Caro Maurizio,
sono un po' in difficoltà a rispondere a questo tuo bel post, perché da un lato mi trovo d'accordo con quasi tutti gli altri del forum: non amo Alvarez.
L'ho visto tre volte: in una Lucie francese allo Chatelet (senza la Dessay, ahimè, sostituita dalla Ciofi), in una Lucrezia Borgia alla Scala e infine in un Ballo al Covent Garden. A quel punto non ho più avuto dubbi: quel tipo di canto così esteriore, limitato e prevedibile, quel sentimentalismo facile e vecchio, quel continuo accontentarsi di effetti semplici e superficiali ... non era per me.
Non dico che non possa piacere, dico che non era per me.
D'altro canto, molto di quello che hai scritto mi convince in astratto.
Ad esempio:
Maurizio Dania ha scritto:il mio modo.... semplice di "sentire" l'opera e la musica in genere possa anche solo minimamente avvicinarsi alle certezze che animano queste discussioni.
La parola "certezze" ahimè mi pare tristemente vera.
Il dogmatismo, la categorica distinzione fra "giusto" e "sbagliato" è l'espressione di una tendenza confortevole e rassicurante ma destinata alla stasi, alla cristallizzazione, al declino.
Perchè (scrivere di opera così) è un inutile svolgimento di un compito che ha un titolo, il nostro, una premessa, quasi sempre la stessa, uno svolgimento memorizzato ed una conclusione.
Anche questo è vero.
Senza la voglia di scoprire (anziché ricercare pervicacemente quel che già si è sentito), andare all'opera diventa un esercizio triste, amaro, giustamente destinato all'insoddisfazione.
Immancabilmente eguale: ah, a quei tempi, quelli si che sapevano cantare! Oppure: oggi si canta meglio di trent'anni fa'.
Come se tutto fosse immutabile. Fermo, statico, come il pensiero di una statua.
Ma come insegna Mozart nel Don giovanni, anche le statue hanno un'anima, stringono mani, esalano respiri, parlano, terrorizzano e uccidono.
Questa è una frase che io personalmente (dato il mio modo di vedere) incornicerei e appenderei sopra il letto!
Sono assolutamente d'accordo con te.
Non si cantava meglio trent'anni fa! Non si canta meglio oggi!
Ieri, l'altro-ieri, l'oggi, il domani, il dopo-domani non sono altro che una lungua catena (come, si è detto il altro thread, la storia di una lingua) di cui i cantanti, i suoni che emettono, le stesse opere (con le loro alterne fortune a seconda delle epoche), NOI STESSI con i nostri gusti, predilezioni, avversioni SIAMO PARTE.
E' proprio vero: le statue hanno un'anima.
Su altri concetti sono meno d'accordo.
Se è vero che Alvarez ha raccolto l'entusiasmo incondizionato di una grande parte del pubblico, questo - hai ragione - è un elemento che non si può trascurare.
Vuol dire che ha vinto la sua battaglia con la storia del canto e che i suoi suoni *sono* significanti.
Ma questo non obbliga tutti noi (presi singolarmente) ad amarlo.
Ognuno ha i suoi parametri, i suoi criteri di giudizio, le sue chiavi di lettura, le sue soglie di sensibilità ed è sacrosanto che le viva individualmente.
Il concetto di "pubblico" è una sintesi fra le visioni di tanti, infiniti individui.
Più questi ultimi difendono le loro singolari prospettive, più questa "sintesi", questa "media" si arricchisce.
Non dobbiamo commettere l'errore di scambiare il nostro punto di vista (prezioso e irripetibile) per quello del "pubblico" (come temo abbia fatto tu).
C'è poi un altro punto, nel tuo discorso, su cui gradirei tornare, perchè dissento in parte, ma non in tutto.
Ed è quello dell'approccio "semplice", "puro" a un determinato ascolto.
Ho scritto altrove che il neofita ha tanto da dire, perché le sue reazioni sono istintive, immediate e sincere.
Ma sono anche convinto che, come ogni forma d'arte, anche l'opera viva di convenzioni, suggerite dagli artisti stessi, selezionate dai fruitori, stratificate nel tempo, destinate (come tutto) a declinare e ad essere sostituite.
Queste convenzioni sono il "linguaggio" comune che artisti e pubblico condividono. Il fatto di conoscerle, di esserne parte, di usarle per formulare valutazioni non è un difetto.
L'avere nella mente i Rodolfo di Pertile, Schipa, ecc... ecc... non è un limite, è una ricchezza per l'ascoltatore.
D'altronde, mi pare che tu abbia ragione quando affermi che queste il rischio di queste "convenzioni" è di essere scambiate per "leggi".
Sto leggendo un giallo, in questi giorni, scritto da Lorenzo Arruga.
Sì, un giallo!
Si chiama "Suite Algerienne" (non chiedermi chi è l'assassino perché ancora non l'ho capito).
Bene, il poliziotto protagonista è un cultore di vecchissimi dischi: ha una grande collezione.
A un certo punto un autorevole direttore tedesco gli chiede di poter ascoltare uno dei suoi vecchi 78 giri: il "Mon coeur s'ouvre à ta voix" di una certa Mirable, una mitica diva francese evidentemente inventata.
Durante l'ascolto il direttore (per cui naturalmente le convenzioni del presente sono "legge" e quindi quelle del passato sono "errore") non fa altro che commentare e sbalordirsi di tutte le "devianze" di quell'interpretazione.
"Ma non si fa così, qui lega ma Saint-Saens non l'ha previsto; e poi ci mette troppo abbandono; senti queste note di petto, non si fa così... senti questo rubato, questo indugiare... se Saint-Saens avesse voluto questo l'avrebbe scritto: alla fine canta la musica che sarebbe del Tenore: dice lei "Sanson" mentre lo spartito dice che il tenore dovrebbe dire "Dalila"... così facendo, oltre a impossessarsi di musica non sua, taglia una nota, perché Sam-son sono due sillabe, mentre "Da-li-la" sono tre" ecc...."
Il poliziotto collezionista (abituato a delibare i suoi dischi, suono per suono, in religioso silenzio) commenta fra sé: "questo non sa ascoltare".
Salutoni
Matteo