Spesso in questo forum ho espresso il disagio che suscita in me il caso di Mario del Monaco.
Anche io, come molti, trovo inascoltabili molte delle sue interpretazioni, anche fra quelle che lo hanno reso celebre.
Eppure non condivido il tono di sfottò, di critica inappellabile, che gli viene solitamente rivolto.
Io continuo infatti a considerare Del Monaco uno dei massimi artisti che l'Italia abbia prodotto.
Non mi nascondo che la sua retorica poteva raggiungere versi di belluinismo raccapriccianti (il video del finale dello Chenier con la Tebaldi è una delle cose più esilaranti che si possanoascoltare); so bene che nella maggior parte dei ruoli che ha cantato - Verdi in primis - la sua emissione declamatorie era pesantemente inadeguata.
Eppure in astratto sento in lui potenzialità di talento ed efficacia tecnica da lasciarmi allibito.
Come si fa a contestare un artista nella pratica (cosa che faccio senza alcuna remora) e amarlo in teoria?
Si fa... si fa!
Basta astrarsi da risultati (spesso discutbili) conseguiti in un certo repertorio e immaginarsi il tenore in un repertorio diverso, un repertorio che - nei suoi anni - si sarebbe dovuto riportare in vita appositamente per lui; un repertorio (come quello italiano e francese del primo '900) adatto a un super-declamatore come lui, fiero tanto della propria "baritonalità", quanto dell splendore dei primi acuti (per inciso, il trovatore Rai 1957 ci testimonia addirittura un magnifico re bemolle).
Come declamatore Del Monaco era tecnicamente "nuovo", rivoluzionario.
La sua voce mescolava rifrazioni bronzee a una carnalità aspra e virile, sottolineate da spregiudicate aperture.
Ciò rendeva più moderno il suo stile e più penetrante la sua fisicità (dai colori autenticamente popolari, addirittura proletari, magari a rischio di qualche legnosità) rispetto ai declamatori che lo avevano preceduto, che al suo confronto appiono sempre un po' troppo aulici.
La poderosa percussione sillabica e la muscolarità del suono facevano piazza pulita di ogni eroismo e comunicavano l'idea di una forza selvaggia (in senso squisitamente neorealista).
Come sempre capita, tutti questi pregi diventavano difetti se applicati al repertorio sbagliato.
Cosa non avrebbe dovuto cantare, almeno per me?
Be' anzitutto i ruoli di matrice "vocalistica" (a meno che non fosse in grado, come in Calaf e Otello, di ripensarli a modo suo).
E nemmeno i ruoli di tessitura elevata come Radames ed Enea (non parliamo poi di Rigoletto, del catastrofico Stiffelio - ruolo Fraschini!!! - o di Paolo il Bello).
Da notare come invece la tessitura centralizzante lo aiuti a scolpire efficacemente personaggi come Pollione ed Ernani (nonostante il vocalismo che tali personaggi richiederbbero).
Altri ruoli che sarebbe stato meglio evitare sono quelli psicologicamente troppo nobili o romantici, poco allineati alla natura rissosa e diretta della sua espressività (ci metto dentro anche Lohengrin, Alvaro e Andrea Chenier).
Si... lo so.
Con queste esclusioni abbiamo praticamente tagliato fuori l'80 per cento del suo repertorio.
Eppure cosa avrebbe potuto ottenere nei ruoli giusto lo ha dimostrato come Dick della Fanciulla, come Sigmund (anche se un po' tardivo) e Samson...
Maugham mi ha prestato il cofanetto DECCA che raccoglie praticamente tutto quello che Del Monaco ha inciso oltre alle opere intere.
Nella maggioranza dei casi si tratta di roba piuttosto brutta. Poi salta fuori improvvisamente qualche miracolo che ti fa sobbalzare sulla sedia.
E proprio ciò che ho provato ascoltandolo nelle due arie di Isabeau.
Purtroppo si sente che sono incisioni tardive (posteriori al famoso incidente stradale del 64): lo splendore elettrizzante degli anni d'oro era ormai passato.
Il timbro è usurato, gli acuti appesantiti e talora calanti: in certi punti (ad esempio l'inizio di "ah-ah") Del Monaco è un po' imbarazzante.
Inoltre, quando il cantabile si fa più tranquillo, il tenore indugia in quella strana tendenza (tipica del suo declino) di compensare la limitata dinamica con eccesive aperture ("erbe silenziose") e con una certa "nasalità" che (disse qualcuno) ricorda un po' Topo Gigio.
Ma, detto questo, non penso che mai più ascolterò questi brani eseguiti in modo così INCREDIBILE!!
Davvero roba da non credere...
E se questo è il Del Monaco del 64, cosa avrebbe combinato in queste pagine dieci anni prima?
Essendo la scrittura spettacolare, sì, ma quasi esclusivamente declamatoria, Del Monaco ci si muove con la forza e la facilità di un vero atleta.
Si resta di stucco di fronte alla sua capacità di sillabare a voce spiegata, proiettando le sue folgori ad altezze folli, sopra, sotto e ...sul passaggio!
Per non parlare delle parole la cui evidenza investe l'ascoltatore come ceffoni!
E' proprio la "tecnica" a renderlo incredibile.
Una volta tanto persino i vociomani e cultori della "tecnica unica" farebbero bene a starsene zitti!
Ce l'avrebbe mai fatta il buon Bergonzi (spesso preso a esempio di tecnica "buona" contro quella "cattiva" di Del Monaco) a scagliare le sillabe con priezione tanto balenante, a piazzare i suoni (anche ad altezze scomodissime) con tanta "declamatoria" proprietà?
Persino l'espressività delmonachesca sembra (in queste pagine) meno sovraccarica e guitta del solito.
E questo non perché Del Monaco come Folco sia diverso, ma perché la sua espressività trova qui il suo humus naturale; anche la più sfacciata retorica da stallone di paese (che non funzionerebbe in altri personaggi) nell'Isabeau appare normale, convincente, insostituibile.
Visto che entrambi i brani sono su Youtube, io ve li sottopongo.
Chissà se anche a voi sembreranno rivelatori delle impressionanti possibilità tecniche del tenore come lo sono state per me: un esempio di declamato geniale, che non esiste più. Eppure a nessuno è venuto in mente di affidargli un'Isabeau negli anni d'oro...
Salutoni,
Mat