Guillaume Tell (Rossini)

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 08 lug 2014, 17:34

Non pretendo di proseguire nella difesa ad oltranza di una posizione chiaramente estremista e volutamente provocatoria... anche se mi compiaccio nel vedere mattioli e teo.emme per una volta così d'amore e d'accordo! :shock: :mrgreen:
Quelle che mattioli giustamente chiama convenzioni, proprio in quanto tali, sono relative, soggette a mutamenti del gusto e allo scorrere del tempo. Va chiarito cosa è convenzione e cosa è elemento strutturale, cosa è "stucco o decorazione" e cosa è invece parete portante. Si potrà alleggerire la decorazione in stucco senza far crollare il soffitto, ma non sarebbe saggio eliminare troppe colonne... :mrgreen:
Ci sono alcuni autori le cui opere si situano al di fuori delle convenzioni consuete, opere caratterizzate da un senso di ineluttabilità ed immutabilità (chiaramente il pensiero va a Wagner e al suo Parsifal, anche se distinguerei tra testo del Parsifal e sua realizzazione: neppure il grande Vecchio sarebbe stato contento di vedere mummificata l'edizione bayreuthiana del 1882). Parlando per metafora, Wagner parlava una lingua che non prevedeva l'utilizzo di sinonimi né la possibilità di una "traduzione in lingua corrente". La lingua di Rossini invece prevedeva espressamente la possibilità di sinonimi e di traduzioni (fuor di metafora: trasposizioni, tagli aggiustamenti vari, etc etc). Di questo si deve tener conto. Nessuno, oggi, si sognerebbe di eliminare il preludio del Parsifal o di eliminare il coro delle Fanciulle Fiore. Mentre nessuno, oggi, si straccerebbe le vesti nel vedere soppresso il Pass des Soldats del Tell. Oggi. Domani... chissà.
Per questo anche i "limiti invalicabili" di cui parla Alberto mi sembra vadano sempre identificati e contestualizzati a seconda dell'opera e dell'autore e del tipo di pubblico e del tipo di teatro etc etc etc. Eperimenti come "La Tragédie di Carmen" di Brook, a volte, possono essere salutari nell'evitare la sclerotizzazione o la liturgia operistica. Chiaro che "La Tragédie di Carmen" non è la Carmen di Bizet del 1875, così come questo Guillaume Tell di Monaco (al di là dei risultati) non è quello del 3 agosto 1829...
Poi, lo ripeto, senza filosofare troppo, per me alla fin fine contano i risultati. Questa, molto grossolana, è l'unica ricetta della mia cucina operistica : Chef : . E se il fine giustifica i mezzi, passi pure se qualche convenzione non è stata rispettata. Ma questa è una mia idea, e non voglio convincere nessuno!
Se questo Tell monacense fosse stato un capolavoro, non avrei battuto ciglio nel vedere l'ouverture utilizzata come colonna sonora per una pantomima in apertura della seconda parte. Siccome invece si è trattato di una autentica ciofeca, il senso di vuoto che ho sperimentato immediatamente dopo aver scoperto di essere stato "scippato" dell'ouverture si è tradotto in una solenne, enorme, insopprimibile... incazzatura : Andry : : Andry : .

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mar 08 lug 2014, 17:51

Quelle che mattioli giustamente chiama convenzioni, proprio in quanto tali, sono relative, soggette a mutamenti del gusto e allo scorrere del tempo.


Sono d'accordissimo e l'avevo anche scritto. Ma proprio per questo la bellissima "Tragédie de Carmen" di Brook è stata intitolata così. Perché nessuno poteva pensare che fosse la Carmen di Bizet. Era uno spettacolo sulla Carmen di Bizet. Mentre, sempre per restare alle convenzioni, la Carmen con i recitativi di Guiraud è la Carmen di Bizet, cioè una delle possibili Carmen di Bizet.

non sarebbe saggio eliminare troppe colonne...


Vuoi condannare Pizzi alla disoccupazione?

Se questo Tell monacense fosse stato un capolavoro, non avrei battuto ciglio nel vedere l'ouverture utilizzata come colonna sonora per una pantomima in apertura della seconda parte.


Neanch'io. Ma è molto improbabile che un Tell dove la sinfonia è spostata possa essere un capolavoro...

Diverso il discorso del Parsifal del 1882. Oggi le scene "su cui si era posato l'occhio del Maestro" sacre a Cosima ci farebbero solo sorridere. Anche se Herheim le ha citate nella sua produzione, tuttora la più bella che io abbia visto di quest'opera...

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mar 08 lug 2014, 17:55

DottorMalatesta ha scritto:Ci sono alcuni autori le cui opere si situano al di fuori delle convenzioni consuete, opere caratterizzate da un senso di ineluttabilità ed immutabilità (chiaramente il pensiero va a Wagner e al suo Parsifal, anche se distinguerei tra testo del Parsifal e sua realizzazione: neppure il grande Vecchio sarebbe stato contento di vedere mummificata l'edizione bayreuthiana del 1882). Parlando per metafora, Wagner parlava una lingua che non prevedeva l'utilizzo di sinonimi né la possibilità di una "traduzione in lingua corrente". La lingua di Rossini invece prevedeva espressamente la possibilità di sinonimi e di traduzioni (fuor di metafora: trasposizioni, tagli aggiustamenti vari, etc etc).

E perché mai? Wagner veniva tagliuzzato abbondantemente pure a Bayreuth (per non parlare del Met). Una prassi che oggi si stigmatizza, ma che era frequentata anche da musicisti come Mahler... Anche qui - se vogliamo stare al tuo gioco - si tratta di convenzioni. Quanto a Rossini chi lo dice che fosse ben contento di tutte quelle manipolazioni? In realtà bisogna distinguere tra ciò che si tollerava, si sopportava o, realmente, si voleva: è noto che pure gli operisti da melodramma cercavano invano di mantenere l'integrità dell'opera (ci sono lettere di Donizetti, clausole contrattuali fatti inutilmente sottoscrivere da Verdi, processi, cause, racconti...anche dello stesso Rossini). Non credo che il compositore fosse contento nel vedere il suo Tell ridotto ad un atto solo (solitamente il secondo) e usato nei modi più disinvolti per introdurre serate di balletto o di svaghi pittoreschi. Il fatto che si dica: con Wagner non si può è, forse, frutto di un pregiudizio e di un'attribuzione di superiorità di un genere più che ad un altro.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 08 lug 2014, 17:59

mattioli ha scritto:
non sarebbe saggio eliminare troppe colonne...


Vuoi condannare Pizzi alla disoccupazione?


:lol: :lol: :lol:

Se questo Tell monacense fosse stato un capolavoro, non avrei battuto ciglio nel vedere l'ouverture utilizzata come colonna sonora per una pantomima in apertura della seconda parte.


Neanch'io. Ma è molto improbabile che un Tell dove la sinfonia è spostata possa essere un capolavoro...[/quote]

Esatto, è proprio questo il punto! Perché nel Tell la sinfonia (quella sinfonia!) e le danze SONO COLONNE PORTANTI, non stucchi o fregi ornamentali. Togli le colonne e crolla il palazzo. Togli l'episodio delle tre Norne nella Goetterdaemmerung (un tempo lo si faceva :shock: !) e crolla... Walhalla!!!
:mrgreen:

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P.S.: a teo.emme: certo, Wagner nell'Olandese accettò di abbassare di un tono la ballata di Senta per non far soccombere la Schroeder-Devrient. E nel Parsifal fece musicare ad Humperdinck qualche battuta di musica aggiuntiva per consentire che il cambio di scena dalla foresta del Graal all'interno del tempio si svolgesse senza intoppi... E si potrebbe continuare a lungo. Si torna a quanto proponevo... nulla è così assolutamente "definitivo" sulle tavole del palcoscenico!
Però Wagner ha anche creato una grammatica nuova, una lingua nuova, in contrapposizione con le convenzioni dell'epoca, l'architettura teatrale (buio in sala, golfo mistico, struttura anfiteatrale), lo stile di canto (Schnorr von Carolsfeldd morì di tristanite!) e le abitudini compositive (tanto per dire, è uno dei primi a comporre indipendentemente dal cantante che si trova davanti). Il preludio del Parsifal non è convenzione, è colonna portante! Esattamente come la sinfonia del Tell, che è - obiettivamente -qualcosa di nuovo. La distinzione tra elemento costitutivo e fondante un'opera ed elemento decorativo è assolutamente essenziale per capire fino a dove è "lecito" spingersi...

P.P.S.:
DottorMalatesta ha scritto:opere caratterizzate da un senso di ineluttabilità ed immutabilità (chiaramente il pensiero va a Wagner


Va bene che Wagner era uno che predicava bene e razzolava male, ma questo è esattamente il suo pensiero in Oper und Drama...

P.P.P.S.:

teo.emme ha scritto:Il fatto che si dica: con Wagner non si può è, forse, frutto di un pregiudizio e di un'attribuzione di superiorità di un genere più che ad un altro.


Se non considero Wagner superiore all'eccelso Verdi, ti sembra che lo possa considerare superiore all'amato Rossini?
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mer 09 lug 2014, 11:09

DottorMalatesta ha scritto:[...] certo, Wagner nell'Olandese accettò di abbassare di un tono la ballata di Senta per non far soccombere la Schroeder-Devrient. E nel Parsifal fece musicare ad Humperdinck qualche battuta di musica aggiuntiva per consentire che il cambio di scena dalla foresta del Graal all'interno del tempio si svolgesse senza intoppi... E si potrebbe continuare a lungo. Si torna a quanto proponevo... nulla è così assolutamente "definitivo" sulle tavole del palcoscenico!

Secondo me, però, confondi due elementi diversi: tu parli di "incompiutezza" come se l'opera rappresentata fosse già in partenza una mera traccia su cui è lecito lavorare con la più ampia libertà, salvo mantenere le "colonne portanti" e per giustificare tale argomentazione suggerisci che già all'epoca la prassi esecutiva (Wagner escluso) prevedeva interventi e manipolazioni. Non sono affatto d'accordo: secondo me, è impossibile individuare le "colonne portanti" con precisione scientifica e distinguere l'essenziale dal superfluo (se non attraverso una scelta arbitraria sulla base di valutazioni soggettive per nulla rispondenti ad un dato di fatto e comunque sottoposte al mutare di mode e atteggiamenti): cosa è essenziale e superfluo nella Forza del destino? Le scene di colore (la predica di Melitone, i quadri popolari) sono un contorno o sono l'essenza che identifica l'opera e la differenzia, nella struttura, dal classico melodramma ottocentesco? Cos'è essenziale e superfluo nel Boris Godunov? Solo gli episodi del dramma sono colonne portanti o anche tutto l'aspetto popolare, le canzoni di Varlaam, le scene di massa? Il discorso del legittimo taglio di ciò che è superfluo è vecchio, decrepito, superatissimo: fu teorizzato da Serafin e da Gavazzeni per giustificare le loro forbici spietate e risponde ad un'ideologia oggi inaccettabile che guarda al passato cercando di farlo assomigliare al presente (code, da capo, cabalette, coloratura, cadenze, variazioni...venivano ritenuti elementi superflui e come tali sacrificabili per "migliorare" l'opera e "ripulirla" dalle incrostazioni dell'epoca in cui venne composta). Ma - dicevo - confondere prassi e incompiutezza, significa confondere due elementi concetti differenti. Il compositore - salvo incidenti - propone un testo compiuto e ragionato: anche se a noi pare un peccato veniale abbassare o alzare di un tono, eliminare una coda, omettere un da capo ogni scelta tonale ogni elemento strutturale è legato ad un determinato effetto (le tonalità sono in rapporto tra loro e ognuna ha un colore differente etc...). Il linguaggio di Rossini, Donizetti o Verdi era consapevole di tale compiutezza (lo scrivono i diretti interessati: ci sono le sgrammaticate lettere di Donizetti che lo testimoniano in modo molto gustoso e sanguigno), anche se - nella prassi - tolleravano certe manomissioni, pur cercando di frenarle. Che poi tornassero sulle loro opere e sui loro lavori questo non depone a favore dell'incompiutezza degli stessi, ma semplicemente testimonia un lavoro di revisione. Nulla ha a che fare - questo lavoro - con la trasformazione arbitraria di una composizione in qualcosa di completamente differente: la Carmen di Brook era uno spettacolo esplicitamente basato sull'opera di Bizet, non era la rappresentazione dell'opera di Bizet diretta da Brook.
DottorMalatesta ha scritto:Però Wagner ha anche creato una grammatica nuova, una lingua nuova, in contrapposizione con le convenzioni dell'epoca, l'architettura teatrale (buio in sala, golfo mistico, struttura anfiteatrale), lo stile di canto (Schnorr von Carolsfeldd morì di tristanite!) e le abitudini compositive (tanto per dire, è uno dei primi a comporre indipendentemente dal cantante che si trova davanti). Il preludio del Parsifal non è convenzione, è colonna portante! Esattamente come la sinfonia del Tell, che è - obiettivamente -qualcosa di nuovo. [...]

Anche questa affermazione mi pare discutibile e mi sembra discenda dall'illusione per cui Wagner sarebbe spuntato dal nulla e avesse di colpo "inventato" la musica dell'avvenire...Wagner, come i suoi contemporanei, vive nel suo tempo, nelle convenzioni del suo tempo (perfettamente riconoscibili non solo nelle prime tre opere - rigettate dal canone - ma anche nell'Olandese, nel Tannhauser, nel Lohengrin, in Tristan) e il suo linguaggio è un'evoluzione di quello del suo tempo. Anche la questione delle abitudini compositivi sarebbe da ridiscutere: certo cambia il rapporto tra compositore e interprete, ma mi pare scorretto sostenere che da Wagner in poi il compositore scrive musica svincolato da chi andrà a cantarla...ovviamente non c'è più l'immediata conoscenza con il cantante, ma la corrispondenza ad una vocalità esistente rimane. Senza contare, poi, che l'allungamento dei tempi di composizione (dovuta al mutare della complessità orchestrale e delle convenzioni, nonché della politica teatrale del tempo), rendeva di fatto impossibile prevedere oggi quale cantante avrebbe cantato tra un anno o due (visti gli impegni degli interpreti). Però anche Wagner si è rapportato ai suoi cantanti (fin dalla questione della ballata di Senta...).
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 09 lug 2014, 12:19

[quote="teo.emme] Il compositore - salvo incidenti - propone un testo compiuto e ragionato:

OK, hai ragione. Il solo punto sul quale volevo insistere è quello per cui in un testo teatrale la maggior o minore compiutezza deve necessariamente fare i conti con la prassi. Prassi che era ed è, nei confronti del testo teatrale, più o meno elastica (e che dipendeva dalle convenzioni, dal pubblico, dalle volontà dell´autore, dall´hic et nunc della rappresentazione). Mi domando se la prassi di oggi, nella riproposizione attuale di un testo del passato, possa/debba tener conto della prassi del passato. Esemplificando, se in epoca barocca le convenzioni prevedevano più possibilità o comunque maggiori libertà esecutive, forse questo potrebbe comportare maggiori libertà anche agli interpreti di oggi.
Qualche anno fa al ROF Dario Fo riscrisse per la Gazetta dei dialoghi completamente nuovi (penso fosse per colmare una lacuna dovuta alla mancanza di alcuni numeri della partitura, or non ricordo bene): la cosa poteva avere un senso? Forse sì, bisognerebbe valutare. La “riscrittura” del Viaggio a Reims da parte dello stesso Dario Fo poteva avere senso? Gossett ne parla a lungo nel suo libro, insieme con altri esempi, e giustifica tale soluzione in una prospettiva di pratica teatrale (avrei bisogno di rileggermelo).
Non si può non tenere conto del qui ed ora, nella riproposizione sul palcoscenico di un testo teatrale.
Per il Settecento il grande Shakespeare era quello dei drammi storici. Oggi il grande Shakespeare è quello di Lear, Macbeth ed Amleto, non certo quello di Troilo e Cressida. Oggi proporre Troilo e Cressida integrale e in costumi d´epoca significa condannarsi ad avere il teatro vuoto. Mentre si può tentare di proporre un Amleto integrale... Il testo teatrale è osa viva che dialoga con il presente: la sua maggiore o minore vitalitá dipende dal come lo si rappresenta nel tempo presente della pratica teatrale. Il Verdi tagliuzzato di Gavazzeni era il Verdi ritenuto "giusto" allora. Ma non è il Verdi ritenuto "giusto" oggi. E probabilmente non è neppure il Verdi nel quale si riconoscerebbe Verdi stesso!
E comunque hai ragione: distinguere tra necessario e superfluo in un´opera teatrale (o, più in generale in un´opera d´arte) ricorda il tentativo (goffo ed ideologico) di distinguere poesia e non-poesia come faceva Benedetto Croce. La cosa è discutibile, e forse impraticabile, a meno di considerare dei casi limite: oggi nessuno si sdegna nel sentire Casta Diva o la Ballata di Senta abbassata di un tono, ma nessuno accetterebbe di vedere Norma senza Casta Diva o l´Olandese senza ballata.

[quote="teo.emme]
mi sembra discenda dall'illusione per cui Wagner sarebbe spuntato dal nulla e avesse di colpo "inventato" la musica dell'avvenire......).[/quote]

Certo, è così: nessuno sbuca dal nulla . Anche il fulmine di Rossini non è un fulmine a ciel sereno. Ma, anche se rischia di far dimenticare che il cielo è pieno di nuvole, un fulmine resta sempre un fulmine!
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mer 09 lug 2014, 17:17

DottorMalatesta ha scritto:Il solo punto sul quale volevo insistere è quello per cui in un testo teatrale la maggior o minore compiutezza deve necessariamente fare i conti con la prassi. Prassi che era ed è, nei confronti del testo teatrale, più o meno elastica (e che dipendeva dalle convenzioni, dal pubblico, dalle volontà dell´autore, dall´hic et nunc della rappresentazione). Mi domando se la prassi di oggi, nella riproposizione attuale di un testo del passato, possa/debba tener conto della prassi del passato. Esemplificando, se in epoca barocca le convenzioni prevedevano più possibilità o comunque maggiori libertà esecutive, forse questo potrebbe comportare maggiori libertà anche agli interpreti di oggi.

Secondo me è un falso problema, nel senso che la prassi di un'epoca ha un suo valore intrinseco nell'aiutarci a comprendere la fruizione di un testo, ma con la consapevolezza che tale modalità esecutiva dipendesse da circostanze esterne. Se dovessimo dire "stravolgiamo tutto oggi perché anche allora si stravolgeva" (e quindi senza storicizzare tale approccio) commetteremmo un arbitrio perché oggi le condizioni sono mutate e mutate sono le aspettative e l'atteggiamento del pubblico (senza contare che allora gli interventi servivano a facilitare il pubblico o gli interpreti o soddisfare i desideri di determinati divi, mentre certi interventi odierni - come quello di questo Tell - mi paiono più volti a soddisfare il solipsismo del dramaturg/regista nell'ansia di "farlo strano" piuttosto che per esigenze di natura pratica: non si tratta di alleggerimenti a fronte di interpreti inadeguati, ma di stravolgimenti gratuiti). Ci sono dei limiti, nello spettacolo musicale, più rigidi rispetto ad altri generi teatrali (anche se è pur vero che quando si mette in scena un classico - Shakespeare, Goldoni, Moliere - si tende a sfrondare, ma non a stravolgere).
DottorMalatesta ha scritto:Qualche anno fa al ROF Dario Fo riscrisse per la Gazetta dei dialoghi completamente nuovi (penso fosse per colmare una lacuna dovuta alla mancanza di alcuni numeri della partitura, or non ricordo bene): la cosa poteva avere un senso? Forse sì, bisognerebbe valutare. La “riscrittura” del Viaggio a Reims da parte dello stesso Dario Fo poteva avere senso? Gossett ne parla a lungo nel suo libro, insieme con altri esempi, e giustifica tale soluzione in una prospettiva di pratica teatrale (avrei bisogno di rileggermelo).

Ancora una volta si tratta di questioni differenti: un conto è colmare una lacuna testuale (è il caso della Gazzetta, anche se dal 2012 musica e testo sono stati fortunosamente ritrovati) altro è intervenire pesantemente sul senso dell'opera. Fo, infatti, cambiando il testo del Viaggio a Reims, trasforma la cantata celebrativa dell'incoronazione di Carlo X in un pedante vademecum di perbenismo politico (con le conseguenti tirate contro il capitalismo, la chiesa, l'oppressione del terzo mondo, il colonialismo etc..) che oltre ad appesantire la satira rossiniana (perché il Viaggio a Reims è anche una sottile, ma spietata satira sulla restaurazione), interviene goffamente sui versi a discapito della coerenza musicale (che salta in "medaglie incomparabili" ad esempio). Anche in ottica di pratica teatrale non mi sembra un intervento lecito poiché non parte dal testo (per estrapolarne un suo contenuto), ma prescinde dallo stesso e lo sostituisce con una propria elucubrazione (fuori luogo a mio giudizio).
DottorMalatesta ha scritto:Non si può non tenere conto del qui ed ora, nella riproposizione sul palcoscenico di un testo teatrale.

Ma la pratica teatrale non può rinunciare al confronto col testo, nel senso che forse sarebbe più comodo non avere vincoli, ma proprio perché il teatro musicale è costituito da convenzioni (banalmente: invece di parlare cantano, cantano mentre vengono uccisi o mentre brindano...l'opera è di per sé non realistica) il compito dell'interprete è valorizzare i limiti presenti: altrimenti ha sbagliato mestiere.
DottorMalatesta ha scritto:Il Verdi tagliuzzato di Gavazzeni era il Verdi ritenuto "giusto" allora. Ma non è il Verdi ritenuto "giusto" oggi. E probabilmente non è neppure il Verdi nel quale si riconoscerebbe Verdi stesso!

Può essere, ma resta il fatto che lo stesso Verdi (e Donizetti pure) deprecava manomissioni tagli, aggiusti: è noto che facesse firmare clausole vincolanti con i committenti, con previsione di forti penali e la minaccia di cause e risarcimenti... Certo con scarso successo, ma resta il fatto che l'autore non aveva certo benedetto i tagli di allora, così come sicuramente non avrebbe approvato quelli di Gavazzeni o Serafin.
DottorMalatesta ha scritto:[...]oggi nessuno si sdegna nel sentire Casta Diva o la Ballata di Senta abbassata di un tono [...]

E questo è un problema: un problema di formazione e maturità musicale (e, se posso fare l'antipatico, il risultato di una cattiva educazione e preparazione che ha ridotto l'opera a circo o a concerti per primadonna, così che a teatro non si va a sentire musica, ma ad ascoltare i capricci di un divo). La disinvoltura con cui si abbassa e si alza la tonalità di un brano è sintomo di ignoranza e non tiene conto della complessità del tutto e della sua coerenza armonica (quando poi - come quasi sempre - la ragione di questi trasporti è il consentire grida belluine, acuti piazzati nei posti più impensabili, finti DO di petto, il tutto in barba alla scrittura e solo per soddisfare la pancia dei loggioni o il loro cronometro da acuto - come raccontano con crassa e ignorante soddisfazione i loggionisti parmigiani - allora siamo al becero più totale). Anche perché il SOL maggiore di Casta Diva ha una luminosità che il FA maggiore di tradizione non possiede (tralascio poi il problema degli accompagnamenti o i pasticci combinati nei concertati dove alcuni alzano altri abbassano secondo terze maggiori e minori creando dissonanze e difficoltà nello strumentale: spesso modificato perché richiederebbe note che quello strumento non può emettere).
DottorMalatesta ha scritto: [...] nessuno sbuca dal nulla. Anche il fulmine di Rossini non è un fulmine a ciel sereno. Ma, anche se rischia di far dimenticare che il cielo è pieno di nuvole, un fulmine resta sempre un fulmine!

Ma senza temporale, non c'è nessun fulmine... Non posso non pensare - ad esempio - che l'Amen di Dresda nel preludio di Parsifal è armonizzato più o meno nello stesso modo in cui viene utilizzato dal "giudeo" Mendelssohn (bersaglio polemico dell'antisemitismo wagneriano) nella sua "Lobgesang", op. 52 (la Sinfonia n. 2), che risale a circa 40 prima dell'estremo capolavoro di Wagner.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mer 09 lug 2014, 18:15

il Viaggio a Reims è anche una sottile, ma spietata satira sulla restaurazione


:shock: ?!
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mer 09 lug 2014, 19:08

mattioli ha scritto:
il Viaggio a Reims è anche una sottile, ma spietata satira sulla restaurazione


:shock: ?!

Sarà una mia opinione, ma il gioco rossiniano di amori, corteggiamenti, intrighi (che personificano la Polonia contesa tra le grandi potenze) o la caratterizzazione delle diverse nazioni (dipinte in modo cialtronesco da Don Profondo), il non sense delle situazioni, l'assurda complessità del grande concertato (e i futili motivi ce lo giustificano), mi pare un ritratto piuttosto disilluso della restaurazione e dell'illusorio ripristino della legittimità. Nulla di rivoluzionario ovviamente, ma un atteggiamento distaccato che tradisce la formazione sostanzialmente illuminista del buon Rossini.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 09 lug 2014, 19:51

teo.emme ha scritto:
mattioli ha scritto:
il Viaggio a Reims è anche una sottile, ma spietata satira sulla restaurazione


:shock: ?!

Sarà una mia opinione, ma il gioco rossiniano di amori, corteggiamenti, intrighi (che personificano la Polonia contesa tra le grandi potenze) o la caratterizzazione delle diverse nazioni (dipinte in modo cialtronesco da Don Profondo), il non sense delle situazioni, l'assurda complessità del grande concertato (e i futili motivi ce lo giustificano), mi pare un ritratto piuttosto disilluso della restaurazione e dell'illusorio ripristino della legittimità. Nulla di rivoluzionario ovviamente, ma un atteggiamento distaccato che tradisce la formazione sostanzialmente illuminista del buon Rossini.


Beh... ci sta. In fondo, Carlo X oltre ad essere un despota era, come tutti i despoti, un cretino. E il fatto che si annoiò a morte ascoltando quest´opera ne è la prova.

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mer 09 lug 2014, 20:03

Ho sempre trovato una gran palla (IMHO) questa mania di parlare di satira a proposito del Viaggio, proposta fin dal 1984.
Evidentemente, è proprio impossibile ammettere che un grande artista possa essere, politicamente, un reazionario. Rossini poi non era nemmeno tale: era il solito intellettuale italiano tradizionale affatto privo di una coscienza politica e sempre pronto, come fece, a prestarsi alla propaganda napoleonica, a quella della Restaurazione, a Gioachino Murat, ai Borbone di Napoli, a quelli di Francia, alla Santa Alleanza, a Pio IX, a Napoleone III e a Vittorio Emanuele II. Semmai ebbe un sentimento "politico", fu quello, comune alla maggioranza degli europei, della stanchezza, dopo vent'anni che avevano sconvolto l'Europa più che i venti secoli precedenti. E "le repos de l'Europe" è appunto la formula più tipica di tutta la propaganda antinapoleonica e della Restaurazione.
Il Viaggio a Reims doveva semplicemente essere il pendant brillante all'eroico Pharamond. Quella della Polonia è l'ennesima palla, perché il problema polacco, che aveva condotto dieci anni prima i vincitori di Napoleone sull'orlo di una guerra, nel 1824 era regolato da un pezzo con generale soddisfazione. Infatti Balocchi, proprio per evitare ogni sospetto satirico, fa contendere al russo la polacca dallo spagnolo, cioè dal Paese che era stato il meno interessato alla querelle . E le rare volte che il libretto abbandona il suo tono da commedia sofisticata è per lanciarsi nell'esaltazione degli ideali della Restaurazione, non ultimo il riscoperto sentimento religioso.
Per questo l'opera e', ANCHE, un manifesto politico. È la riscrittura di Dario Fo un doppio tradimento, oltre che una vaccata perché Balocchi era molto più spiritoso...
Scusate gli errori di battitura, scrivo dall'iPad...
Ultima modifica di mattioli il gio 10 lug 2014, 8:50, modificato 2 volte in totale.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mer 09 lug 2014, 20:07

Per Malatesta: Carlo X non era né un despota né un cretino. Era solo, a differenza di suo fratello (Luigi XVIII, ovviamente, non l'altro), privo di senso politico, il che per un Re, lo ammetto, non è un piccolo problema. Però ti ricordo che Stendhal, liberale dunque oppositore, scrisse in tempi non sospetti che mai un Paese era stato felice come la Francia sotto Carlo X...
Ultima modifica di mattioli il gio 10 lug 2014, 8:21, modificato 1 volta in totale.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 09 lug 2014, 20:22

Rossini un reazionario (come scrive Alberto) con atteggiamento distaccato (come scrive teo.emme) o "stanco" (come scrive Alberto) ma anche pronto a salire sul carro del vincitore (stava dalla parte di tutti perchè tutti stessero dalla sua parte): scrisse musica in onore di Murat, di Carlo X, di Pio IX, del Metternich del Congresso di Vienna (e Verona), e persino della Guardia Civica di Bologna...

Come ritratto del "Rossini politico" potrebbe andare?

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P.S.: à propos di Carlo X: "cretino" almeno per il fatto di non aver apprezzato il Viaggio, almeno questo, me lo passi?
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P.P.S.: se proprio re deve essere, allora... Luigi XIV!!! : King :
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » gio 10 lug 2014, 0:52

mattioli ha scritto:Evidentemente, e' proprio impossibile ammettere che un grande artista possa essere, politicamente, un reazionario. Rossini poi non era nemmeno tale: era il solito intellettuale italiano tradizionale affatto privo di una coscienza politica e sempre pronto, come fece, a prestarsi alla propaganda napoleonica, a quella della Restaurazione, a Gioachino Murat, ai Borbone di Napoli, a quelli di Francia, alla Santa Alleanza, a Pio IX, a Napoleone III e a Vittorio Emanuele II. Semmai ebbe un sentimento "politico", fu quello, comune alla maggioranza degli stranieri, della stanchezza, dopo vent'anni che avevano sconvolto l'Europa più che i venti secoli precedenti. E "le repos de l'Europe" è appunto la formula più tipica di tutta la propaganda antinapoleonica e della Restaurazione.
Il Viaggio a Reims doveva semplicemente essere la pendant brillante all'eroico Pharamond. Quella della Polonia e' l'ennesima palla, perché il problema polacco, che aveva condotto dieci anni prima i vincitori di Napoleone sull'orlo di una guerra, nel 1824 era regolato da un pezzo con generale soddisfazione. Infatti Balocchi, proprio per evitare ogni sospetto satirico, fa contendere al russo la polacca dallo spagnolo, cioè dal Paese che era stato il meno interessato alla querelle . E le rare volte che il libretto abbandona il suo tono da commedia sofisticata e' per lanciarsi nell'esaltazione degli ideali della Restaurazione, non ultimo il riscoperto sentimento religioso.
Per questo l'opera e', ANCHE, un manifesto politico. È la riscrittura di Dario Fo un doppi tradimento, oltre che una vaccata perché Balocchi era molto più spiritoso...

Ti assicuro Alberto (mi permetto di chiamarti per nome) che nulla è più estraneo dal mio sentire del ricercare morbosamente in ogni artista/musicista/scrittore/poeta tracce di progressismo per certificarne la grandezza aldilà di ogni sospetto (trovo in questo senso fastidiosi e irritanti i tentativi di ricondurre Mann, Dostoevskij, Junger o Mishima ad un fantomatico cripto socialismo inconsapevole: queste baggianate lasciamole - appunto - a Dario Fo), però nel Viaggio non trovo una semplice celebrazione della Restaurazione (i toni sarebbero stati diversi, più seriosi forse), quanto uno sguardo disilluso e nobilmente distaccato, forse un presentimento dell'illusoria stabilità del ripristino della legittimità prenapoleonica. Peraltro la questione polacca nel '24 era tutt'altro che sistemata, visto che pochi anni più tardi vi furono insurrezioni. moti rivoluzionari e conseguenti repressioni...diciamo che la Polonia rimase al centro di pretese dinastiche e rivendicazioni politiche (in cui la Russia sguazzava). Detto questo continuo a trovare nel Viaggio una componente anarchica che fa a pugni, infatti, con le parti più apertamente celebrative, ossia le interminabili tirate di Corinna (e detto tra noi, sono tra le cose più pallose e meno ispirate dell'intera produzione rossiniana...), non a caso non confluite nell'assai più riuscito Comte Ory.
Ps: concordo pienamente sulla definizione "vaccata" per la riscrittura di Fo...davvero una robaccia.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » gio 10 lug 2014, 8:34

Vabbé, non pretendo di convincere nessuno. In Polonia l'insurrezione scoppiò nel '30, come del resto in Francia, e sei anni prima, all'epoca del Viaggio, quello polacco non era più un problema diplomatico europeo. Aggiungerei che la formula trovata per Varsavia da Alessandro I, quella di un Regno indipendente in unione personale con l'Impero russo, fu la più liberale nella quale i polacchi vissero fino al 1918.
Il Viaggio non è una commedia satirica, ma brillante, se volete di costume. Nella sua frivolezza, svela un sentimento europeista, di concordia fra i popoli magari nel segno della comune religione cristiana, che è il sostrato ideologico dei giochi di potere della Restaurazione. Come tale, è anche un'opera politica scritta per un'occasione celebrativa (esattamente come La clemenza di Tito). Se l'intento di Rossini fosse stato satirico, credo che l'opera dovrebbe allora essere considerata un fiasco.
Quanto a Carlo X, l'assoluta mancanza di interesse per la musica e più in generale per le arti non è, di per sé, indice di cretineria. Conosco molti appassionatissimi di musica assai più cretini di lui. Comunque la personalità di Carlo è molto più complessa della macchietta che ne è sempre stata fatta, anche perché di Carli ce ne sono almeno due: quello pre e quello post conversione. Di certo, fu uno degli uomini più eleganti ed educati della sua e forse di tutte le epoche, requisito che PER ME conta almeno quanto l'intelligenza, e forse più.

se proprio re deve essere, allora... Luigi XIV!!!


Infatti: buon chitarrista, ballerino di livello professionistico quando ancora i ballerini professionisti non c'erano ed eccellente ministro della Cultura... di se stesso.
Buona giornata, miao

AM
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