da vivelaboheme » mar 18 dic 2012, 21:17
Ho assistito alle prime due rappresentazioni di Macbeth di Verdi, a Verona, con direzione di Omer Meir Wellber, coordinamento scenico di Stefano Trespidi e regia di Amerigo Daveri.
L'allestimento fa di necessità virtù, con un'operazione di teatro nel teatro non nuova, non tutta riuscita ma a mio avviso abbastanza efficace. E' spesso valido l'uso delle proiezioni (il primo piano di Banco insanguinato, i vecchi film su Macbeth, non chiarissime invece le "apparizioni"), e lo spettacolo ha una sua vivacità pur fra qualche caduta di tono un po' naif, soprattutto nell'uso degli oggetti da parte dei protagonisti (buona però, a mio avviso, l'idea di Lady Macbeth che versa il vino... a nessuno, dà l'idea della falsa gioia del banchetto)..
Omer Wellber esegue, a mio avviso, il Verdi oggi forse più "idiomatico" fra i direttori, italiani e non, presenti sulla piazza. Basterebbero, a dire del talento del giovane musicista israeliano, lo stacco impressionante di "Le sorelle vagabonde" o la travolgente, ma anche elegante lettura del concertato finale atto 1 (per me, il massimo dei grandi concertati verdiani, insuperato prima e dopo), o le danze stesse (coreografia criptica, pur ben eseguita dal corpo di ballo). Ma è da lodare anche la perfetta coscienza di come la musica "insegua" e disegni (quei famosi, ripetuti "lamenti") il personaggio della Lady. Gran direttore, Wellber: non teme di rilevare il "sordido" presente in Macbeth, non cede al vezzo pseudoculturale, oggi in voga, di "educare" la musica di Verdi in base al "verbo" presunto di alcuni padreterni. Per mio conto, Verdi non necessita di "educatori" musicali. E, fra i meriti di Wellber, in qyuesto Macbeth, da una compagnia di varia caratura, non si perde una parola e gli accenti sono musicalmente scolpiti. E' vera parola scenica.
Non mi riferisco alla recensione apparsa qui su OC, che non condivido ma rispetto. Molto meno rispetto l'abitudine di qualche critico di testata illustre di assistere a metà spettacolo, poi andarsene e pubblicare la recensione come avesse visto e ascoltato la rappresentazione per intero. Sul Macbeth di Andrzej Dobber si può discutere: le intenzioni ci sono tutte, la consapevolezza nella resa musicale e drammatica del personaggio anche, la parola ben scolpita pure. Deve tuttavia fare i conti con una voce usurata: bene alla prima rappresentrazione, alla seconda ha avuto un paio di "incidenti di viaggio" all'ultimo atto. Dove la recensione di uno spettacolo visto a metà rivela la sua inattendibilità è nell'ingenerosa, ma soprattutto approssimativa descrizione della prova di Susanna Branchini: bella voce, magnifica presenza, perfetta dizione, una fior di Lady! Efficacissima nell'aria e cabaletta d'apertura, non acrobatica ma puntuale nel brindisi (dove Wellber chiede e ottiene. meravigliosamente, il cambio d'espressione fra la prima enunciazione, festosa e frivola, e la seconda, rabbiosa e impaurita). E di "facilità" davvero non consueta nella grande aria del sonnambulismo, eseguita dalla cantante in platea per chi è rimasto in sala ad ascoltarla (fra l'altro, alla prima, dalla mia poltrona nr 2 di fila 3 ho avuto il tuffo al cuore, non consueto, di sentir intonare i l'inquietante "Una macchia è qui tutt'ora" dalla poltrona esattamente retrostante la mia, dove la Lady aveva preso posto! Abbastanza impressionante, vi assicuro!). Prova lampante della mancata presenza di chi avrebbe dovuto professionalmente assistere all'intero spettacolo è, poi, aver avallato come positiva la prova dell'elemento evidentemente debole del cast, il Macduff di sgradevole suono e accento del pur volenteroso Massimiliano Pisapia ("Ah, la paterna mano" non è certo stato un momento memorabile delle due rappresentazioni cui ho assistito). Valido invece il Banco di Roberto Tagliavini.
Non è un Macbeth perfetto: ci sono ingenuità sceniche, pur se, ripeto, l'allestimento alla fin fine a mio avviso funziona. La direzione di Wellber e la prova della Branchini ne elevano decisamente lo standard.
marco vizzardelli