anche se era un peso massico e cantava da peso massimo, era completamente coperta e molto "antica di scuola". Nei primi anni di carriera smorzava persino il re bemolle del sonnambulismo (l'ho sentita dal vivo nel 1982).
Quanto alla Rysanek, la sua Abigaille è (come ho scritto con molta chiarezza e come tutti i partecipanti del sito hanno sottolineato) è un pesce fuor d'acqua.
Conquista ugualmente per l'entusiasmo e la forza di personalità; individua una via per rivitalizzare un personaggio che solitamente viene "matronizzato" e quindi tradito.
Ma Abigaille non si canta così.
Ecco, è questo il punto che chiedevo di chiarire.
Per quale motivo ritieni che i colori di della Norman non siano "veri colori", ma solo ornamenti, addirittura "specchietti per le allodole"?
I cantanti coloristi sanno gestire non solo intere frasi, non solo intere arie, ma addirittura intere opere con la tecnica del colorismo.
Per fare questo, però, devono disporre di una tecnica che permetta di gestire i colori e le aperture lungo tutta l'estensione, anche "rischiando" quando la tessitura sale o l'intensità del suono deve aumentare (è noto infatti che il maggior problema dei coloristi sono il volume e l'estensione).
Quando la scrittura si presta a questo tipo di vocalità (come nel caso di Elina Makropulos) la sensazione che danno è di una canto di straordinaria umanità, mobilità, policromia, espressività.
La Norman, al contrario, canta tutto in modo vocalistico: il colore è sottoposto alla cavata, la parola è sottoposta alla linea. Poi ogni tanto (dove è più comoda, ossia al centro e in basso) ti butta lì un suono aperto, un suono jazzistico, un suono colorato.
Ma è questione di un attimo: appena c'è una frase complessa, torna a immascherare tutto. Appena deve salire (come ha ben dimostrato Maugham) eccola lì che copre, sostiene, solleva. Appena c'è uno scampolo di melodia, eccola lì a giocare di dinamica e ritmo, a cesellare i pianissimi, a esaltare la consistenza del suono (la cavata) come ogni brava vocalista. E dei colori jazzistici ...chi se ne frega.
Questo non è colorismo: è, al massimo (come vado dicendo da molto tempo in qua) un tipico "sincretismo" all'americana. Un "adornare" il proprio canto di suoni anche aperti ed eterodossi che fanno colpo, ma che non inficiano il proprio indispensabile vocalismo.
Prova a confrontare la Norman e Fischer Dieskau in qualche lieder di Schubert. Capirai immediatamente la differenza tra una vocalista che "si adorna" dei colori e un vero indiscutibile colorista.
Uff.. mi fai pure fare il cellettiano!
Guarda Tuc, che Celletti sarebbe rimasto sconvolto a leggere quel che scrivi!

Però Maugh, un passaggio di registro è un "fondamentale" per un cantante lirico. Non mi hai fatto sentire una roulade, un picchiettato, una scala vocalizzata.
Invece Maugham ha perfettamente ragione. Il passaggio di registro è la prova del nove per capire la "famiglia" tecnica a cui un cantante appartiene.
E' da lì che si capisce tutto.
Io lo usavo nel mio corso sulle "voci del 2000" proprio nei casi in cui i partecipanti non sapevano distinguere un tipo tecnico dagli altri.
"Concentratevi sul passaggio" e ogni problema spariva; tutto diventava chiaro.
Magari se ne potrà parlare una volta o l'altra.
Quanto alla roulade, il picchettato (senza la i)

, la scala ecc... caro Tuc, la Norman era bravissima in tutto questo. Aveva un'agilità perfetta!
Sentila in Handel, in Rameau o in Meyerbeer...
Niente di strano: anche lei (come la Devia) è infatti una vocalista, mentre la Nilsson (che era una declamatrice) non avrebbe fatto un'agilità nemmeno se l'avessimo frustata.
Salutoni,
Mat