Croato, nato a Cavtat in Croazia nel 1890, morto nel 1966. Ha cantato tantissimo a Dresda, ma anche in altre piazze come il Metropolitan e a fianco di stelle di prima grandezza come Bohnen, Meta Seynemeier, Barbara Kemp e la Arndt-Ober. Voce scura ma splendidamente proiettata, ricca di squillo e di metallo: un heldentenor della più bell'acqua. L'ascolto è per lo più elettrizzante, ad onta di qualche sporadico e percettibile slittamento d'intonazione. Chi lo conosce?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!" (Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
Un thread senza interventi ferisce il cuore, anche questo su Tino Pattiera perché, pur non essendo egli stato tra i massimi, ha attraversato un'epoca aurea delle voci tenorili cantando su palcoscenici tra i più prestigiosi. Che nessuno abbia da dir nulla da mesi e mesi non mi piace proprio pertanto ho deciso, pur senza averne gran titolo, di farlo io. Ho un CD di Pattiera (ed. Minerva) che ho ascoltato ere fa; purtroppo, finché non ho deciso di risentirlo sollecitato dal silenzio spolcrale di questa discussione, non era servito granché, infatti non avrei saputo dire nulla di questo tenore avendo dimenticato tutto di lui, salvo il nome. Così, stasera, mi sono messo a riascoltarlo e confrontarlo con colleghi a lui coevi o leggermente più giovani, ed anche con qualche più vecchio interprete. Per esempio mi sono divertito a mettere il suo "Bianca al par di neve alpina" in competizione con quello di Mario Gilion, tenore di epoca precedente; nessun dei due mi sembra che meriti un gran voto, anche se le libertà che Gilion si prende e quella che appare una sua cattiva forma (forse era già in là con gli anni, ma sul CD della Bongiovanni non c'è data) fanno propendere la preferenza per Pattiera. Ad un primo ascolto l'impressione generale è che la voce di questo cantante sia caratterizzata da un certo vibrato stretto che, comunque, non nuoce all'scolto. Fin dalla prima zona acuta però, pare tenda a rendere fisse le note con un certo effetto "grido" non proprio gradevole. Il problema non si presenta sempre, ma poco meno. Eppure gli attacchi e le realizzazioni delle sfumature, dei piani e dei mezzoforte non sono affatto malvagie, ma fin dalla zona d'uscita dal passaggio Pattiera sembra imboccare questa poco apprezzabile via esecutiva. Ho comincaito con "Recitar...Vesti la giubba" da Pagliacci, del 1916. Confronto con Antonio Paoli, Hipolito Lazaro, Aureliano Pertile. A mio modo di vedere Paoli è stato un grande e Pattiera gli è sicuramente inferiore, così come lo è rispetto ad un Lazaro (incisione del 1916 anche la sua) sebbene lo spagnolo sia anch'egli imperfetto tendendo a gigioneggiare un po'. Devo dire che ho qualche dubbio sul fatto che l'incisione di Lazaro sia del 1916, comunque... Pertile è un altro pianeta. Pattiera risulta complessivamente più generico e meno dotato di tutti e tre, anche se in sé, fatto salvo quel problema sul registro acuto di cui sopra, affronta con garbo e proprietà il brano. Secondo pezzo "E lucean le stelle", incisone del 1922; confonto con Galliano Masini (incisone del 1929). Anche in questo caso Pattiera cede le armi, non solo per la bellezza della voce di Masini, ma per il suo approccio dolcissimo da cui Pattiera rimane distante, non riuscendo a dare una caratterizzazione abbastanza personale al brano. Passiamo al "Celeste Aida"; qui ho risentito Paoli e la sua voce prettamente tenorile, squillantissima, sicura, mi è sembrata senz'altro preferibile a quella del Croato. Ma sarò più preciso prossimamente quando riascolterò anche Martinelli, Lugo, Fleta non solo in Aida. So che non è una grande analisi, ma almeno riempie un vuoto.
Grazie, amico labronico. Io ogni tanto butto lì qualche semino ma mi rendo conto che discutere di un personaggio così poco conosciuto non sia proprio banalissimo. Ho anch'io il disco Minerva e su quello mi sono basato per le mie considerazioni. In linea di massima concordo con te su Paoli e Lazaro, un po' meno su Pertile, ma qui è questione di soli ed esclusivi gusti personali.
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!" (Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
pbagnoli ha scritto:Grazie, amico labronico. Io ogni tanto butto lì qualche semino ma mi rendo conto che discutere di un personaggio così poco conosciuto non sia proprio banalissimo. Ho anch'io il disco Minerva e su quello mi sono basato per le mie considerazioni. In linea di massima concordo con te su Paoli e Lazaro, un po' meno su Pertile, ma qui è questione di soli ed esclusivi gusti personali.
Ti ringrazio per l'apprezzamento. Inoltre ricambio volentieri l'amicizia ma, come ben capirai, essendo tu ancora troppo inquinato da pisanità spinta, non posso essere completamente d'accordo con te. Infatti non sono proprio sicuro che che la valutazione di un tenore come Pertile possa essere attribuita esclusivamente al gusto. Il gusto personale, alla fine, è il motivo per cui uno abbiamo voglia di sentirlo o no, ma certi elementi travalicano le proprie inclinazioni soggettive. Un vecchio appassionato d'opera, grandissimo appassionato d'opera, morto tragicamente ormai da anni (personaggio fantastico: insegnante d'inglese, nato in Egitto, poliglotta, con un numero preoccupante di idee fisse accentuatesi con gli anni ma nondimeno carico fino all'ultimo di uno humor sottilissimo e aristocratico, "malato" di teatro, colto conoscitore dei mille risvolti del palcoscenico, in commissione per la rivista Ciak al festival cinemtografico di Venezia del 1986 dove stupì un sacco di "intenditori" andando a vedere in lingua originale film inglesi, francesi e arabi) amava immensamente Di Stefano. Tale suo amore era motivo di contrapposizioni radicali con quanti, me compreso, avevano opinione di "Pippo" diametralmente opposta alla sua. Ma non riuscivo a spuntarla perché, per quanto discettassimo, diceva, passandosi la mano sull'avambraccio:"Quando in teatro senti la pelle d'oca..." A lui Di Stefano faceva quell'effetto, veniva preso dalla sindrome di Stendhal e nessuna argomentazione ragionevole valeva di fronte al deliquio che l'artista gli procurava; fatto soggettivo, ma inoppugnabile. Gobbi però non gli piaceva e ne ammetteva i limiti oggettivi (voce piccola e corta, imitator degli imitator di Titta Ruffo ecc...), anche se gli dedicò una bella conferenza negli anni Ottanta prtendo dall'autobiografia del baritono. Questa lunga digressione per sottolineare come l'elemento radicalmente soggettivo sia inattaccabile per natura e, pertanto, non possa essere condotto a giustificazione di una presunta superiorità o inferiorità. Dobbiamo perciò forzatamente scendere su un terreno di confronto meno impraticabile del gusto. E qui, caro Bagnoli, su Pertile non ci sono argomentazioni che tengano: era un cantante di livello superiore, molto superiore; non puoi concordare "un po' meno", che diamine!!!! Possiamo aprire una discussione (probabilmente è già stata aperta e frequentata altrove nella miniera di questo sito che io esploro troppo poco solo per poi accorgermi d'aver rimediato figuracce...!!!!) e confrontarci. Sul piano del gusto, ripeto, tutto va bene (per Kraus, che amo molto, ho visto spesso molti rimanere indifferenti, pur riconoscendogli somma maestria tecnica ed interpretativa: cosa vuoi dirgli? Lo sentono sempre iper-controllato, freddo, distaccato e non piace.), ma se richiamiamo elementi necessariamente più condivisibili è dura, a mio modo di vedere, aver dubbi su Pertile. A breve un altro intervento su Pattiera. Cordialmente. FRITZ
Capisco quello che dici. E ti diro di più: credo di essere stato l'ultimo in Italia ad assicurarmi l'integrale edita dalla Tima Club delle incisioni di Aureliano Pertile, che pure mi ascolto ogni tanto ancora. Sono d'accordissimo con te - benché livornese - su tutto ciò che concerne tecnica e correttezza d'emissione di Aureliano nostro; era il tenore prediletto da Toscanini, una ragione ci sarà, no? Eppure, mi basta una qualunque frase di un Rosvaenge, o di un Wittrisch, o di un Jadlowker, che mi si apre un mondo completamente diverso: più vario, moderno, comunicativo, meno aulico, meno pompier. Ripeto: niente da dire sul magistero tecnico; è una questione di linguaggio, mi è più congeniale quello di altri cantanti. Ma perché dico ste cose a un livornese?!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!" (Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
pbagnoli ha scritto:su tutto ciò che concerne tecnica e correttezza d'emissione di Aureliano nostro; era il tenore prediletto da Toscanini, una ragione ci sarà, no? Eppure, mi basta una qualunque frase di un Rosvaenge, o di un Wittrisch, o di un Jadlowker, che mi si apre un mondo completamente diverso: più vario, moderno, comunicativo, meno aulico, meno pompier. Ripeto: niente da dire sul magistero tecnico; è una questione di linguaggio, mi è più congeniale quello di altri cantanti.
Ecco queste sono le classiche affermazioni che mi fanno tanto arrabbiare
Per prima cosa caro Pietro, trovo veramente "riduttivo" (per usare un eufemismo) quanto da te riportato. Che vuoi dire con "tutto ciò che concerne tecnica e correttezza d'emissione"? che Pertile sapeva cantare "bene" alfabeto e tabelline? suvvia Pietrone, queste affermazioni così "drastiche" (secondo eufemismo ) mi sembrano davvero del tutto fuori luogo. Capisco che ogni tanto nelle tue espressioni ti lasci un po' andare e da buon istintivo, tendi a portare all'eccesso talune visioni personali (e ci sono diversi esempi in proposito ), ma da qui a definire Pertile nel modo in cui lo hai descritto, insomma...
Seconda cosa, affermi che ti basta una qualunque frase di un Rosvaenge, Wittrisch, Jadlowker, per aprirti un mondo "completamente diverso"; mi perdonerai nuovamente Pietro, ma in questa tua dichiarazione (categorica) ci trovo un po' di partigianeria e di assolutismo. Che vuol dire poi "una qualunque frase di questi....", riferita a cosa? quale personaggio? quale aria? quale opera? quale? cosa? perdonami ancora Pietro, ma questa tipologia di frase, detta così a me pare davvero non voglia dire proprio nulla. Perché non fare degli esempi allora, mettere un audio di questi interpreti a confronto, parlare di un personaggio in comune o di un aria a confronto, .... Quello che mi fa specie poi, è che la tua affermazione parte dalla premessa di possedere "l'integrale della Tima Club" di Pertile. Il nostro amico Luca, tempo fa, mi fece dono prezioso di un integrale di Pertile (otto stupendi CD); ora non so se fosse l'integrale di cui parli, ma ti garantisco che c'è di che sbizzarrirsi. E' indubbio che vi siano alcune incisioni per le quali il nostro Aureliano risulta inequivocabilmente "inadeguato", ma allo stesso modo, ve ne sono diverse in cui Pertile tocca livelli eccelsi sia sul fronte tecnico che interpretativo. Penso in particolare al suo "guardate pazzo sono", "amor ti vieta", "la dolcissima effige", "no pagliaccio non son", e potrei ancora continuare... Che Aureliano non piaccia è un conto, che prima e dopo ci sia stato anche di meglio è ancora un altro conto, ma dire che Pertile non andava oltre un corretto suono di emissione e di tecnica, a mio avviso è un giudizio riduttivo e infondato.
Teo, ormai mi conosci da mille anni e sai benissimo cosa intendo dire quando dico certe cose. Sì, l'integrale è proprio quella e sono contentissimo di averla. No, non riesco a mettere brani a confronto, perché sono incasinatissimo e anche adesso ti scrivo fra un casino e l'altro, del che mi scuso, ma se vuoi approfondiremo più avanti il discorso. In brevissima e un po' alla carlona: la mia personalissima sensazione è che già negli Anni Trenta i cantanti tedeschi fossero avanti anni luce nella definizione del personaggio, grazie ad un fraseggio più duttile, nervoso, frastagliato. Pertile, supremo cantante quanto a tecnica vocale, in questo aspetto specifico per me rimane indietro. Un esempio? Il primo che mi viene in mente sono i brani del Lohengrin, in cui il Nostro tenore non riesce secondo me a partecipare nulla del personaggio che canta. Certo, tu dirai che si tratta di Wagner tradotto in italiano, e se vuoi ti dò ragione, ma il Wagner di Borgatti nei pochi pezzi che ci sono rimasti secondo me sta su un altro pianeta, italiano per italiano. E' una questione di compostezza araldica, di serenità dell'eloquio (che non vuol dire paciosità, sia chiaro), di malinconia inesprimibile per una felicità assaporata per un istante e poi perduta. E' chiaro, sempre di fuoriclasse si tratta; ma da un fuoriclasse così celebre e celebrato io mi aspetto qualcosa di diverso, mi spiace. Se sento altri cantanti, queste cose le percepisco meglio: tutto qui
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!" (Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
Ho finito adesso di riascoltare Pattiera in due incisioni distanti l'una dall'altra. Per primo ho messo su il "brindisi" della Cavalleria rusticana, risalente al 1930 e per secondo "la donna è mobile" del 1916. Il brindisi della Cavalleria è un pezzo non proprio facilissimo, che veniva cantato fino a Novcento inoltrato "anche" se non soprattutto secondo un taglio esecutivo ottocentesco. Caruso ne è l'esempio più lampante. Pattiera l'ho messo accanto a un tenore della generazione precedente, Edoardo Garbin (disco Bongiovanni, senza data) e ad Aureliano Pertile (insisto). Purtroppo Pattiera sembra interpretare un po' tutto in fotocopia. Accento e fraseggio generico, intonazione talvolta periclitante, qui costretto da una direzione bandistica ad acelerazioni cervellotiche che certo non l'aiutano, nel complesso non brilla. La dizione è priva di mordente e imperfetta: le doppie ci sono quando non devono e non ci sono quando devono esserci (è sempre così); lo squillo è piuttosto forzato e il registro acuto palesa inalterati i limiti di cui ho già parlato nel mio intervento precedente. Forse perché del 1930, quindi con voce carica di anni di carriera, anche le intenzioni di morbidezza e di stilizzazione, altrove chiaramente percepibili, sono assenti. Questi problemi si evidenziano ascoltando Garbin. Tenore più chiaro, dagli acuti fermi e brillanti, ci regala una esecuzione particolare e, sebbene assolutamente legata al suo tempo, anche assolutamente... oserei dire... fantascientifica. Ad un certo punto pratica una messa in voce fenomenale su una nota tenuta a dismisura ("... nell'ebrezza tenera") dopo aver smorzato e filato con padronanza eccezionale. Pattiera non può gareggiare. Siccome sono cattivo ho messo su Pertile: mi veniva da piangere per Pattiera (un po' anche per te, consentirai, Bagnoli). Pertile è eccezionale (incisione dei primi anni venti, squillo fenomenale, suono rotondo e perfettamente proiettato in tutta la gamma, passaggio da manuale...). Dopo ho ascoltato "Rigoletto". L'incisone è del 1916. Mi sono vietato di ascoltare Duca di Mantova a prova di bomba e così ho confrontato Pattiera con un Martinelli del 1914 e con un Lazaro del 1918. Il croato è migliore qui che nel brindisi della Cavalleria, probabilmente per la minor stanchezza della voce, ma non sembra particolarmente a suo agio nelle agilità e, complessivamente, quella sensazione di vetrosità fissa delle note medio-alte rimane sempre e, purtroppo, con tali mende è difficile apprezzarne l'interpretazione. Martinelli comunque non è certo un campione di stile, ma rende molto di più in termini di mezzi naturali, squillo e intonazione, nonché in termini interpretativi, pur senza trascendere. Lazaro modula molto di più, in un paio di occasioni smorza benissimo e fila note semi acute con notevole sicurezza. Spavaldo quando sale verso le vette acute, sciorina una voce morbida e, a tratti, insolente. Pattiera arranca dietro. La prossima volta ascolterò i brani in tedesco. Saluti. FRITZ