Luisa Miller (Verdi)

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Messaggioda MatMarazzi » gio 04 ott 2007, 20:24

PQYD ha scritto:Tutto questo mettendo da parte il fatto che oggi parlare di "provincia" non ha più molto senso, dato che sono sempre i soliti nomi che girano... forse Alvarez non ha da poco cantato a Parigi e a Londra?


A parte che non è proprio vero che girino gli stessi nomi, anche il Filippeschi da me citato cantava in grandi teatri e incideva dischi.
Per "provincia" non intendo semplicemente il teatrino.
Provincia è il tipo di spettacolo.
E un appassionato d'opera dovrebbe essere in grado di distinguere gli spettacoli "provinciali", che siano a Parigi o a Parma.

Ti posso assicurare che non andrò a Parigi a vedere Vargas o La Scola. :)
Questa "robetta" purtroppo dimostra ciò che scrissi, alcuni mesi fa, su un editoriale del nosro sito: oggi l'opera italiana primo o medio ottocentesca non viene fatta bene.
Che vuoi che ti dica: pazienza!
Ti assicuro che la Luisa non mi dispiace e sono anche sicuro che oggi si potrebbe anche fare bene... ma se così non è vivo lo stesso.
Ogni epoca valorizza certe opere e certi autori... prendiamo quel che di buono può darci il nostro tempo, ed è tanto!
L'importante (scusa se mi ripeto) è non andare a Parma a vedere la Luisa Miller con Alverez! :)

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Messaggioda MatMarazzi » gio 04 ott 2007, 20:29

dottorcajus ha scritto:Purtroppo nonostante il Ballo o i Lombardi fiorentini si continua a pensare plausibile il fatto che un tenore appena leggero come Vargas canti anche nella Luisa.


Vedi Roberto, ne abbiamo già discusso.
Tu hai ragione nelle tue considerazioni "volumetriche" sul tipo di ruolo e sul tipo di voce.
Però io (e penso anche tu) sarei anche disposto a passare sul fatto che tenori "piccoli" cantino ruoli "grandi"...
Quello che davvero manca a La Scola, a Vargas, a Alvarez è la personalità.
E quello è (secondo me) il vero problema! SE anche cantassero ruoli giustissimi per loro io non andrei comunque a sentirli.

Mentre ...se avessi avuto la fortuna di sentire un Bonci in Ballo in Maschera o uno Schipa in Luisa Miller non mi sarei certo fatto scrupoli di volume.
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Messaggioda dottorcajus » gio 04 ott 2007, 21:41

MatMarazzi ha scritto:
dottorcajus ha scritto:Purtroppo nonostante il Ballo o i Lombardi fiorentini si continua a pensare plausibile il fatto che un tenore appena leggero come Vargas canti anche nella Luisa.


Vedi Roberto, ne abbiamo già discusso.
Tu hai ragione nelle tue considerazioni "volumetriche" sul tipo di ruolo e sul tipo di voce.
Però io (e penso anche tu) sarei anche disposto a passare sul fatto che tenori "piccoli" cantino ruoli "grandi"...
Quello che davvero manca a La Scola, a Vargas, a Alvarez è la personalità.
E quello è (secondo me) il vero problema! SE anche cantassero ruoli giustissimi per loro io non andrei comunque a sentirli.

Mentre ...se avessi avuto la fortuna di sentire un Bonci in Ballo in Maschera o uno Schipa in Luisa Miller non mi sarei certo fatto scrupoli di volume.
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Pensa che al mio amore per il passato remoto del disco ha contribuito anche il racconto di mia nonna che mi parlava del fratello Aristide, militare a Milano, che aveva visto Bonci alla Scala. All'epoca non sapevo chi fosse ma poi lo scoprii.
Comunque non sono uno attento al volume ma al rapporto voce/ruolo perchè, amando la creazione del ruolo attraverso il canto, ritengo che, salvo rare eccezioni, un cantante quando canta al limite finisce con l'impoverire il fraseggio e se a tutto questo aggiungi una personalità artistica mediocre come quella di Vargas le cose peggiorano
Rimanendo ad Alvarez da sempre era evidente che la sua cifra espressiva si stava consolidando nel "pavarottismo" ma sicuramente le sue interpretazioni di qualche anno fa contenevano una freschezza ed una comunicativa che potevano conquistare salvo poi stancarsene negli ascolti successivi.
Trovo però che la valutazione della personalità artistica di un cantante, valore assoluto del medesimo, sia un fattore estremamente soggettivo ma determinante per non rimanere un cantante e diventare un artista.
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Siete tutti troppo quotati perchè il mio modo....

Messaggioda Maurizio Dania » gio 04 ott 2007, 23:14

semplice di "sentire" l'opera e la musica in genere possa anche solo minimamente avvicinarsi alle certezze che animano queste discussioni. Altrove ho scritto ciò che pensavo di questa Miller ascoltata in diretta, vista in diretta e seguita con l'animo sereno, alla Soprano, tanto per permettermi una citazione.
Non ho nessuna voglia di entrare in polemica, nè di discutere ancora una volta di tecnica. Oppure di tradizione. Voglio dire che non posso andare a teatro con lo spartito in mano, perchè allora sarei una sintesi tra Celletti e il su citato Franco, smussando gli angoli e inasprendo un poco le dolci delicatezze che venivano servite dal critico romano, capace di cogliere gli aspetti teatrali, estetici, di un qualsiasi spettacolo, mai speculando sul colore, sul volume, sui paralleli con il passato, il presente ed il futuro che si può immaginare, agognare o semplicemente sognare. E non sarei un semplice attento innamorato della lirica, ma mi pagherebbero almeno la metà di ciò che il Sole invia mensilmente alla cara amica Moreni.
Sarei un professionista, Magari m'inventerei un ruolo, come ha fatto Isotta. Avrei il tempo per scrivere libri, metterei la mia sconfinata proprietà discografica a disposizione di me stesso e del mio ego, in senso lato, per farmi leggere dai quattro amici che per pietà acquisterebbero il testo, sul quale con spirito d'amicizia, passerebbero sopra ai peana favorevoli a Marcelo Alvarez, anche lui, come un altro tenore di nazionalità peruviana, osannato dal pubblico pagante, evidentemente sordo anche a Parma, come a New York, Milano, Vienna, Londra, Bologna, Lima, Las Palmas, Barcellona, Madrid, Berlino, ecc.ecc. Ah! Dimenticavo Tokio.
Anche a me piace leggermi, ma comincio a stancarmi pure di quest'esercizio mosso dall'amor proprio, che è un movimento del cuore, come si sa. O si dovrebbe sapere. Perchè? Perchè è un inutile svolgimento di un compito che ha un titolo, il nostro, una premessa, quasi sempre la stessa, uno svolgimento memorizzato ed una conclusione. Immancabilmente eguale: ah, a quei tempi, quelli si che sapevano cantare! Oppure: oggi si canta meglio di trent'anni fa'.
Come se tutto fosse immutabile. Fermo, statico, come il pensiero di una statua.
Ma come insegna Mozart nel Don giovanni, anche le statue hanno un'anima, stringono mani, esalano respiri, parlano, terrorizzano e uccidono.
Quindi concludo dicendo che il pensiero è vivo: vola velocissimo, più di quanto non sia rapido l'invio di una e-mail, e così cambia il gusto del pubblico, cambiano i contesti, mutano le situazioni critiche, come il modo di sentire, l'appagamento, la capacità di saper cogliere la finzione di uno spettacolo teatrale che tale resta e che ha interpreti diversi come diverso è il rapporto spazio-tempo, nel quale negoziano il mutato clima, con la staticità dello spartito.
In tutto questo stralunato ragionamento, Alvarez ha cantato benissimo, perchè ha raggiunto i cuori, i timpani, le orecchie, i sentimenti, la critica della ragione impura, forse, dei moderni ascoltatori. Impura, agli occhi dei puristi che son come i perfetti burocrati od i notai, custodi delle sacre verità, non solo giuridiche, che imprigionano le idee, i gusti, le personalità.
Elementi questi, in mano a costoro, pericolosissimi: per Isotta, Furtwangler era un genio, un monumento di cultura, un'icona della perfezione direttoriale ed umana. Poco importa che dirigesse una straordinaria IXa di Beethoven a pochi passi dallo stesso luogo in cui, pochi mesi prima, venivano bruciati libri e si rompevano specchi.
Qualcuno mi dirà che sto' farneticando: no, mi sto sfogando; alla Grillo, che non è Machiavelli, e neppure Benedetto Croce, ma che si prende la sana libertà di dire che il Re è nudo e che quindi può andare a quel paese, come lui stesso può essere mandato.
Ora, questa Luisa non sarà stata perfetta: a qualcuno avrà pure dato sui nervi, ma mi pongo una domanda: perchè continuare a farsi del male da soli, se non si riesce mai, dico mai a trovare una rappresentazione che piaccia, che dia soddisfazione, che appaghi. Meglio stare a casa.
Un tenore che sia osannato da un pubblico di esperti, viene considerato inconsistente e si inventano per lui terminologie negative, con riferimenti alla tecnica, ed alla storia del canto, come se avesse dovuto risolvere un'equazione di terzo grado. Come se il teatro e la storia della vocalità fossero teoremi matematici, dimostrati, la cui fondatezza è verità divina, neppure di fede.
Leggo cose strane e nella pochezza del mio non sapere, nella inconsistenza della mia conoscenza, mi sento in dovere di dire che non capisco.
Perchè il mio pensiero corre. E così domani vado ad ascoltarmi la Barcellona in un'opera barocca a Venezia; dopodomani mi immergerò in un bagno di suoni contemporanei; poi dopo aver ascoltato Veloso a Torino, ma anche la Argerich e pure Riccardo Muti dirigere da fuoriclasse, mi riempio l'anima con la musica di una semplice orchestrina di un bar in Piazza San Marco che oscenamente offre "O sole mio". Bevendo Prosecco. Pazienza. sopravviverò. Però permettetemi di scrivere queste sciocchezze ingenue, importandomene poco della tradizione.
Non è stata un'edizione storica della Luisa Miller, ma una bella edizione, perchè bello era il modo di ascoltarla da parte della stragrande maggioranza del pubblico. Bello l'approccio degli interpreti. Magari c'era un pubblico incompetente ma che mi ha regalato speranze che superano la musica e attraversano l'anima. Oltre quella porta alla fine dello spettacolo, sono uscite persone contente, ho visto volti sorridenti: questo mi basta. Era teatro. Finzione, gioco, divertimento, colori, musica: ben lontana da quella obbligata suonata o desiderata dai notai del Terzo Reich culturale. Per fortuna.
Grazie Marcelo, W Verdi.
Libertà va cercando ch'è si cara come sa chi per lei vita rifiuta
Maurizio Dania
 
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Messaggioda dottorcajus » ven 05 ott 2007, 1:38

Caro Maurizio non capisco il tuo post.
Che vuol dire che Alvarez ed il peruviano raggiungono i cuori di molte persone, che sono osannati nel mondo etc.etc.etc.
Nonostante ciò ambedue, con il loro modo di interpretare (non parlo di tecnica) con la loro poco originale personalità interpretativa, sono tediosi e non riescono ad aggiungere niente all'essere scontati. Se per il peruviano, visto il repertorio limitato in cui lo riesco ad immaginare, il rimpianto non è poi molto (nel suo repertorio ideale può sempre affascinarti da un punto di vista strettamente tecnico), per Alvarez, voce che potenzialmente poteva essermi molto più attraente, il rimpianto è tanto.
Purtroppo a Parma è solo la brutta copia del Marcelo londinese, non perfetto, sempre troppo scontato ma sicuramente più emozionante.
Tutto questo dopo vari ascolti, con riscontri oggettivi, senza alcun intento disfattista e senza alcuna citazione o confronto, con animo serenissimo e rimpiangendo gli anni in cui giravo molto più di adesso (il teatro mi manca terribilmente) ed ovviamente "secondo me".
Amo sicuramente l'opera più del cantante.
Un saluto
Roberto
Ultima modifica di dottorcajus il ven 05 ott 2007, 13:20, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda MatMarazzi » ven 05 ott 2007, 11:45

Caro Maurizio,
sono un po' in difficoltà a rispondere a questo tuo bel post, perché da un lato mi trovo d'accordo con quasi tutti gli altri del forum: non amo Alvarez.

L'ho visto tre volte: in una Lucie francese allo Chatelet (senza la Dessay, ahimè, sostituita dalla Ciofi), in una Lucrezia Borgia alla Scala e infine in un Ballo al Covent Garden. A quel punto non ho più avuto dubbi: quel tipo di canto così esteriore, limitato e prevedibile, quel sentimentalismo facile e vecchio, quel continuo accontentarsi di effetti semplici e superficiali ... non era per me.
Non dico che non possa piacere, dico che non era per me.

D'altro canto, molto di quello che hai scritto mi convince in astratto.
Ad esempio:

Maurizio Dania ha scritto:il mio modo.... semplice di "sentire" l'opera e la musica in genere possa anche solo minimamente avvicinarsi alle certezze che animano queste discussioni.


La parola "certezze" ahimè mi pare tristemente vera.
Il dogmatismo, la categorica distinzione fra "giusto" e "sbagliato" è l'espressione di una tendenza confortevole e rassicurante ma destinata alla stasi, alla cristallizzazione, al declino.

Perchè (scrivere di opera così) è un inutile svolgimento di un compito che ha un titolo, il nostro, una premessa, quasi sempre la stessa, uno svolgimento memorizzato ed una conclusione.


Anche questo è vero.
Senza la voglia di scoprire (anziché ricercare pervicacemente quel che già si è sentito), andare all'opera diventa un esercizio triste, amaro, giustamente destinato all'insoddisfazione.

Immancabilmente eguale: ah, a quei tempi, quelli si che sapevano cantare! Oppure: oggi si canta meglio di trent'anni fa'.
Come se tutto fosse immutabile. Fermo, statico, come il pensiero di una statua.
Ma come insegna Mozart nel Don giovanni, anche le statue hanno un'anima, stringono mani, esalano respiri, parlano, terrorizzano e uccidono.


Questa è una frase che io personalmente (dato il mio modo di vedere) incornicerei e appenderei sopra il letto! :)
Sono assolutamente d'accordo con te.
Non si cantava meglio trent'anni fa! Non si canta meglio oggi!
Ieri, l'altro-ieri, l'oggi, il domani, il dopo-domani non sono altro che una lungua catena (come, si è detto il altro thread, la storia di una lingua) di cui i cantanti, i suoni che emettono, le stesse opere (con le loro alterne fortune a seconda delle epoche), NOI STESSI con i nostri gusti, predilezioni, avversioni SIAMO PARTE.
E' proprio vero: le statue hanno un'anima.

Su altri concetti sono meno d'accordo.
Se è vero che Alvarez ha raccolto l'entusiasmo incondizionato di una grande parte del pubblico, questo - hai ragione - è un elemento che non si può trascurare.
Vuol dire che ha vinto la sua battaglia con la storia del canto e che i suoi suoni *sono* significanti.

Ma questo non obbliga tutti noi (presi singolarmente) ad amarlo.
Ognuno ha i suoi parametri, i suoi criteri di giudizio, le sue chiavi di lettura, le sue soglie di sensibilità ed è sacrosanto che le viva individualmente.
Il concetto di "pubblico" è una sintesi fra le visioni di tanti, infiniti individui.
Più questi ultimi difendono le loro singolari prospettive, più questa "sintesi", questa "media" si arricchisce.
Non dobbiamo commettere l'errore di scambiare il nostro punto di vista (prezioso e irripetibile) per quello del "pubblico" (come temo abbia fatto tu).

C'è poi un altro punto, nel tuo discorso, su cui gradirei tornare, perchè dissento in parte, ma non in tutto.

Ed è quello dell'approccio "semplice", "puro" a un determinato ascolto.
Ho scritto altrove che il neofita ha tanto da dire, perché le sue reazioni sono istintive, immediate e sincere.
Ma sono anche convinto che, come ogni forma d'arte, anche l'opera viva di convenzioni, suggerite dagli artisti stessi, selezionate dai fruitori, stratificate nel tempo, destinate (come tutto) a declinare e ad essere sostituite.
Queste convenzioni sono il "linguaggio" comune che artisti e pubblico condividono. Il fatto di conoscerle, di esserne parte, di usarle per formulare valutazioni non è un difetto.
L'avere nella mente i Rodolfo di Pertile, Schipa, ecc... ecc... non è un limite, è una ricchezza per l'ascoltatore.

D'altronde, mi pare che tu abbia ragione quando affermi che queste il rischio di queste "convenzioni" è di essere scambiate per "leggi".

Sto leggendo un giallo, in questi giorni, scritto da Lorenzo Arruga.
Sì, un giallo! :)
Si chiama "Suite Algerienne" (non chiedermi chi è l'assassino perché ancora non l'ho capito).

Bene, il poliziotto protagonista è un cultore di vecchissimi dischi: ha una grande collezione.
A un certo punto un autorevole direttore tedesco gli chiede di poter ascoltare uno dei suoi vecchi 78 giri: il "Mon coeur s'ouvre à ta voix" di una certa Mirable, una mitica diva francese evidentemente inventata.

Durante l'ascolto il direttore (per cui naturalmente le convenzioni del presente sono "legge" e quindi quelle del passato sono "errore") non fa altro che commentare e sbalordirsi di tutte le "devianze" di quell'interpretazione.
"Ma non si fa così, qui lega ma Saint-Saens non l'ha previsto; e poi ci mette troppo abbandono; senti queste note di petto, non si fa così... senti questo rubato, questo indugiare... se Saint-Saens avesse voluto questo l'avrebbe scritto: alla fine canta la musica che sarebbe del Tenore: dice lei "Sanson" mentre lo spartito dice che il tenore dovrebbe dire "Dalila"... così facendo, oltre a impossessarsi di musica non sua, taglia una nota, perché Sam-son sono due sillabe, mentre "Da-li-la" sono tre" ecc...."

Il poliziotto collezionista (abituato a delibare i suoi dischi, suono per suono, in religioso silenzio) commenta fra sé: "questo non sa ascoltare".
:-)

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Messaggioda dottorcajus » ven 05 ott 2007, 14:03

Citazione:
Perchè (scrivere di opera così) è un inutile svolgimento di un compito che ha un titolo, il nostro, una premessa, quasi sempre la stessa, uno svolgimento memorizzato ed una conclusione.


Quanto sarebbe bello poterne discutere a voce! Avrei molto di più da dire ma, scritti, i miei concetti diventano sconclusionati.

Mi limito ad un osservazione che deriva dall'idea che il giudizio è soggettivo e che, nel momento in cui viene formulato, esprime certezze assolute. Si può vivere la musica in maniera pura ed istintiva, goderne a pieno, ma al momento in cui dobbiamo giudicare allora perdiamo questa purezza perchè, più o meno istintivamente, ci riferiremo al nostro bagaglio culturale, musicale e no, e da quello attingeremo per verificare come l'artista, la musica, abbiano risposto alle nostre domande.


In teoria, Maurizio, hai ragione ma tutti noi cadiamo spesso in questo tranello, tu compreso quando, con la tua prosa delicata e sensibile, ci descrivi le qualità indiscusse ed indiscutibili di due tuoi preferiti (Florez/Caballè). In quel momento anche tu esprimi certezze e non vuoi che nessuno le metta in discussione. Questo atteggiamento, ripeto, è comune a molti e trovo che sia naturale e spiega benissimo perchè a ciascuno di noi piace o meno un cantante.
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Messaggioda beckmesser » ven 05 ott 2007, 14:40

A quel punto non ho più avuto dubbi: quel tipo di canto così esteriore, limitato e prevedibile, quel sentimentalismo facile e vecchio, quel continuo accontentarsi di effetti semplici e superficiali ... non era per me.
Non dico che non possa piacere, dico che non era per me.



E infatti questo tuo atteggiamento mi sembra assolutamente coerente. Capisco meno chi sa ormai benissimo come Alvarez canta e nondimeno lo va a sentire e poi si incavola perché canta come canta di solito. Lunedì alla Miller c’ero anch’io e confermo che lo trovo interprete di desolante banalità. Concordo meno sulle critiche al cantante: mi sembra uno di quei cantanti di buona emissione (più naturale che consapevole; un po’, facendo le debite proporzioni, alla Pavarotti, dato che il paragone è già stato fatto…). Lui, così come la Cedolins, non è certo il mio cantante ideale, ma credo che a teatro ci si possa andare senza necessariamente aspettarsi Lo Spettacolo Che Entra Nella Storia. Quella di Parma era, complessivamente, una discreta Luisa Miller a livello vocale e registico, che consentiva di passare una buona serata a teatro. Liberissimo ovviamente chiunque di non ritenerlo abbastanza per andare a vederla, ma declassarla a spettacolo miserando mi pare onestamente troppo… Il vero problema per mio conto era la direzione. Lì sì vuoto spinto di idee camuffato da drammaticità a buon mercato: tempi frenetici ai margini della brutalità. Per inciso, sono convinto che una parte dei problemi dei cantanti venisse proprio da questo: con una direzione così rumorosa, precipitosa e invadente la già naturale propensione di tutti e tre i cantanti ad un canto esteriore e sopra le righe veniva fomentato in modo pericoloso. Con altro direttore le cose sarebbero andate diversamente.

Volevo invece attirare l’attenzione sulla Traviata andata in scena, sempre a Parma, ieri sera. Io sono andato soprattutto per la curiosità di sentire un direttore come Temirkanov alle prese con un’opera del genere. Lo ho sempre considerato, nel suo repertorio, uno dei più grandi direttori viventi, uno di quelli senza trucchi e senza inganni, ma confesso che l’accostamento a Traviata mi metteva un po’ d’ansia (anche perché non ho mai sentito un direttore russo uscire bene dal repertorio verdiano, specie quello giovanile e medio). Entrato senza troppe aspettative, sono uscito con la convinzione di avere questa volta sì assistito ad uno spettacolo che sarebbe degno di entrare nella storia. Non tanto per il cast forse (Vassileva, Giordano, Stoyanov), funzionale o poco più (la Vassileva meglio di altre volte, Giordano inadeguato). Ma intanto lo spettacolo degli Herrmann è memorabile: ambientazione ai primi ‘900, recitazione da manuale (persino del coro, capace di movimenti di massa calibratissimi persino durante il concertato del II atto), con un’impostazione finalizzata a mostrare l’isolamento di Violetta dal resto della società (anche, se non soprattutto, da Alfredo). Bellissime le due feste, in particolare quella in casa di Flora: mai gli episodi di zingarelle e mattatori mi sono apparsi così poco zeppe inutili, realizzati come sorta di spettacolo cabarettistico improvvisato dagli ospiti. Molti i momenti memorabili, ma in particolare citerei il ‘Parigi o cara’. Non soprano e tenore scomodamente abbracciati in pose improbabili, bensì seduti ai due lati del lettino di Violetta, dandosi le spalle e guardando nel vuoto: mai il senso di quel “È tardi” mi è sembrato così ben reso, riunione di due persone che non hanno più nulla dirsi (se mai lo hanno avuto…).

Se grande è lo spettacolo, Temirkanov si è dimostrato un gigante, capace di un’interpretazione che per mio conto resta fra le più grandi ch’io abbia mai sentito di quest’opera (in teatro o in disco). Incredibile come il rigoroso rispetto dell’impulso ritmico delle varie forme di accompagnamento (elemento senza cui questo Verdi è meglio lasciarlo perdere) si unisse ad una sonorità densa, a tratti cupa, davvero (mi si passi la banalità) molto russa (mai sentito un ‘Amami Alfredo’ del genere, non esplosione di passione ma rombo sordo, come di tuono minaccioso). Ed incredibile come un direttore della sua formazione riesca a far cantare in questo modo l’orchestra di un’opera italiana: certi accompagnamenti (penso ad un incredibile ‘Prendi quest’è l’immagine’) diventavano canto essi stessi, come nemmeno con Muti mi era capitato di sentire.

Sarebbe lungo dilungarsi in esempi: per me resta il fatto che, dopo decine e decine di Traviate, sono uscito da teatro con l’impressione di aver sentito qualcosa di inedito e con l’urgenza (a mezzanotte) di riprendere in mano la partitura per controllare certe cose che mai avevo notato. È per riuscire ad imbattermi in serate del genere che mi pare valga la pena, a volte, di andare anche alla Miller di Alvarez… Per inciso, questo spettacolo è stato una piccola rivoluzione anche per Parma: al tentativo di fischi, da parte dei soliti loggionisti, alla fine del primo atto (sulla solita base che ‘Verdi non si fa così…’) c’è stata una sorta di insurrezione da parte di tutto il teatro, che alla fine ha dedicato un’ovazione di 10 minuti ad un direttore russo (in un teatro dove il direttore è considerato poco più che una suppellettile che deve badare solo a non coprire gli acuti dei tenori). Forse anche Parma è pronta a entrare nella modernità…
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Messaggioda giulia grisi » ven 05 ott 2007, 18:34

Il problema non è toccare il cuore, ma come lo si tocca.
Anche Vasco Rossi mi tocca il cuore, sia come autore che come interprete, ma non lo scambio affatto per un cantante lirico. (E quando ascolto "Sally"....caspita...che emozione!) Nè lui canterebbe mai l'opera.

Il problema di Alvarez è che gli manca assolutamente l'idea di cosa sia essere un artista lirico. Avere una voce, eseguire le note su un pentagramma non ti qualifica come cantante lirico se non lo fai secondo le regole che da sempre distinguono il canto lirico da quello folk o rock o jazz, ossia l'impostazione della voce, che nulla ha di naturale e spontaneo.
In secondo luogo lo scopo del gioco sarebbe l'arte dell'esprimere, del dire, del comunicare i sentimenti, le situazioni emotive del personaggio, restituendolo nel rispetto delle prassi stilistiche ma con propria personalità.
Del resto il signor Alavrez pubblicamente si vanta di avere imparato a cantare sentendo Feddie Mercury, che tanto piace pure a me, e rivendica la propria libertà di espressione della sua personalità nel non ascolto del passato, che altrimenti lo condizionerebbe.....!

Con Alvarez noi siamo di fronte ad una grande voce e basta. Una dote straordinaria non accompagnata da una preprazione tecnica adeguata ( Pavarotti sapeva respirare e lo si vede chiaramente nei video, mentre Alvarez non esegue nessuno dei movimenti fondamentali della respirazione...giusto per riprendere il tema del pavarottismo...), men che meno da intenti stilistici appropriati a ciò che canta.
E' sempre uguale, dai Puritani al Werther; gli intenti espressivi sono sempre gli stessi,generici, e spesso veramente inappropriati.

L'ascolto ( oltre che la visione ) del Ballo di Parigi è una delle esperienze più desolanti che ho fatto di recente: il personaggio esce snaturato, privo della nobiltà di Riccardo, di eleganza nella linea musicale, monotono e gridato. E a Parma è stato lo stesso, nella bella scrittura centrale di Rodolfo. Idem il Trovatore, sgangherato anche musicalmente nell'Ah si ben mio....e taccio del resto....( che mi fu tagliato su altro foro a lui amico...)

La mia professoressa di biologia, quando ero ragazzina, poco mi ha insegnato sulle cellule ma molto su Verdi, perchè era melomanissima. Ed ancora la ricordo quando diceva che Verdi richiede il canto nobile e la capacità di passare perfettamente di registro. Lo sapeva bene lei, professoressa di una città di provincia, educata alla tradizione anche poco emiliana del portamento bergonziano e non al culto dell'acuto alla Del Monaco, come si usa spesso ancora da noi..
L'altra sera me la risentivo nelle orecchie di fronte a tanto vociare incontrollato e mi domandavo dove siamo finiti.

Insomma, quale è lo stile di Verdi? Cosa è il tenore verdiano? perchè ha delle sue prerogative, che sono sempre state chiare al pubblico come ai direttori di teatro e d'orchestra. Montagne di dischi per arrivare ad un presente in cui Bergonzi, intervistato circa Alagna in occasione della brutta Aida scaligera ( Alagna ha fatto male, ma era davvero peggio di Alvarez??? ....perchè a me non pare.... ) fugge dal microfono della Rai dicendo " Io sono di un'altra generazione...sono di un altro mondo...".

Leggo sui fori critiche a Bergonzi ( che nel mio blog sul " Quando le sere al placido" non abbiamo nemmeno inserito perchè pareva assai imperfetto rispetto a quei mostri incredibili di suono e fraseggio che abbiamo messo lì ed anche luogo veramente comune per parlare del tenore verdiano...), e penso a quei fanciulli plaudenti che a Parma sentono i difetti del grande parmigiano per poi spellarsi le mani ad applaudire questo disastro di tecnica e stile.

C'è orami da domandarsi cosa applaudiamo e perchè. Con quale vera perizia o riflessione, con quali ascolti alle spalle. Sono coscienti o sono il pubblico disorientato e confuso che anni di recente malacritica cartacea e, voglio dirlo, radiofonica, hanno prodotto??

Sostengono che la povera Cedolins dell'altra sera sia meglio della Caballè ....ma santo cielo, anche sgangherata la Caballè ti faceva sentire una voce che l'altra sera non c'è stata nemmeno per un attimo
.....ma come si fa a dire certe cose????

Non so in cosa la mano sul cuore ci commuova se uno urla a squarciagola, proprio non so. Le lacrime ci vengono dalla tristezza, perchè questa Miller è la prova ontologica che non è vero che mancano le voci, ma mancano le teste, il gusto, cioè le perosonalità artistiche che possano servirsi dei loro strumenti per essere cantanti-artisti.
Mi ripeto, la sensazione è che si canti senza idee e per i soldi. Non si vedono obbiettivi diversi.
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Messaggioda MatMarazzi » ven 05 ott 2007, 19:20

beckmesser ha scritto:Capisco meno chi sa ormai benissimo come Alvarez canta e nondimeno lo va a sentire e poi si incavola perché canta come canta di solito.


Suvvia Beckmesser! Come non capisci? :)
E dove metti il piacere di andar poi a parlarne male e passare da intenditori? :)

credo che a teatro ci si possa andare senza necessariamente aspettarsi Lo Spettacolo Che Entra Nella Storia.


Be' sai... il genere è costoso e impegnativo (specie se qualcuno non abita a Parma). Non sarebbe male veder sempre qualche cosa di bello.
Io non ho visto solo spettacoli che "entrano nella storia", anzi....
magari fosse! :(
Ma cerco di muovermi solo per cose che mi diano una certa garanzia.
Poi purtroppo mi sbaglio tante volte!


lo spettacolo degli Herrmann è memorabile:

Davvero grandi artisti.
Bisogna dire che Traviata è una delle poche opere verdiane (escludendo gli ultimi capolavori) che attirano i grandi registi attuali.
Un'altra è Macbeth.
Poichè Verdi è sempre Verdi e Piave è sempre Piave, mi chiedo perché non concentrarsi ugualmente sui Foscari, su Aroldo, su Ernani.

Temirkanov si è dimostrato un gigante,

A proposito di Temirkanov.
Quasi sempre mi ha folgorato (quando l'ho sentito a teatro) per le intuizioni, il dominio, lo splendore del dettaglio unito alla pienezza del suono complessivo, il senso del teatro e tutto quello che hai scritto a proposito di questa Traviata.
Fu - proprio per questo - una sorpresa trovarlo così generico ed esteriore nell'ultima Dama di Picche a Milano (che fra l'altro aveva una regia modesta e un cast poco coinvolto).
L'hai vista anche tu?


Forse anche Parma è pronta a entrare nella modernità…

Io credo che siamo tutti pronti!
Gli unici a non esserlo (in genere) sono i responsabili dei teatri! :)
Speriamo bene! Me lo auguro di cuore.

Un salutone e grazie mille della recensione avvincente.
Matteo
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Messaggioda pbagnoli » sab 06 ott 2007, 13:45


...
:?

Sono francamente sconcertato.
Questo è il Verdi dei facili effetti, del "cuore in mano", del sudore che gronda sulla fronte ed inzuppa la camicia.
Mi riallaccio a quello che ha detto Matteo e anch'io rispondo a Maurizio: sono convinto che possa piacere, una cosa così.
Ma non a me.
Questo modo di cantare è da sagra strapaesana, il che non vuol dire che sia brutto, visto che... io stesso, sì, io, io adoro le fiere e tutto ciò che di bello e ricco portano con sé.
Tocca il cuore? Sì, credo di sì. A me non lo tocca perché nelle trappole di Marcelo non ci casco, ma ammetto che possa entusiasmare le folle.
E' un canto corretto (e per una volta mi metto dalla parte di Giulia Grisi)?
No, assolutamente no. Intonazione periclitante e spesso calante, smorzature falsettistiche e quant'altro non lo collocano nemmeno per sbaglio dalle parti degli interpreti storici.
Poi diciamo "Viva Verdi" e ci va dentro tutto, per carità. Anche Alvarez. Ma non parliamo di interpreti storici, per favore...
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Messaggioda teo.emme » sab 06 ott 2007, 14:46

pbagnoli ha scritto: Sono francamente sconcertato.
Questo è il Verdi dei facili effetti, del "cuore in mano", del sudore che gronda sulla fronte ed inzuppa la camicia.
Mi riallaccio a quello che ha detto Matteo e anch'io rispondo a Maurizio: sono convinto che possa piacere, una cosa così.
Ma non a me....


Sono completamente d'accordo. Dov'è la nobiltà verdiana? Dov'è il fraseggio? Dov'è l'accento aristocratico? Qui tutto è giocato sull'urlo e sullo sforzato (in un "ah mi tradia" la voce si spezza pure..roba di fischiare senza pietà!), sull'acuto lanciato alla bersagliera, sull'effettaccio, sulla voce rauca e rabbiosa...ma che roba è??? Qui non si tratta di cantare col cuore, ma con altro organo molto meno nobile visto gli effetti... :twisted:
A me questo modo di cantare (cantare?) Verdi proprio non piace.. Non ricordo chi ha scritto in un suo intervento in altra discussione del forum che oggi come oggi l'opera italiana ottocentesca è generlamente malissimo eseguita...beh, non si può che condividere questo giudizio!

Ps: mi stupisce che a Parma abbiano fatto passare indenne questa roba...
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Messaggioda Pruun » sab 06 ott 2007, 14:58

Secondo me non si può parlare di esecuzione storica.
Regge il pezzo perché la voce e sana e, buttata alla garibaldina, ancora arriva a fine pezzo, ma la tecnica è discutibile.
Io non voglio fucilarlo, non fa schifo, a mio avviso, ma è un'esecuzione di buona routine... perché con l'organo ancora intero riesce ad arrivare a fine pezzo senza troppi danni, però per la storia è troppo poco, IMHO... Concordo sul pavarottismo, nel senso dell'enfasi e dell'accento caricato ma, via, Pav aveva ben altro squillo!!

Sul perché sia lasciata passare 'sta roba... suvvia, mica è così scandalosa... troppo Carreras è stato lasciato passare e non si lascia passare 'sto Alvarez? :D :D
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Messaggioda teo.emme » sab 06 ott 2007, 15:07

Pruun ha scritto: Sul perché sia lasciata passare 'sta roba... suvvia, mica è così scandalosa... troppo Carreras è stato lasciato passare e non si lascia passare 'sto Alvarez? :D :D


Scandalosa no, certo, ma brutta sì! Io trovo che Alvarez abbia dato un'interpretazione sguaiata di questo splendido brano...insomma, passi pure l'enfasi interpretativa, ma resta Verdi, non è "torna a Surriento", come invece pare la intenda Alvarez... Secondo me i continui sbalzi, la voce che da rauca si mette a strillare, l'acuto lanciato alla garibaldina e la voce che si pezza e si sporca nello sforzo sono inaccettabili... Carreras non si è mai lanciato in esibizioni così plateali.. :wink:
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Messaggioda Pruun » sab 06 ott 2007, 15:56

teo.emme ha scritto:Carreras non si è mai lanciato in esibizioni così plateali.. :wink:


Non sono d'accordo con te, ma ammetto che sono di parte perché Carreras è un artista che a me proprio non va giù... :wink:
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