Guillaume Tell (Rossini)

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Messaggioda teo.emme » mer 28 nov 2007, 22:24

pbagnoli ha scritto:
teo.emme ha scritto: Non sarebbe opportuno quindi che esso fosse eseguito integralmente? :wink:

Non a tutti i costi, secondo me.
Cioè: in astratto hai ragione tu.
In pratica, fai quello che puoi con ciò che hai fra le mani.

E qui si aprirebbe un capitolo interminabile sulla liceità o meno di tagli ed affini, ma non voglio affrontare qui questo argomento che, peraltro, abbiamo già parzialmente sviscerato.
La mia opinione è:
- se devi fare un lavoro, cerca di farlo bene con gli interpreti migliori
- se non hai gli interpreti migliori, cerca comunque di fare il meglio possibile senza metterli in difficoltà; risparmiagli magari una cabaletta o una seconda strofa, ma da quello che rimane tira fuori il massimo


Neppure io voglio aprire una discussione infinita su questo annoso problema. Ovviamente il tuo argomento è assai condivisibile, penso che tuttavia, ci sia anche la doverosità di non eseguirlo affatto, se il lavoro abbisogna di tagli e adattamenti vertiginosi. :wink: Però da quel che si sente ora in radio, l'esecuzione integrale non sarebbe certo proibitiva. Infine sottolineerei l'eccezionalità del Tell: è opera che non entrerà mai in repertorio, varrebbe la pena quindi, aspettare di avere tutti gli ingredienti giusti per fare una torta perfetta!
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Messaggioda PQYD » mer 28 nov 2007, 22:53

teo.emme ha scritto:Infine sottolineerei l'eccezionalità del Tell: è opera che non entrerà mai in repertorio, varrebbe la pena quindi, aspettare di avere tutti gli ingredienti giusti per fare una torta perfetta!


Questo è indubbio... lo stesso Bruno Cagli ha ammesso pubblicamente di avere penato non poco per mettere insieme un cast decente (e secondo me non c'è nemmeno riuscito fino in fondo, ma vabbè).
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Messaggioda MatMarazzi » gio 29 nov 2007, 11:51

teo.emme ha scritto:Ovviamente il tuo argomento è assai condivisibile, penso che tuttavia, ci sia anche la doverosità di non eseguirlo affatto, se il lavoro abbisogna di tagli e adattamenti vertiginosi. !


Pur senza trasformare questa frase in assunto universale (e lasciandolo a livello di convenzione esecutiva del presente) sono d'accordo con te.
La sfida è proprio quella di arrivare a rappresentare un'opera realizzando ogni singolo segno di uno spartito e sforzandosi di ragionarci sopra, per renderlo vivo.
Tagliarlo è troppo comodo.

I tagli al Tell sono stati censurabili, per tutte le ragioni che tu, Beckmesser e altri avete addotto. In particolare, se uno si adatta a venir da Ferrara per sentire un'opera in forma di concerto (che è in tutti i casi una violenza, visto che si tratta di genere teatrale) è perché spera di potersi concentrare sulla musica, tutta, evitando quelle manipolazioni che certa pratica teatrale tende ad autorizzare.

Peccato.
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Sono d'accordo con Matteo.

Messaggioda Maurizio Dania » sab 01 dic 2007, 1:24

Dovrei ripetere ciò che ho scritto altrove. Invece non cambierei una virgola del brano "postato"dal "cinghialone". (Essendo a Roma, anche Peruzzi aveva quel soprannome e non si preoccupava). E aggiungo, prima che lo pensi lui:"Senti chi parla. La silfide grassona...". Ok basta con gli scherzi e le battute.
L'unico punto sul quale potremmo discutere riguarda la direzione di Pappano. Che dire? E' molto italiana: stacca tempi velocissimi, nella cabaletta finale ad esempio, impiccando, come poi si è verificato puntualmente nell'ultima serata che ho ascoltato alla radio, il povero Osborn, tenore troppo giovane ed entusiasta per capire che se il grande Gedda, in teatro, cantò solo una recita per poi abbandonare subito e rapidamente le "riprese", (dovevano essere 5), una ragione doveva pur esserci.
Ciò che mi colpisce però, non è stato l'incidente, chiamiamolo così, nel quale è incorso, ma è lo stesso argomento che m'impone il ragionamento sulla carriera e sul repertorio, che riguarda anche Meli.
Entrambi devono capire e scegliere quale sia il loro repertorio. Osborn ancora non lo sa. E prima lo sceglierà, prima potrebbe percorrere, (è un suggerimento), migliorando, con una potenzialità tecnica ed una bellezza del timbro superiori, ad esempio, la carriera che è stata ed è quella di Kunde.
Il tenore parte da Berlioz, Les Troyens, sfiora il conte d'Almaviva, passa per Mozart nel Flauto magico, poi eccolo nel Così fan tutte, nel Ratto del Serraglio, poi si rivolge al Rossini della Cenerentola, del Turco in Italia, de' La donna del lago, quindi Gianni Schicchi, l'Elisir d'amore, con esiti buoni, ma che non fanno gridare al miracolo. Nel 2008 tornerà al Conte d'Almaviva, previsto a Dresda e al Met.
Per ora si è tenuto lontano dai principali teatri europei. L'esordio avvenne nel 1994.
Da quel che si può sapere il 2008 sarà un anno importante: a Cleveland farà Tonio, a New York canterà nel Barbiere e nel Don Giovanni. Inizierà a frequentare l'Opera di Vienna.
Però anche se il suo timbro appaga certamente maggiormente il gusto italiano, la sua emissione ha colorature latine che si addicono al gusto nazionale tendenzialmente favorevole e più allenato alle vocalità calde, intense, liriche, quasi da lirico spinto, o bari-tenorili, Osborn è un tenore lirico con venature contraltine. Il suo appoggio sul diaframma è ben costruito, il passaggio di registro appare naturale, ma è una conquista tecnica, l'acuto è importante, ma non lucente, svettante, saettante.
Rossini cucì a misura di Nourrit, la parte di Arnoldo e credo che il nostro protagonista romano ha certamente tentato di seguire ciò che Merrit, cioè colui che più si è avvicinato al modello originale (che poi nessuno ha mai ascoltato dal vivo), aveva presentato a Verona più che non a Milano con Muti, perdendo il confronto, proprio perchè essendo un lirico, quasi contraltino, gonfiando i centri e forzando sul diaframma, ha finito per essere quella famosa rana che bevendo, bevendo....
Ciò non toglie che egli abbia delle grandi potenzialità. Non quelle di Filippeschi, neppure quelle di Lauri-Volpi che non eseguì mai la cabaletta del 4° atto, ma ha più stile di entrambi. E questa è una dote naturale.
A lui tocca l'onere di scegliere il repertorio nel quale cimentarsi. Altrimenti anzichè sedersi ogni giorno davanti ad uno spartito, scoprirà che la musica lì scritta, è sempre più avanti rispetto al lui.
Osborn ha le qualità per raggiungerla, ogni tanto, come fanno i grandi interpreti.
Roma, 24 novembre 2007
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Messaggioda Riccardo » lun 03 dic 2007, 22:54

Dopo un po' di tempo di assenza forzata e l'imperdonabile assenza al ritrovo ferrarese, bisogna che scriva due parole su questo Tell!

E' stato, come forse era prevedibile nonostante non l'avessi ancora mai sentito dal vivo, il trionfo assoluto di Pappano. L'orchestra era in grande spolvero (concordo con Matteo sul fatto che sia probabilmente la migliore italiana) e la direzione semplicemente trascinante. Curata nel minimo dettaglio, effettistica nel migliore dei sensi, ombreggiata e spumeggiante.

Va bene, Matt, non sarà stata originale. Io non conosco abbastanza la tradizione esecutiva di quest'opera per poterlo percepire. Però, caspita, questo è un tipo di direzione di quelle che piacciono a me.
L'ho trovato davvero straordinario, meritava senza dubbio la trasferta solo la parte musicale.

La parte vocale è stata mediocre. In primis Pertusi, sempre limitato nella resa espressiva dei suoi ruoli nonostante ci metta tutto l'impegno (e questo è terribile). Se contiamo che ora lo stesso mezzo vocale inizia ad appannarsi (se la zona grave mai gli è stata congeniale, ora è quasi sorda), il bilancio non è felice.
Un po' meglio ha fatto la sera successiva come Faraone nel Mosè in Egitto, ma questa è un'altra opera.

Mercoledì sera Osborne (lo sa chi ha sentito la diretta) è tristemente inciampato nel re bemolle della chiusa della cabaletta, ma non è stato questo piccolo errore a compromettere una lettura non rivelatrice fin dall'inizio. Bella voce omogenea, ma l'interprete latitava.

Concordo anche sull'Amsellem...

Meritava davvero ascoltare solo l'orchestra :D
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » lun 07 lug 2014, 17:21

Il Guillaume Tell andato in scena, nuova produzione, alla Staatsoper di Monaco di Baviera è la dimostrazione che un Dramaturg, per quanto bravo, da solo non riesce a garantire la riuscita di uno spettacolo se non supportato da un vero lavoro registico.
L´idea drammaturgica di fondo di Rainer Karlitschekera era non solo bella, ma perfettamente plausibile. Guillaume è un violento manipolatore delle coscienze, la vera sorgente di malessere nella comunità svizzera. Egli è pronto addirittura ad assassinare il rappresentante della sua comunità, Melchtal, per trasformare quel tontolone di Arnold in un Full Metal Jacket spinto dal desiderio di vendetta. Guillaume, fanatico irrazionale e violento che antepone il bene della collettività da lui sognata al bene degli individui che compongono tale collettività, accetta quella che viene presentata come una mera provocazione da parte di Gessler, costringendosi nella condizione di potenziale uccisore del proprio figlio: per un attimo vorrebbe evitare la sfida ma Jemmy, da lui stesso educato alla violenza, lo incita al folle atto. Guillaume fa partire il colpo. Buio in sala. Alla ripresa dello spettacolo, Jemmy giace ancora inginocchiato, ma presenta una vistosa ferita d´arma in fronte: il colpo di Tell lo ha davvero colpito? Oppure Jemmy è salvo, ma egli stesso (così come Guillaume e ogni altro personaggio) porta su di sé i traumi di quella terribile possibilità: un padre che si pone nelle condizioni di poter uccidere il figlio? L´interpretazione resta aperta. In una pantomima che si svolge sulla musica dell´ouverture (spostata quale introduzione alla seconda parte, l´opera viene infatti fatta incominciare con il coro “Quel jour serein le ciel présage!”), emergono i fantasmi del bambino (i Krampus, diavoli tipici delle regioni del Tirolo e di certe zone della Svizzera) e i fantasmi della comunità svizzera (la violenza di un regime dittatoriale che porta con sé morte, sopruso e violenza).
L´interpretazione, come peraltro espresso molto bene nel programma di sala, è plausibile e coerente. Ma ciò che in teoria potrebbe funzionare affonda miseramente in una realizzazione registica (Antú Romero Nunes) dalla goffaggine estrema. Il lavoro sulla gestualità e le espressioni è infatti completamente assente, e in questo vuoto di impostazione complessiva ognuno fa quel che può (o vuole): Volle gigioneggia, Hymel si muove come un vigile urbano, la Rebeka si atteggia a gran dama, il coro sta fermo a fare il coro. Desolante. A questo si aggiunga un apparato scenico che sembra ideato per alimentare la noia: una serie di tubi di aspetto metallico e di dubbio significato (canne di arma da fuoco? canne d´organo?) sospesi sopra i personaggi con varie inclinazioni ad illustrare i vari momenti dell´azione. Dal punto di vista musicale la serata è stata affossata dalla direzione imprecisa e pesante di Dan Ettinger, responsabile di diversi scollamenti tra buca e palcoscenico. Volle affronta la parte di Guillaume con un´impostazione declamatoria la cui violenza potrebbe in teoria sposarsi bene alla caratterizzazione del protagonista, ma che di fatto si traduce in un canto ruvido, forzato, urlato. Hymel ha di Arnold tutte le note, ma nessuna idea delle peculiarità e complessità del ruolo. La Rebeka canta benino, ma è piuttosto anonima e priva di colori. Parti di fianco discrete e coro molto impreciso e grossolano.
Un´ultima considerazione. Il Tell è un´opera estremamente peculiare, nella sua contaminazione formale continua tra elementi dell´opera francese (che di qui a poco rinascerà come Grand Opera) e opera italiana. Non solo. Il Guillaume Tell di Rossini resta, per molti aspetti, un´opera “aperta”: è noto che Rossini tagliò e modificò alcuni brani anche a ridosso della sua prima esecuzione, e a tutt´oggi – con la notevole eccezione di una ripresa integrale data a Bad Wildbad lo scorso anno – è prassi abituale eseguire quest´opera con tagli o aggiustamenti vari. Di conseguenza appare plausibile e lecita, almeno in teoria, la scelta di eliminare tutto ciò che in quest´opera sa troppo di folkloristico (le danze, i Ranz des Vaches, persino i cori dei rappresentanti dei tre Cantoni…) o di spostare l´ouverture all´inizio della seconda parte. Ma questa scelta così radicale rischia di sfigurare la fisionomia quest´opera, in cui la forma tende a farsi contenuto: la Svizzera del Guillaume Tell non dovrebbe dare l´impressione di essere la terra della cioccolata e degli orologi a cucù. Per questo l´eliminazione dell´elemento “svizzero” non è indolore, così come la distruzione della suddivisione in più atti. Personalmente concedo ad ogni regista il beneficio del dubbio, e non mi sentirei di bocciare a priori scelte “estreme” come queste. Ma se queste scelte non si traducono in un vero lavoro drammaturgico che risolva o illumini alcuni snodi fondamentali dell´opera, allora ciò che si perde è infinitamente più di quanto non si guadagni.





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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mar 08 lug 2014, 10:28

DottorMalatesta ha scritto:Il Guillaume Tell di Rossini resta, per molti aspetti, un´opera “aperta”: è noto che Rossini tagliò e modificò alcuni brani anche a ridosso della sua prima esecuzione, e a tutt´oggi – con la notevole eccezione di una ripresa integrale data a Bad Wildbad lo scorso anno – è prassi abituale eseguire quest´opera con tagli o aggiustamenti vari. Di conseguenza appare plausibile e lecita, almeno in teoria, la scelta di eliminare tutto ciò che in quest´opera sa troppo di folkloristico (le danze, i Ranz des Vaches, persino i cori dei rappresentanti dei tre Cantoni…) o di spostare l´ouverture all´inizio della seconda parte.

No. Non è affatto plausibile e lecita. Anzi, è una scelta di comodo e rivelatrice di assenza di idee, capacità e intelligenza: se non si riesce a cogliere la drammaturgia del Tell senza sfigurarlo e senza sovrapporlo una discutibile elucubrazione (che fa a pugni con la musica e con il senso profondo dell'opera) allora il drammaturg e il regista hanno sbagliato mestiere... Danze, cori, balli...non sono folklore, ma è il fondamento dell'opera in cui il legame con la terra e la natura è irrinunciabile: chi lo elimina non ha capito nulla.
Scusami la durezza, ma la tua affermazione circa il Tell come "opera aperta" è inaccettabile: il Tell è perfettamente compiuto, ma - come da prassi dell'autore e dell'epoca - venne aggiustato nel passaggio dalla Francia al resto d'Europa (dove il genere del grand opéra non era ugualmente diffuso). Sfogliando l'edizione critica si comprende perfettamente il modus operandi di Rossini (che revisionò l'opera in modo molto meno radicale di quanto Wagner fece con l'Olandese nel scorso di 30 anni di vita, o Puccini con la sua Manon...eppure nessuno si sognerebbe di definire Manon Lescaut o L'Olandese volante come "opere aperte"). L'autore durante le prove aggiusta alcuni brani di recitativo, taglia un numero di danze e l'aria di Jemmy. Riduce il quarto atto solo ai fini della rappresentazione - infatti non elimina preghiera e terzetto dalla partitura - poi i successivi cambiamenti (tagli, riduzioni, esecuzione degli atti separati), non sono certo riconducibili a Rossini, ma ad una cattiva pratica del tempo (stigmatizzata dallo stesso compositore). Suddividere l'opera in due atti, spostare l'ouverture prima della seconda parte, interrompere scene a metà, rimontare la musica...è segno di profonda ignoranza e arbitrio non giustificabile.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mar 08 lug 2014, 10:48

Stranamente, sono d'accordo con teo.emme. Le notizie arrivate di quel Tell e la lettura del pezzo del Doctor mi hanno confermato il mio parere sulla produzione di Monaco che, sulla carta (bisognerebbe comunque vederla) è quello di Fantozzi sulla Corazzata Potiomkin.
Rileggendo il thread, trovo bizzarro che si continui a parlare del Tell come di un'opera "rara", da festival, che si dà poco. Al contrario, in questi anni la si è vista (o ascoltata) moltissimo e dappertutto. Per quel che mi riguarda, dal '10 in poi a Roma, Amsterdam, Bad Wildbad, Pesaro, Torino. E prossimamente Bologna e nella stagione entrante Londra con Pappano-Michieletto-Finley. Vero è che io ho una venerazione per il Tell, quindi forse non faccio testo.
In questa Tell-renaissance c'è un aspetto interessante, che magari si inserisce nel più generale risveglio d'interesse per il Grand Opéra. Non avviene NONOSTANTE, ma GRAZIE (o almeno senza che ponga problemi) l'aspetto più squisitamente grandopéristico, quindi balletti, cori, pezzi di carattere e via divagando.
Lo so che a molti la produzione di Vick non è piaciuta. A me sì, moltissimo, e anche perché risolveva con grandissima abilità il problema drammaturgico di queste parte che sembravano (oggi l'uso del passato è obbligatorio) puramente ornamentali.
Adesso, a mio modo di vedere, bisognerebbe fare un passo in più recuperando gli altri due Grand Opéra di Rossini. Per carità: hanno già avuto le loro brave edizioni critiche e alcune esecuzioni anche importanti, ma Moise e soprattutto Siège non sono rientrati stabilmente in repertorio. Un piccolo sforzo di fantasia da parte delle direzioni artistiche sarebbe benvenuto.
Ciao miao bao

AM

PS. naturalmente, questo nulla ha a che vedere con il feticcio assurdo dell'esecuzione assolutamente integrale. Come ci ha insegnato Gosset, ogni esecuzione fa storia a sé. Quindi, SE CI SONO RAGIONI VALIDE, non mi scandalizza qualche taglietto o anche taglione. Ma quelli descritti dal Dottor angelico non sono tagli, sono un macello...
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 08 lug 2014, 10:59

Matteo, io ho anche scritto che “questa scelta così radicale rischia di sfigurare la fisionomia quest´opera, in cui la forma tende a farsi contenuto: la Svizzera del Guillaume Tell non dovrebbe dare l´impressione di essere la terra della cioccolata e degli orologi a cucù. Per questo l´eliminazione dell´elemento “svizzero” non è indolore, così come la distruzione della suddivisione in più atti.” È indubbio che l´elemento “naturale” sia essenziale. La libertà che ri-discende dal cielo è la restaurazione di un ordine primigenio andato perduto (in questo si spiega la scelta da parte di Rossini di un testo così incentrato sulla ribellione di un popolo contro il dominatore). Al contempo sono convinto che si possa anche cercare di approfondire alcuni altri aspetti presenti nell´opera (e l´idea di Guillaume Tell come “manipolatore delle coscienze” non mi sembra da rigettare a priori: pensa al terzetto con Walter e Arnold…).
Poi, lo sappiamo, partiamo da due punti di vista molto diversi. Io sono molto più “possibilista” :mrgreen: : quello che a me importa è essenzialmente il risultato. Machiavellicamente, per me il fine giustifica i mezzi. Ma se, come in questo Tell monacense, il risultato è un papocchio e per giunta mi hanno tagliato un´ora di musica, l´incazzatura nei confronti dei responsabili di questa mutilazione è enorme ed incontenibile...
: Andry :
Tu metti al centro il rispetto dell´opera. Io metto al centro la realizzazione dell´opera nel suo complesso (testo musicale, canto, drammaturgia, scenografia, regia, coreografia). Per me l´opera è essenzialmente “performing art”: vive nella pratica, e solamente in essa. Roland Barthes diceva: "The Text is experienced only in an activity of production". Rispetto profondamente il tuo punto di vista: è giustificato, motivato, e mi è essenziale per evitare di cadere in un fondamentalismo dogmatico.
Non vogliamo chiamare il Tell “opera aperta”? Mi sta bene. Chiamiamola “opera fluida” o come vuoi. Resta il fatto che penso non esistano due incisioni o esecuzioni di quest´opera che combacino alla perfezione. Pensa a quanto viene (o non viene) eseguito del quarto atto. Pensa a quante volte non si fa cantare Arnold in conclusione dell´aria di Mathilde “Pour notre amour plus d'espérance”. A Monaco hanno deciso, sulla base dell´idea drammaturgica di base, di ripristinare l´aria di Jemmy, espunta da Rossini prima della prima. Plausibile? Lecito? Dipende da cosa si mette al centro. Certo, si potrebbe considerare “definitiva” tutta la musica (e solo quella) rappresentata il 3 agosto 1829. Ma quello che divenne definitivo il 3 agosto non lo era il giorno prima, e non lo sarà dopo. Una ripresa a Bologna venne suddivisa in tre atti (così si spiega la celebre affermazione di Donizetti per cui il primo e il terzo atto li aveva composti Rossini e il secondo Dio): era prassi abituale per un teatro considerato come cosa viva, in cui si tagliava, si aggiustava si puntava etc etc. La fossilizzazione dell´opera d´arte è concetto moderno, che allora sarebbe stato inconcepibile. Un atteggiamento moderatamente “disinvolto” nei confronti di queste opere non mi sembra vada rigettato a priori come un attacco di lesa maestà alla sacralità dell´opera. Se Rossini avesse saputo che il suo Tell sarebbe stato considerato un pezzo di museo da custodire immutato nel corso dei secoli probabilmente si sarebbe fatto quattro grasse risate. Che poi il Tell di Monaco sia stato un fallimento, anzi - per dirla con mattioli - un autentico macello, su questo proprio non ci piove.

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P.S.: comunque sono curioso di vedere il Tell di Vick in autunno a Bologna...
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mar 08 lug 2014, 11:03

La libertà che ri-discende dal cielo è la restaurazione di un ordine primigenio andato perduto (in questo si spiega la scelta da parte di Rossini di un testo così incentrato sulla ribellione di un popolo contro il dominatore).


Bravo. Qui sta il nocciolo della regia di Vick. Come vedrai a Bologna.
Che poi Vick non sia, tecnicamente, un grandissimo regista è altrettanto vero...
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mar 08 lug 2014, 12:17

DottorMalatesta ha scritto: È indubbio che l´elemento “naturale” sia essenziale. La libertà che ri-discende dal cielo è la restaurazione di un ordine primigenio andato perduto (in questo si spiega la scelta da parte di Rossini di un testo così incentrato sulla ribellione di un popolo contro il dominatore). Al contempo sono convinto che si possa anche cercare di approfondire alcuni altri aspetti presenti nell´opera (e l´idea di Guillaume Tell come “manipolatore delle coscienze” non mi sembra da rigettare a priori: pensa al terzetto con Walter e Arnold…).

Irrinunciabilità dell'elemento naturale non significa però riduzione dello stesso a colore locale, a una Svizzera oleografica da orologi a cucù e altri luoghi comuni. Significa presenza di un elemento con cui la musica fa i conti e ci fa i conti l'idealità che la supporta: la Natura come simbolo di un ordine precostituito e razionalmente perfetto, la natura del mito dell'età dell'oro rivista in senso illuminista (da Rousseau a Kant a Goethe), la natura come legame con la terra e la sua identità senza sfociare nei nazionalismi della successiva epoca romantica, la natura che è la rappresentazione della profonda razionalità del mondo in senso universalista. E di conseguenza il termine rivoluzione è utilizzato secondo il suo significato astronomico, ossia di ritorno ad una situazione precedente (in questo senso è sempre stato utilizzato il termine: si pensi alla rivoluzione inglese del XVII secolo o alle rivolte degli anabattisti nei territori tedeschi del secolo precedente, laddove negli intenti dei suoi artefici non era certo lo scardinamento di un sistema per l'instaurazione di un nuovo ordine, ma il ripristino di uno stato di armonia primigenio). Senza la presenza del concetto di natura (in senso metafisico e razionale) non si comprende questa ribellione contro chi ha stravolto e scardinato tale ordine (Vick - pur realizzandolo maldestramente secondo me - il problema se l'è posto almeno). In questo senso trasformare Guglielmo in una specie di rivoluzionario nichilista e manipolatore che per ideologia è pronto a sacrificare la vita del singolo pur di raggiungere il bene collettivo di un nuovo ordine (come i rivoluzionari dilettanti dei Demoni di Dostoevskij) è totalmente sbagliato e fuorviante perché scardina completamente il senso dell'opera e della musica che lo incarna. Aldilà delle diverse opinioni sul lavoro del regista e sulle sue libertà credo che tutti conveniamo sul fatto che l'opera rappresentata non possa essere un canovaccio o un'occasione per parlare d'altro.
DottorMalatesta ha scritto:Non vogliamo chiamare il Tell “opera aperta”? Mi sta bene. Chiamiamola “opera fluida” o come vuoi. Resta il fatto che penso non esistano due incisioni o esecuzioni di quest´opera che combacino alla perfezione. Pensa a quanto viene (o non viene) eseguito del quarto atto. Pensa a quante volte non si fa cantare Arnold in conclusione dell´aria di Mathilde “Pour notre amour plus d'espérance”. A Monaco hanno deciso, sulla base dell´idea drammaturgica di base, di ripristinare l´aria di Jemmy, espunta da Rossini prima della prima. Plausibile? Lecito? Dipende da cosa si mette al centro. Certo, si potrebbe considerare “definitiva” tutta la musica (e solo quella) rappresentata il 3 agosto 1829. Ma quello che divenne definitivo il 3 agosto non lo era il giorno prima

Non sono d'accordo neppure su questa definizione: perché confonde prassi e circostanze con compiutezza o meno. Non è questione di definitività della musica, ma di completezza di un testo. Il Tell è compiuto e completo. Nella sua esistenza ha dovuto fare i conti con la prassi dell'epoca e con il passaggio da grand opèra a opera italiana. Con tutte le conseguenze del caso. Ma se chiami opera aperta o fluida o incompiuta o possibilista il Tell (che, ripeto, ha subito pochissime revisioni, basta guardare l'edizione critica), che dire della Buttefly, della Manon, del Tannhauser, dell'Olandese?

Ps: rettifico quanto scritto nel 2007 circa la rarità dell'opera e concordo con Mattioli. Oggi il Tell è frequentemente messo in scena. A mia discolpa dico che allora (sette anni fa...come passa il tempo!) non era immaginabile una tale rinascita...

Pps: sull'integralità, però, continuo a pensarla come allora.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 08 lug 2014, 14:09

teo.emme ha scritto: il termine rivoluzione è utilizzato secondo il suo significato astronomico, ossia di ritorno ad una situazione precedente...


Il tuo commento sul significato della Natura nel Tell è molto bello e molto condivisibile. : Thumbup :

Per quanto mi riguarda, comunque, non uscirei volentieri a cena con Guillaume Tell né gli affiderei la gestione di un asilo d’infanzia. :mrgreen:

Capisco quello che vuoi dire. Faccio tuttavia enorme fatica a concepire l’idea di “compiutezza” riferita non ad un romanzo, ad un dipinto, o ad una statua, ma ad un’opera concepita per il teatro. Non che non si possa accettare l’idea di un brano teatrale come “cosa in sé”, oggetto di studio per quello che essa rappresenta anche svincolata dalla rappresentazione, quasi fosse un romanzo. In fin dei conti è questa la prospettiva della filologia musicale che, pur perfettamente consapevole dei vari “strati” sotto cui si nasconde l’opera, alla fine cerca di definire – quasi in un processo da scavo archeologico - la natura “definitiva” del testo musicale, considerato come un’entità immobile, come un “fossile” (e, bada bene, non uso il termine “fossile” in modo peggiorativo; sarebbe invece a mio parere deteriore considerare un testo come una santa reliquia, dandone quindi una connotazione sacrale anziché storica e documentaristica). In questa prospettiva esiste il Guillaume Tell “definitivo”, così come esistono il Rigoletto, il Ballo in Maschera, il Tannhauser, o il Parsifal “definitivi”.
Se però si considera l’opera non come “cosa in sé”, ma come oggetto in continua relazione con la rappresentazione, ne consegue che la “fluidità” è parte intrinseca dell’opera stessa. E il concetto di “definitivo” si attenua, pur senza scomparire. Non esiste più in termini assoluti, ma solo relativi. Non c’è più il “definitivo”, ma c’è il “più” o “meno” definitivo. Cos’è più definitivo, in una prospettiva teatrale, il Rigoletto frutto delle costrizioni della censura, o un Rigoletto virtuale ambientato nella Francia di Francesco I? Cos’è più definitivo, il Ballo in maschera ambientato nella Boston di fine Settecento o nella Svezia di Gustavo III? Quale Guillame Tell è “più definitivo”? Quello del 2 o quello del 3 agosto 1829? Quale Tannhauser è quello “definitivo”? Quello di Dresda del 1845 o quello di Parigi del 1861? Ma se lo stesso Wagner, pochi mesi prima di morire, disse che il mondo gli era ancora debitore del Tannhauser! Quale Olandese? Quello di Dresda del 1843, quello di Zurigo del 52, quello di Parigi del 60?
Il concetto di “definitivo” ha senso in una prospettiva “testuale”, diventa fluido in una prospettiva di pratica teatrale.
La fluidità dell’opera intesa come “testo per il teatro” (e non come “testo in sé”) dipende da una molteplicità di fattori che dipendono dalla prassi esecutiva, dalle sue convenzioni, dalle sue limitazioni, dalla recezione del pubblico, dal grado di valutazione di “definitività” datane dalll’autore, etc. E’ questa fluidità, insieme con la polisemanticità propria di ogni forma artistica, a rappresentare il presupposto per ogni interpretazione o reinterpretazione registica. Interpretazione che, inevitabilmente, si deve porre in rapporto (al limite anche antitetico) con l’opera stessa.

Che dite?

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mar 08 lug 2014, 14:50

Scendendo dalla filosofia malatestiana alla cucina teatrale, credo che l'importante sia di avere a disposizione e conoscere TUTTI i materiali esistenti del testo: nel caso, TUTTE le musiche scritte da Rossini per il Guglielmo Tell. Poi, in funzione di QUALE esecuzione si vuole realizzare (tenendo conto delle disponibilità degli esecutori e del pubblico, del progetto interpretativo, delle usanze locali, della partenza dell'ultima corsa del metro, insomma di tutto), scegliere fra le differenti versioni. Evitando possibilmente i pasticci, cioè utilizzare materiali di differenti versioni della stessa opera; e tenendo ben presente che la convenzione fra esecutore e ascoltatore ha dei limiti, che variano con il tempo ma restano pur sempre tali. E' per questo che mi sembra inaccettabile lo spostamento della sinfonia del Tell a metà opera.
Poi ogni serata fa storia a sé.

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda teo.emme » mar 08 lug 2014, 16:36

Sono ancora d'accordo con Mattioli (incredibile a dirsi...): ci sono dei limiti che restano invalicabili, pur nel concepire la vita teatrale di un'opera come cosa diversa dalla sue esistenza compiuta e racchiusa in una partitura. Il rapporto tra opera e pubblico è sottoposto - come ogni cosa - al variare del tempo, delle convenzioni, della sensibilità dell'ascoltatore, della funzione del testo, della sua fruizione e delle circostanze storiche e culturali in cui una data rappresentazione ha luogo (si pensi alle esecuzioni di Furtwaengler prima, durante e dopo il secondo conflitto mondiale e la disfatta del Reich). Non mi pare corretto legittimare un uso così disinvolto di un testo in sé compiuto, attraverso precedenti storici che si riferiscono a tutt'altra prassi e che convivono con tutt'altro sistema. Bisogna storicizzare anche questi interventi e non applicare (stravolgendola) una prassi legata ad un certo mondo per giustificare un intervento con finalità completamente differenti. Il Guillaume Tell ha subito il trattamento consueto dell'epoca: gli interventi sul testo sono stati effettuati secondo linee ben definite e corrispondenti ad esigenze storiche ben precise. Da una parte la consueta opera di revisione ed alleggerimento in vista della rappresentazione teatrale in due momenti: durante le prove (per l'emergenza di difficoltà esecutive difficili da superare o per vincoli extra musicali: la durata dello spettacolo ad esempio) e successivamente alla prima ad opera degli interpreti e delle loro esigenze (capricci divistici compresi). Dall'altra la necessità di adattare il titolo per i teatri del resto d'Europa (Italia compresa), trasformando il grand opéra in melodramma (pur dilatato): quindi tradotto in italiano, privato dei ballabili, ricondotto - nelle forme - alle convenzioni di genere (in questo senso vanno letti certi tagli, la riorganizzazione nei tre atti tipici del genere melodrammatico e il finale ultimo nella versione italiana del '36 in cui dopo il grandioso corale originale Rossini aggiunge una stretta riciclando il galop dell'ouverture). Sono tutti aggiustamenti, dunque, che non scardinano la struttura dell'opera, ma si inseriscono in una normali pratica teatrale. E alcuni di essi sono di mano autoriale. L'importante - come dice giustamente Mattioli - è non fare un pasticcio di versioni diverse: vale per il Tell, ma anche per Tannhauser, Boris, Don Carlo, Olandese...nessuno dice che c'è una versione giusta, ma sicuramente ci sono quelle sbagliate. E trovo sia sbagliato, sbagliatissimo forzare la drammaturgia e trasformare il Tell in qualcosa di diverso. La vedo come la sconfitta innanzitutto del regista/dramaturg che non essendo in grado di fare il suo lavoro valorizzando il testo e il meta testo, percorre la strada più facile e banale dello stravolgimento puro e semplice o della sovrapposizione delle proprie idee al posto di quelle dell'opera.
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » mar 08 lug 2014, 16:46

Sono ancora d'accordo con Mattioli (incredibile a dirsi...)


In questo caso non condivido il mio pensiero... :lol:
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