Fantasie da 7 dicembre

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda VGobbi » mer 31 dic 2008, 19:44

Allora cascherebbe a fagiolo qualche lavoro di Meyerbeer, su tutti citerei "Africaine", "Les Huguenots" o "Robert le Diable". Per il cast, ahime', preferisco lasciare la scelta a voi ...
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda MatMarazzi » mer 31 dic 2008, 20:13

VGobbi ha scritto:Allora cascherebbe a fagiolo qualche lavoro di Meyerbeer, su tutti citerei "Africaine", "Les Huguenots" o "Robert le Diable".


Ma certo che sì, Vit...
E mettici pure dentro anche il Profeta!

Questi sono titoli da inaugurazione... e sarebbero anche adatti (soprattutto il Robert) a Claus Guth.
Però, Vit (e scusa se mi ripeto), lasciamo passare ancora un paio d'anni! :)
Anche per Meyerbeer c'è infatti il rischio che qualche barbogio, senza nemmeno conoscere l'opera, ti evochi la Ivoguen, Lauri Volpi, e naturalmente la Sutherland, tanto per far capire che lui la sa lunga...

Prima di stravincere, bisogna vincere.
E per vincere devi raccogliere almeno un paio di trionfi (due inaugurazioni) con opere fuori dei ristrettissimi orizzonti dei barbogi da loggione.

Per il cast, ahime', preferisco lasciare la scelta a voi ...

Un cast per un'Africaine?

Prima dell'Aida-catastrofe di qualche anno fa avrei detto:
Karita Mattila (Selika)
Laura Aikin (Ines)
Roberto Alagna (Vasco)
Nathan Gunn (Nelusko)
Michail Petrenko .

Ora... poiché alla Scala non c'è speranza di avere più Alagna, nella parte di Vasco si potrebbe mettere Alvarez o Filianoti! :)
Ok... ok...
Non ci resta che puntare su tenori meno celebri, come Van Bothmer o Osborne (tanto quel che conta è Selika, e la Mattila in un simile debutto basterebbe a richiamare gli esauriti).
Che ne dici?

Salutoni,
Mat
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda Maugham » mer 31 dic 2008, 21:22

Complimenti Mat!
Un bellissimo thread.
Ho diverse cose da dire.
E chiedo perdono per l'immenso post che vi costringerò a leggere.
Cominciamo dalle seghe :oops:

Tucidide ha scritto:in questo thread rischiamo davvero di farci delle gigantesche seghe mentali...


Secondo me Tuc non sono seghe mentali.
Trovo anzi che sfide di questo tipo siano tra le cose più interessanti che un forum possa proporre.
Vado oltre.
Sono per me una delle forme più alta di critica costruttiva. E' facile sparare a zero su tutto, dire che alla Scala programmano con i piedi, che l'Opera è alla frutta, che si stava meglio quando si stava peggio. Facile, molto facile.
Difficile è proporre alternative.
A meno che non si cominci a sparare titoli e cast a casaccio inseguendo le proprie libidini e i propri desiderata.
Cosa che, sono sicuro, non era quello che si proponeva Mat quando vi ha lanciato questa proposta.
Quindi, nessuna sega nè fantalirica. Ma realtà e proposte concrete. :D

MatMarazzi ha scritto:Sbizzarritevi pure con titoli e cast, ma sempre tenendo Guth come regista dello spettacolo!


Ecco, qui sta il punto.
Vorrei, se possibile che ci si attenesse a questa regola.
Guth dovrà firmare la regia.
Questo restringe il campo e proverò spiegarvi perchè titoli come Barbiere o Ariodante sono per me improponibili.
Dal momento che, come dice Mat, Guth è un mio protetto vi voglio dire alcune cose su di lui. Almeno per inquadrarlo.

Che tipo di regista è Guth (assieme all'inseparabile drammaturgo Ronny Dietrich)?

Primo: possimo dire che rientra nel novero dei registi che "decontestualizzano".
E' una parola orrenda, lo so, fa molto 68, ma non riesco a trovare un altro termine.
Di quelli cioè che tolgono un'opera dal contesto librettistico e la rappresentano in altra epoca.
Sai che novità, direte voi. :roll: Lo fanno ormai tutti!
E' vero. Inoltre è una cosa molto facile. Volendo ci riusciamo anche noi che registi non siamo.
Decido che il Reno è un oleodotto che parte dal Caspio, attraversa il Kurdistan, la Siria per arrivare in Israele.
Decido che i Nibelunghi sono i Curdi islamici, gli dei i ricchi israeliani, Loge un emissario dell'ONU.... ecco fatto un bel Ring alla moda che parla d'attualità.
Peccato che però occorra anche andare avanti e far tornare i conti dalla prima nota all'ultima.
Le idee originali non bastano.
E qui casca l'asino. E con l'asino cascano molti registi.
Guth no. Almeno per ora e nelle cose che ho visto è di un'efficacia e di una coerenza esemplare.

Secondo: pur essendo un decontestualizzatore (accidenti! :twisted:) non è un... "provocatore".
Ovvero non pare interessato a scandalizzare il pubblico, a fare della facile parodia, a mettere in burletta cose da sempre considerate alte e inviolabili e serie.
Non siamo quindi dalle parti nè di Konwitschny (che pure ha firmato spettacoli molto interessanti) nè tantomeno di Bieito e, Mat te lo concedo :wink: , di Kusej o della giovane Wagner.
Guth ha mezzi più sottili per raggirare il pubblico e portarlo dalla sua.

Terzo: pur non essendo un provocatore, Guth è un regista spiazzante.
Provo a spiegarvelo. E ci metterò del tempo. :roll:
Vedere uno spettacolo di Guth è come prendere un treno, su un percorso conosciuto che abbiamo fatto tante volte, per arrivare da una stazione a un'altra.
La stazione di partenza, con Guth, di solito è molto semplice, terra-terra, quasi banale.
In Arianna era il rapporto realtà-finzione che ormai ci esce dagli occhi e dagli orecchi :roll: , nelle Nozze la lotta tra classi sociali con Eros in veste di burattinaio :roll:, nel Don Giovanni un giovanilismo alla moda scanzonato e cialtrone ci depista facendoci vedere Guth come il solito regista balordo che vuole fare l'opera da super-giovane per super-giovani; dài, faccciamo che Leporello si fa le pere!, facciamo che Zerlina rulla un cannone!, facciamo che Anna slaccia la patta a Don Giovanni!. :D
Nel Tristano poi siamo dalle parti del Medioevo musicologico e biografico: il triangolo Mathilde, Richard, Otto Wesendonck rispettivamente Isotta, Tristano e Re Marke. Noooo, ti prego! :shock: Ancora lì?
Roba che non vedi più neanche nelle più sperduta provincia tedesca o lettone.
E così saliamo sul treno un po' riluttanti.
Poi il viaggio comincia.
Noi, che di opera ne abbiamo vista tanta, pfui! 8), siamo sicuri dove Guth voglia portarci, con degnazione sediamo nello scompartimento, e... improvvisamente, ci accorgiamo che siamo su un'altra strada, su un altro treno, che arriveremo in un'altra stazione a cui non avevamo mai pensato di arrivare. Il treno ha preso uno scambio. Quando? Come? Ma.... :shock: :shock: :shock:
In Arianna il rapporto realtà-finzione era solo un pretesto per un continuo e cangiante ribaltamento di prospettive in perfetta sintonia con una musica (come quella del finale dell'Arianna) che magnificamente gira a vuoto come tutte le musiche... innamorate di se stesse.
Spiazzante anche Tristano.
Nel corso dell'opera il dato biografico-scandalistico lo si dimentica subito. Altro che adulterio! Tutta l'opera non è altro che la dimostrazione di un fallimento: quello di Tristano.
Il crollo di un sogno d'amore impossibile, assoluto, eterno.
Isotta -questo sì come la Wesendonck- finisce per omologarsi con il mondo di Marke. E Tristano muore solo, isolato da tutti, in una Kareaol che è una sorta di corte dei miracoli, un bassifondo urbano fatto di barboni e tagliagole, tra i fumi dell'alcool. Isotta arriva, ormai vestita come un gran dama dell'alta borghesia di Zurigo, è sconvolta dalla morte di Tristano e attacca il Liebestod seduta al capo di una tavolaccio su cui è depositato il corpo di Tristan. Brangania l'accarezza e cerca di calmarla. Lentamente Isotta si alza e si avvicina al cadavere di Tristan. Nessuno però sembra accorgersene. Marke e Brangania continuano a guardarla, a parlare con lei, a toccarla cose se fosse ancora seduta a capotavola. Ma lei non c'è già più. Ora è con Tristano a cui offre il più lacerante e liberatorio canto d'amore (cos'era la Stemme sull'orchestra incredibilmente schiarificata di Metzmacher :shock:!) che io abbia sentito. E lo canta in piena luce, in pieno giorno, in un tripudio di riflettori. Perchè è vero che la notte è il regno della passione, del sogno, della poesia, ma il giorno è il momento della verità, della crescita, del vedere le cose come sono.
E in questo Tristano il giorno vince, eccome se vince!
Nelle Nozze la prevedibile stazione di partenza "lotta di classe" diventa subito una ben più agghiacciante lotta tra sessi fatta di volenze e sopraffazioni e il "Venite inginocchiatevi" -che Pietro vede sensualissimo- è la fotografia esatta di uno stupro in odore di pedofilia. Due donne che se la fanno con un ragazzino.
Così il Don Giovanni. Senza dubbio partiamo un po' irritati da questo Leporello (Schrott) sorta di coattone bellissimo e muscoloso, con i tic copiati dal Brad Pitt nell'Esercito delle 12 scimmie, e dal Don Giovanni ricco e palestrato di Maltman. Poi, nel corso dell'opera, capiamo di nuovo che Guth ci ha portati da un'altra parte. Che il linguaggio e i topoi giovanili che lui sottolinea con puntigliosa precisione servono a farci capire che anche il mondo dei ventenni ha le identiche differenze di classe, gli stessi steccati sociali, gli stessi squilibri in fatto di comunicazione del mondo degli adulti. E guardacaso il Commendatore (Kotcherga) è proprio l'unico adulto dell'opera, quello che mette brutalmente la parola fine alla vicenda.
Ovviamente sono schegge che vi butto lì. In quegli spettacoli c'è molto di più.
Permettetemi. Io sento Guth, come approccio, molto vicino al mio avatar. Che comincia alcuni dei suoi più straordinari racconti e romanzi dalle parti di "non ci sono più le mezze stagioni" :) e poi ti trovi dentro certi baratri da farti.. alzare gli occhi dalla pagina.

Quarto: Guth è uno straordinario direttore d'attori.
Lo si apprezza quindi a distanza ravvicinata oppure in sale di media grandezza. Il Tristano di Zurigo visto dal loggione della Scala avrebbe perso un buon terzo delle suggestioni. Bisogna tenerne conto. E bisogna anche che Guth ne tenga conto impostando la regia per una sala come quella del Piermarini. Guth è anche un mago nel costruire microstorie. Ovvero di quelle piccole (o grandi) derive narrative -a cui magari nè il compositore nè l'autore del libretto avevano pensato- ma che ci stanno benissimo e arricchiscono l'opera. Tipo la storia d'amore suggerita tra il Compositore e la Primadonna in Arianna che diventa il motore della seconda parte. Bisogna quindi pensare a un titolo che lo permetta.

Quinto: Guth ama le scenografie importanti. Come mi faceva notare giustamente Mat occorre un budget considerevole. E occorre un'opera che permetta questo genere di sfarzo. E un palcoscenico e tecnici attrezzati. Cosa che la Scala ha.

Sesto: Una delle caratteristiche di Guth è la localizzazione, diciamo così geografica, dell'opera nel luogo dove è chiamato ad allestirla. Ovviamente, se possibile. Il Kronenhalle (ristorante celeberrimo di Zurigo) ricostruito per Arianna o la villa Wesendonsck per Tristano, sempre a Zurigo. Non è obbligatorio, sia chiaro, ma in questo gioco con lo spettatore Guth è bravissimo e per questo ho trovato appunto stimolante proporre il Mefistofele, opera, oltrechè perfetta per il talento di Guth, impregnata, non so come dire, di milanesità colta, di quel pompierismo lombardo di finottocento, un po' stile Stazione Centrale....

Detto questo vi sarà chiaro che la scelta sull'opera da affidare a Guth non la possiamo fare alla leggera.
Non possiamo dirgli ecco la Boheme o il Barbiere, arrangiati!
Anche perchè un tenore lo possiamo sostituire dopo la generale, un regista no, vero? :wink:
Bisogna quindi escludere in primo luogo tutti i titoli con una forte valenza storica e come dice Mat con forti connotati sociali o politici.
Poi dobbiamo prendere titoli che abbiano molti personaggi, con grandi possibilità di interazioni tra loro.
A questo dobbiamo aggiungere, secondo me, che ci siano possibilità di lettura della drammaturgia anche (non solo perchè sarebbe un disastro) in chiave simbolica, sebbene Guth non sia certo un simbolista. Dobbiamo dargli lo spazio per esprimere il suo gusto per la sfida, per la deriva, per lo spiazzamento. Opere troppo strutturate -tipo Otello- non fanno per lui.

MatMarazzi ha scritto:io ho proposto Elena Egizia, penultimo dei capolavori di Strauss e Hofmannsthal

MatMarazzi ha scritto:Maugham non è d'accordo: per lui l'Elena non è un'opera di grande repertorio.


Senza dubbio. Sebbene sia perfettamente d'accordo con te sul fatto che il titolo abbia tutti i crismi giusti per un'inaugurazione.
E sia un'opera nei cui confronti nutro, e lo sai, una passione.
Solo che l'Elena straussiana non è solo un'opera "fuori" dal grande repertorio.
E' una rarità. E' diverso. Vorrei fare un sondaggio, ma secondo me in molti non sanno nemmeno chi sia l'autore dell'Elena Egizia.
Comunque non è questo il punto, perchè con un cast come quello che ipotizzi senza dubbio faremmo dei pieni.
Figurati, con la divastra tirata a balestra e la Dessay...
I miei dubbi ora sono su Guth.
Il suo tallone d'achille, forse perchè èrelativamente giovane, sta nel fatto che, volente o nolente, Guth fa delle regie complicate.
Per goderti i suoi spettacoli lo spettatore deve avere una dimestichezza (anche di terza, quarta mano ma la deve avere) con i lavori a cui assiste.
Se non conosci l'Arianna, le Nozze, il Tristano rischi di non capire niente.
Guth non è Carsen. E nemmeno Jones. Di cui potevi vedere la Dama di Picche anche senza conoscere la storia e uscirne sbalordito.
Temo che alle prese con il lavoro di Hoff/Strauss Guth possa cadere nella tentazione di mettere a nudo il nocciolo drammaturgico dell'opera -che non c'è e qui sta il suo bello- spogliandola proprio di tutti quegli elementi che invece per te costituiscono il motivo per cui la metti in scena.
Non so. Temo che finisca per fare il tedesco concettoso e tesistico...

VittorioGobbi ha scritto:Allora cascherebbe a fagiolo qualche lavoro di Meyerbeer, su tutti citerei "Africaine", "Les Huguenots" o "Robert le Diable". Per il cast, ahime', preferisco lasciare la scelta a voi ...


Qui ho solo delle perplessità di carattere tecnico. Non so come lavora Guth in opere con grandi masse corali, come le muove, cosa ne tira fuori. Non lo so. Dovrei vedere i suoi Meistersinger di Dresda. O l'Hollander di Bayreuth.

Io resto convinto del Peter Grimes e del Mefistofele. Poi vi dirò il perchè. Il post è già immenso e ringrazio chi mi ha seguito.
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda VGobbi » gio 01 gen 2009, 13:29

MatMarazzi ha scritto:Però, Vit (e scusa se mi ripeto), lasciamo passare ancora un paio d'anni! :)
Anche per Meyerbeer c'è infatti il rischio che qualche barbogio, senza nemmeno conoscere l'opera, ti evochi la Ivoguen, Lauri Volpi, e naturalmente la Sutherland, tanto per far capire che lui la sa lunga ...

Ringrazio te Mat, che nei precedenti post, avevi ammirato il lavoro di Meyerbeer da me assai disprezzato, convinto che fosse solo un onestissimo artigiano. I lavori di Meyerbeer potrebbero essere paragonati ai film di Spielberg, in cui la suspense e' sempre dietro l'angolo, in cui non manca nessun ingrediente, anzi ne utilizza fin troppo. Di edizioni le conosco grazie alla casa discografica Dynamic. Non di grandissimo pregio, ma che basta ed avanza per far capire la qualita' di un compositore troppo trascurato, almeno in Italia, discorso che si potrebbe riportare pari pari ad un Britten od un Janacek.

MatMarazzi ha scritto:Un cast per un'Africaine?

Prima dell'Aida-catastrofe di qualche anno fa avrei detto:
Karita Mattila (Selika)
Laura Aikin (Ines)
Roberto Alagna (Vasco)
Nathan Gunn (Nelusko)
Michail Petrenko.

Non ho l' "Africaine", quindi non potrei neanche azzardare a proporre un cast. Certo che ho nelle orecchie il Nelusko di Ruffo che attendono ancora d'esser eguagliati, in particolare "All'erta marinar" d'impressionante ed arrembante forza vitale.

Maugham ha scritto:Che tipo di regista è Guth (assieme all'inseparabile drammaturgo Ronny Dietrich)?

....

Premettendo che son proprio questi post che mi permettono di arrichire la mia cultura musicale, quando si tenta di allestire (possibilmente motivandoli) la scelta di opere e cast.

Su Guth, di cui ignoravo completamente l'esistenza (cosi' come i Jones o Carsen), ringrazio infinitamente Maugham per averlo inquadrato. La lunghezza del post, di cui non me ne dispiaccio, ha consentito di capire ancor meglio che tipo di regista e' e cosa si va incontro, se nella loncandina e' presente appunto Guth.

Maugham ha scritto:Guth non è Carsen. E nemmeno Jones. Di cui potevi vedere la Dama di Picche anche senza conoscere la storia e uscirne sbalordito.

Questo, secondo me, gioca a sfavore di Guth. Credo che sia un pregio di pochi, riuscire a far capire la trama, coinvolgendo l'ascoltare, sia che conosca o meno la vicenda e la musica. Ecco perche' forse un Jones (ho visto la sua Lady alla Scala) e Carsen (nessun spettacolo :| ) hanno quel qualcosa in piu', rispetto ad un Guth. Ed e' per questo, se dovessi scegliere e visto la mia completa ignoranza "registica", opterei se si trattasse dello stessa opera, di un allestimento diretto da Jones o Carsen. Non a caso, ammiro alla follia Ponnelle.
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda MatMarazzi » gio 01 gen 2009, 17:13

Maugham ha scritto:Dal momento che, come dice Mat, Guth è un mio protetto vi voglio dire alcune cose su di lui. Almeno per inquadrarlo.


E tutto quel che segue...
Non so che dire, Maugham.
Spesso io e Pietro litighiamo sul ruolo che ha e deve avere il forum all'interno di Operadisc; lui tante volte vede il forum come qualcosa che distrae dalla vera utilità del sito (che sono gli articoli in home).
E' un po' come se la sala mensa fosse molto più frequentata degli uffici... :)
Io invece la penso diversamente: sì, gli articoli, le recensioni, i commenti sul sito sono importanti, utili, necessari.
Ma la vera rivoluzione linguistica di Internet, ciò per cui tutto sta cambiando, è la sua plurivocità, la sua forza dialettica, prorpio ciò che il forum potenzialmente incarna.
Non sto dicendo, ovviamente, che il forum è più importante del sito (sarebbe una scemenza), ma mentre gli articoli e i monologhi saggistici sono qualcosa di linguisticamente antico (semplicemente spostati dalla carta stampata allo schermo) il forum è il futuro.
Certo, non tutti i fora che si incontrano su Internet sono vera occasione di ricerca, approfondimento e crescita... Ma nemmeno tutti gli articoli "operistici" che si leggono lo sono!
Il net è pieno di grafomani che si prendono per critici o musicologi, che sparano a casaccio le loro banalità, che si sbrodolano in venti pagine illeggibili, in rotta persino con la sintassi, solo per dimostrare di non avere nulla da dire.
In un clima di assoluta libertà di comunicazione (e per fortuna) può albergare anche il peggio...
E tuttavia, cercando bene, può saltare fuori qualcosa di veramente importante, di importantissimo; qualcosa che nessun vecchio, ponderoso, definitivo saggio può emulare.
Come questo tuo post.

Il navigatore inesperto che cerca su Google "Claus Guth" per tentare di collocarne lo stile e decifrarne i misteri, troverà tante cose inutili: le solite biografie, articoletti inerti di giornalisti costretti a buttar giù due righe per lavoro, commenti di poveretti che pensano di parlare di "regia d'opera" facendo riferimento alle riprese del Sociale di Rovigo, ecc...
Poi ci si imbatte in questo post (che in pochi giorni google renderà rintracciabile) dove un regista della contemporaneità, che in Italia si sente nominare appena, che ai soliti "abbasso i registi!" è del tutto sconosciuto, viene presentato con originalità di prospettive, travolgente chiarezza di esposizione, nitore di idee e sintesi illuminanti.
E ci si trova di fronte a un'esposizione agile, personale, ricca ma chiarissima, dove tutto è concepito senza intenti didattici o risolutivi, ma con l'impagabile apertura di una discussione.
E non solo Guth diviene familiare, ma anche certi termini, certe espressioni, certo modo di approcciare la regia...
Voi riderete, mi giudicherete matto, ma non sapete quante volte ho ritrovato termini e suddivisioni che mi ero inventato in sede di forum, per chiarire certi concetti, riportati in altri fora o persino in articoli di giornale.
E a tutti voi sarà successa la stessa cosa...

Insomma, quel che voglio dire è che partecipando a un forum si può imparare di più, come dice Vittorio, che mandando a memoria cento saggi del nostro critico-totem.
E - dopo aver letto questo post di Maugham - ne sono sempre più convinto.
Insomma... complimenti Maugham! :)

E ora vorrei tentare di sottoporvi qualche chiosa personalissima alla messe di concetti che Maugham ci ha porto.

Primo: possimo dire che rientra nel novero dei registi che "decontestualizzano".


E' solo una questione terminologica, ma per me ha importanza.
Quando ho curato i miei due corsi sulla regia d'opera per i soci del Wanderer Club ho dovuto basarmi su definizioni precise, molte delle quali inventate da me ispirandomi alla retorica e della drammaturgia classiche (come la "liaison des scene").
Al termine - molto usato - di "de-contestualizzazione", io ho dovuto aggiungere quello più specifico di "ri-contestualizzazione".
Quest'ultima è una possibile applicazione della prima: la ricontestualizzazione è una forma di decontestualizzazione.

L'atto della de-contestualizzazione è a monte: il regista infatti decide se rispettare o meno il contesto indicato nel libretto.
Se non lo rispetta opera una generica "decontestualizzazione" ossia sottrae la vicenda alle coordinate spazio-temporali definite dal librettista.
Poi bisogna vedere cosa decide di mettere al posto del contesto originale...
Per esempio può elminare del tutto qualsiasi simulacro di contesto e affidarsi all'astrazione.
O mescolare contesti diversi...
Tutte scelte lecitissime e praticate da grandi registi.

Oppure può sostituire il contesto originale con un contesto diverso, ma preciso e definitissimo (a livello storico, psicologico, ambientale), come fece Miller nel suo storico Rigoletto all'ENO.
E' in questo secondo caso che io preferisco parlare di ri-contestualizzazione (proprio ciò che fece Giuseppe Verdi quando la censura gli disse che non poteva ambientare il Rigoletto alla corte di un re - come nell'originale; e lui spostò la stessa vicenda un secolo dopo a Mantova; come si vede i compositori furono i primi a de- e ri- contestualizzare, ben prima dei registi) :)

Tu potrai rispondermi che sono "solo parole" e che in fondo - anche ammettendo la mia definizione - Guth resta comunque un de-contestualizzatore.
Tutto vero...
Però secondo me i conti non tornano con la tua frase successiva, che - senza la distinzione - potrebbe sembrare metodologicamente troppo rigida, se riferita a TUTTI i de-contestualizzatori.

Peccato che però occorra anche andare avanti e far tornare i conti dalla prima nota all'ultima.
Le idee originali non bastano.
E qui casca l'asino. E con l'asino cascano molti registi.
Guth no. Almeno per ora e nelle cose che ho visto è di un'efficacia e di una coerenza esemplare.


Tutto vero, se parliamo di "ri-contestualizzatori" (come Guth).
Ma non vero se parliamo di qualsiasi forma di de-contestualizzazione.
Ci sono tanti casi, e tu lo sai benissimo, di immensi registi che lasciano le loro rappresentazioni nella voluta indefinitezza spazio-temporale.
E' una tattica perseguita - con grandi risultati - da molti registi inglesi: Noble, Pountney e Warner sono maestri in questo senso; le loro contestualizzazioni sono aleatorie e contraddittorie, volutamente. Ogni oggetto contestuale (un'arma, un vestito, una bombetta) sono simboli e non più strumenti per una ricontestualizzazione attendibile. Spesso si alternano costumi d'epoca ad abiti moderni.
Anche Bondy è così, anche il giovane Carsen: a loro non interessa definire un luogo e un tempo preciso.

Una grande regia "de-contestualizzata" può fregarsene altamente di far tornare ogni dettaglio, dalla prima nota all'ultima.
Hai invece assolutamente ragione se il regista ha perseguito quella particolare forma di de-contestualizzazione che, appunto, suggerisco di chiamare "ri-contestualizzazione".
Allora sì, hai ragione tu!
La ricontestualizzazione DEVE essere perfetta o per lo meno credibile. E Guth (per quanto riguarda la mia esperienza) ci riesce.
Ma Guth tenta di essere più "virtuosistico" ancora: lui opera anche a livello di "destrutturazione narrativa" che anche in questo caso diventa "ri-strutturazione". Ma questo è un altro discorso...
:)

Solo che l'Elena straussiana non è solo un'opera "fuori" dal grande repertorio.
E' una rarità. E' diverso.


Qui ancora una volta sono i termini che ci fregano...
Rarità, per me, è "Der Bettelstudent" di Milloeker o "La Rosa bianca e la Rosa Rossa" di Mayr.
"Elena Egizia" è reperibile in quattro edizioni discografiche, è stata rappresentata in grandi teatri, la sua aria incisa da tutte le straussiane, tenuta come "baule" per i concerti da gente come Leontyne Price.
C'è una tradizione dietro Elena Egizia, ben maggiore (a ben guardare) di quella che c'era dietro i Vespri Siciliani quando la SCala li annunciò per il 7 dicembre 1951.

E in tutti i casi, se anche l'Elena fosse una rarità?
Che problema sarebbe?
Tu sai bene, Maugham, che la stagione 53-54 della Scala passò alla storia come quella delle due inaugurazioni.
L'ufficiale inaugurazione fu la Wally, opera allora nota, facile e praticata e con bei nomi come quello della Tebaldi.
Pochi giorni dopo fu la volta di Medea di Cherubini, quella sì allora sconosciuta, difficile, complessa: c'erano la Callas e Bernstein. Come sai, la gente disertò la Wally e accorse in massa alla Medea, che - nella memoria - divenne la "vera" inaugurazione.

E dire che allora Cherubini era un compositore assai meno "mitizzato" di quanto oggi risulti Strauss in Italia.
Gli Italiani, che pare abbiano scoperto Strauss da un decennio, li riservano oggi un fanatismo toccante...
Persino i Cellettiani si mettono a bambanare su come si dovrebbe cantare Strauss... risibile o meno, è pur sempre un fatto. A Firenze oggi fanno più esauriti con Elektra che con la Butterfly.
Da solo Strauss è un potente magnete per il pubblico, spece se lo metti in una prima con tutti i riflettori puntati...
PIU' DI BRITTEN, per quanto il Grimes sia opera più eseguita dell'Elena.

C'è poi da aggiungere il fascino del titolo.
Non tutti sanno chi è Grimes, mentre tutti sanno chi è Elena di Troia.
Non tutti conoscono i tristi villaggi di pesscatori della costa inglese, mentre intorno all'Egitto c'è il furore collettivo (anche un po' patetico e snervante).
Tu ora sorriderai, lo so... :) io invece penso che - a meno di non usare quest'arma in modo becero e scemo (come hanno fatto a Bologna per Der VAmpyr) - è giusto sfruttare anche l'immaginario collettivo del pubblico per attirarlo a teatro.
Una volta dentro, però, bisogna anche convincerlo di aver speso bene i suoi soldi... E' qui che Bologna ha sbagliato tutto! :)

I miei dubbi ora sono su Guth.
Il suo tallone d'achille, forse perchè èrelativamente giovane, sta nel fatto che, volente o nolente, Guth fa delle regie complicate.
Per goderti i suoi spettacoli lo spettatore deve avere una dimestichezza (anche di terza, quarta mano ma la deve avere) con i lavori a cui assiste.
Se non conosci l'Arianna, le Nozze, il Tristano rischi di non capire niente.


Quello è che dici è assolutamente vero.
Però vorrei sottoporti un dubbio: io penso che per le Nozze (a Salisburgo!!!) e il Tristano (a Zurigo!!!) lui partisse proprio dal presupposto che il pubblico locale NON PUO' non avere dimestichezza con quei titoli e quei luoghi.
Per chi va a Salisburgo, la storia delle Nozze è sapere collettivo. E chi abita a Zurigo (soprattutto in questi anni di wagnerite acuta e ossessiva, un po' come la mozartite di qualche anno fa) non può non sapere il retroterra gossiparo degli amori fra Wagner e la Wesendock. Persino nei siti "barbogi" e loggionistici rimestano in queste ovvietà.
Forse Guth ha usato quei simboli e quei contesti perché li riteneva condivisi col pubblico... Non mi pare una cosa paragonabile alle stupidissime citazioni pittoriche di Pizzi... il quale non sa mettere insieme una mezza regia, però fa felici tutti gli intellettualuzzi che ballonzolano avendo riconosciuto il tal quadro del tale autore!

E' possibile che Guth si renda conto da solo che a Milano nessuno sa niente delle noie coniugali di Strauss, delle tragedie esistenziali di Hofmannsthal, delle questioni storiche, ecc... Può darsi che egli decida di usare simboli più universali e immediatamente comprensibili...
Una cosa è certa: se vuole, ci riesce!
Dopo aver visto il trascinante Dongio che mi hai fatto scoprire, ne sono sicuro.
Avresti potuto mostrare quel video a un totale neofita, che nulla sa della vicenda originale, e credo avrebbe seguito ogni personaggio in tutti i suoi percorsi... senza alcuna difficoltà.

Salutoni e davvero grazie,
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda MatMarazzi » gio 01 gen 2009, 17:29

VGobbi ha scritto:I lavori di Meyerbeer potrebbero essere paragonati ai film di Spielberg, in cui la suspense e' sempre dietro l'angolo, in cui non manca nessun ingrediente, anzi ne utilizza fin troppo.


Che Meyerbeer e Scribe dispongano di uno straordinario senso narrativo (direi architettonico) è verissimo.
Ma credimi, c'è molto di più.
C'è tensione di popoli, opposizione di culture, relativizzazioni coraggiose delle morali di stato, posizioni audacemente anti-romantiche.
Questo almeno per me...

Di edizioni le conosco grazie alla casa discografica Dynamic. Non di grandissimo pregio, ma che basta ed avanza per far capire la qualita' di un compositore troppo trascurato, almeno in Italia


Purtroppo Meyerbeer non è trascurato solo in Italia.
E' un problema internazionale, questo. E se non riescono a rilanciarlo i grandi centri della produzione operistica, è impossibile (ahimè) che ci riesca la provincia, come appunto i teatri italiani.

Ho nelle orecchie il Nelusko di Ruffo che attendono ancora d'esser eguagliati, in particolare "All'erta marinar" d'impressionante ed arrembante forza vitale.


Ruffo - STREPITOSO in questo brano - è di cento anni fa.
Allora rappresentò una rivoluzione autentica, rispetto ai Nelusko nobili e profumati della Belle Epoque, terribilmente falsi (da Faure a Battistini e Renaud).
La voce di Ruffo era quella muscolare e carnale di un uomo del popolo, dall'accento limpido e scevro di raffinatezze, dalla sillabazione forte e sincera.
Un raggio di sole... allora!
Oggi l'idea di un "povero negro" tutto muscoli e solarità è talmente sorpassata che risulterebbe anche offensiva al comune buon gusto.
Oggi Nelusko deve trovare una dimensione diversa: per questo ho proposto Gunn, ma avrei potuto dire anche Schrott: meno fisicità maschia e lavoratrice, più dinamismo, sottigliezza e vitalità tragica.
Così almeno pare a me.

Ecco perche' forse un Jones (ho visto la sua Lady alla Scala) e Carsen (nessun spettacolo :| ) hanno quel qualcosa in piu', rispetto ad un Guth.


Sul valore "specifico" di Guth, CArsen e Jones parlerà la storia (Guth è da meno tempo alla ribalta).
La considerazione di Maugham sul fatto che Guth faccia riferimento a pre-conoscenze da parte del pubblico, non è un difetto: è solo una caratteristica, non migliore e non peggiore di altre.
Se vedi il suo Don Giovanni, non potrai che divertirti.
Vedilo e sappici dire.

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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda marco » gio 01 gen 2009, 19:10

inizio ringraziando per gli interventi su Guth che mi hanno molto incuriosito e invogliato a vedere spettacoli di questo registo
arrivando al tema e lasciando perdere almeno in parte la fantasia, ricordo che il prossimo 7 dicembre dovrebbe essere affidata ad una nuova Carmen diretta da Baremboim di cui non ricordo sia mai stato annunciato il regista
inoltre per la coppia protagonista erano stati annunciati Jonas Kauffmann e Marina Domashenko (ma quest'ultima negli ultimi anni mi sembra completamente scomparsa dai cartelloni)
voi chi vedreste come regista e protagonista ?
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda MatMarazzi » ven 02 gen 2009, 12:10

marco ha scritto:arrivando al tema e lasciando perdere almeno in parte la fantasia, ricordo che il prossimo 7 dicembre dovrebbe essere affidata ad una nuova Carmen diretta da Baremboim


Ma... vedi Marco; il tema era proprio la fantasia.
Perché la realtà non è a mio parere degna di considerazione.
Lissner ha dimostrato la sua inettitudine e non pare capace di imboccare la strada giusta.

Con un titolo come Carmen saranno inevitabili le solite polemiche, per quanto meno aggressive che con Verdi.
Non ci saranno fischi a Baremboim, dal momento che - essendo un direttore rassicurante, dai tempi larghissimi e sonorità rigogliose - è stato eletto dai loggionisti come simbolo della tradizione.
Eppure in tanti commenteranno che "questa non è l'opera-comique"... "non si può rallentare tutto come se fosse Wagner"... "è pesante come uno schiacciassassi".
Kauffman (ammesso che alla fine ci sia davvero lui) sarà applaudito con riserva: si dirà che ha gusto, recita bene, ma che "apre", ha gli acuti "indietro", fa falsetti invece che pianissimi e soprattutto che piace alla sciure solo per il suo aspetto da macho.
In tutti i casi - quali che siano i nomi - ci saranno fischi e contestazioni per il regista e la protagonista.
Non è un caso che non siano ancora stati annunciati: Lissner li sceglierà con terrore, nel tentativo di non dispiacere ai loggionisti (altro che le benedette "seghe" che portano alle grandi scelte).
Alla fine opterà per un finto-regista (fintamente innovativo, fintamente tradizionalista) come Braunschweig e nonostante questo il pubblico lo fischierà lo stesso; e opterà per una finta Carmen (se non la Zaijic o la Borodina poco ci mancherà) che non saprà nulla di Opéra Comique, nulla di trasparenze e colorismi, nulla di tagli attorali sexy e modernisti, ma che avrà in compenso un bel vocione sonoro.
Probabilmente sarà una russa sconosciuta; altrimenti sarà la Antonacci e allora sì che il loggione si farà sentire...

Nel migliore dei casi sarà un'inaugurazione guardinga, dalla tensione alta, dominata dalla preoccupazione di uscirne vivi...
Il solito inutile sperpero di soldi.
Gli abbadiani e progressisti a dire "tutto bello" e i loggionisti e tradizionalisti a dire "tutto brutto".
E non ci sarà alcuna festa...

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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda Maugham » sab 03 gen 2009, 22:26

marco ha scritto:inizio ringraziando per gli interventi su Guth che mi hanno molto incuriosito e invogliato a vedere spettacoli di questo registo
arrivando al tema e lasciando perdere almeno in parte la fantasia, ricordo che il prossimo 7 dicembre dovrebbe essere affidata ad una nuova Carmen diretta da Baremboim di cui non ricordo sia mai stato annunciato il regista


Non ci credevo ma ne ho avuto conferma.
http://tinyurl.com/8ss7fq
:shock: :shock: :shock:
Ora sono al lavoro.
Non riesco a scrivere di più.
Ne parleremo nei prossimi giorni.
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda VGobbi » sab 03 gen 2009, 23:42

Maugham ha scritto:
marco ha scritto:inizio ringraziando per gli interventi su Guth che mi hanno molto incuriosito e invogliato a vedere spettacoli di questo registo
arrivando al tema e lasciando perdere almeno in parte la fantasia, ricordo che il prossimo 7 dicembre dovrebbe essere affidata ad una nuova Carmen diretta da Baremboim di cui non ricordo sia mai stato annunciato il regista


Non ci credevo ma ne ho avuto conferma.
http://tinyurl.com/8ss7fq
:shock: :shock: :shock:
Ora sono al lavoro.
Non riesco a scrivere di più.
Ne parleremo nei prossimi giorni.

Credevo che il tuo stupore fosse derivato dalla scelta di Guth per inaugurare la prossima stagione scaligera. Mi sono sbagliato, a quanto pare ... :lol:
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda Maugham » dom 04 gen 2009, 12:23

VGobbi ha scritto:Credevo che il tuo stupore fosse derivato dalla scelta di Guth per inaugurare la prossima stagione scaligera. Mi sono sbagliato, a quanto pare ... :lol:


Caro Vit. Io sono un possibilista.
A volte scelte apparentemente bizzarre si rivelano vincenti.
E vero.
E uno spettacolo lo si giudica a posteriori.
Però... questa volta non riesco davvero a capire la scelta della Dante per Carmen.
E' come se Bing avesse deciso di inaugurare il Met con un Aida affidata al Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina.

Libero subito il campo da dubbi.
La Dante è un talento.
Ho visto quasi tutti i suoi spettacoli. Alcuni, Carnezzeria, Vita mia, 'mPalermu, La scimia sono notevoli.
Il suo però è un teatro, per capirci... off-off-off-Broadway :D
E soprattutto un teatro da camera, adatto a piccoli spazi, con le tecniche e i ritmi narrativi della ricerca e del laboratorio.
Un teatro fatto di rabbia, violenza, fisicità esasperata, emarginazione e sofferenza.
Un teatro in cui l'uso della lingua (il siciliano) si colora di poesia antica e rocciosa.
Un teatro duro, ossessivo, martellante, che disturba.
La Dante -sebbene sia stranota nell'ambito del teatro di ricerca e tra gli addetti ai lavori europei- è comunque una regista -perdonate il termine ma è quello corrente- "sperimentale".
Se vuoi apprezzare un suo spettacolo devi andarci preparato. O comunque bendisposto nei confronti di tutto quello che vedrai.
A volte ne vale la pena. A volte meno.
Sta di fatto che il cosiddetto teatro di ricerca lo fanno in diecimila in Italia ma solo pochi nomi riescono a imporsi sulla scena europea.
Due di questi sono ad esempio Emma Dante e Pippo Delbono (quest'ultimo poi è straordinario ed è stato allievo della Bausch e si vede).
La Dante inoltre è un esempio notevole di coraggio e autonomia. Una rarità nel nostro teatro fatto di statalismi e pianti sulle magre sovvenzioni.
Rifiutando le facili sirene del teatro pubblico (un talento come lei in molti hanno provato a metterselo in casa) e quindi anche i budget notevoli di cui poteva disporre ha sempre lavorato con pochi mezzi, in condizioni precarie e con difficoltà.
Insomma, è un bel tipo.
Però è un'artista abituata a lavorare in completa autonomia.
Non ha mai affrontato un copione di tradizione. Che io sappia.
Ha sempre lavorato con il suo gruppo di attori che praticamente recitano solo con lei.
Attori-mimi-danzatori del tutto particolari e... fuori dal coro. :)
Ha fatto dell'autonomia e della libertà creativa le fondamenta della sua poetica.
Ha un mestiere che, per come la vedo io, è all'opposto di quello richiesto per montare una produzione operistica.
Alla Scala poi, addrittura per l'inaugurazione con un titolo come Carmen! :shock:
Nell'opera i legacci lessicali, sintattici, tecnici, musicali, organizzativi, tempistici sono centomila.
Proprio tutto quello che lei ha sempre rifiutato con fermezza e coraggio.
E poi nella Carmen ci sono le masse. Lei ha sempre lavorato al massimo con cinque/sei attori in scena...
Sta di fatto che, nell'articolo di Repubblica, già dichiara che metterà in scena i suoi attori come mimi. :cry:
E poi, un anno Zeffirelli, poi Chereau, poi Brauschweig, poi la Dante... e l'anno 2010? Spike Lee? Brachetti? Il Cirque du Soleil? o mal che vada la Zambello?
C'è un percorso dietro a queste scelte?
Comunque, Emma Dante o meno, sotto il profilo musicale in questa Carmen siamo già al rimasticato e alla terza visione (Kaufmann in Don Jose? meglio tardi che mai però l'hanno già fatto altri) o alla seconda (Baremboim sul podio in Carmen e Domaschenko che addirittura l'ha già fatta anche a Verona).
Penso che la Scala si meriti, almeno per l'inaugurazione, debutti di prima mano, no?

MatMarazzi ha scritto:e non ci sarà nessuna festa


Questo senza dubbio.


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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda VGobbi » dom 04 gen 2009, 14:27

Leggendo il tuo intervento, e sapendo della tua competenza in ambito registico (cosi' come di altri che scrivono sul forum), mi dovrei preoccuparne della scelta.

Eppure potrebbe essere l'inizio di una nuova era nell'affrontare il repertorio tradizionale, come appunto e' la Carmen. E chi meglio della Dante, regista fuori da ogni logica, puo' davvero rinnovare il teatro lirico italiano, troppo imbolsito dai Zeffirelli, De Ana o Pizzi di turno.

Dai, diamogli questa possibilita' e vediamo cosa riuscira' a combinare.

Anzi, colgo l'occasione per lanciare diversi spunti di questa intervista (articolo di Lorenzo Arruga) :

- Lissner farebbe carte false per far ritornare Abbado e Muti (fin qui niente di nuovo).
- il sovritendente ha detto che non ha mai sentito una pressione cosi' forte come qui a Milano. Auspicherebbe di "divertirsi di piu', nelle prove, darsi e godere di piu', vivere gia' il clima della recita ...".
- tocca il tema della prossima inaugurazione scaligera, confermando la presenza di Barenboim, Kaufmann e Schrott. Inoltre per la regia "vogliamo a ragion veduta quella visionaria e sanguigna italiana, Emma Dante".
- dice di aver sognato una Lucia di Lammermoor con la Netrebko, ma confessa come "sia arduo in ogni caso offrire alla Scala prospettive nuove". E qui secondo me, delude assai. Purtroppo sembra confermare le impressioni rilasciate da Mat, ovverossia la paura della sovritendenza scaligera del giudizio del loggione.
- aggiunge che "noi non siamo contro la tradizione : sa che nei Due Foscaria verra' sul podio il vostro mitico Nello Santi?".
- anticipa per le stagioni future la "Lulu'" diretta da Gatti, l'arrivo di Pappano con un'opera italiana, il rientro di Filianoti nell' I"Idomeneo" diretto da Chung.
- ritorna sul caso "Filianoti", ribadendo per l'ennesima volta che stava davvero male, ecco il motivo della sostituzione.

Cosa ne dite? Mi sembra che non manchino spunti per discutere.
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda Tucidide » dom 04 gen 2009, 15:07

Maugham ha scritto:Comunque, Emma Dante o meno, sotto il profilo musicale in questa Carmen siamo già al rimasticato e alla terza visione (Kaufmann in Don Jose? meglio tardi che mai però l'hanno già fatto altri) o alla seconda (Baremboim sul podio in Carmen e Domaschenko che addirittura l'ha già fatta anche a Verona).
Penso che la Scala si meriti, almeno per l'inaugurazione, debutti di prima mano, no?

Non necessariamente.
Secondo me non dovremmo comunque dimenticare l'essenza primitiva del teatro lirico, che è in sostanza una novità continua, dinanzi a pubblici sempre nuovi. In questo senso, anche la quattrocentesima recita di Del Monaco come Otello fu "nuova", costituì una "novità" per coloro che lo videro quella sera per la prima volta.
L'opera, anche se si è crogiolata e ha tratto nuovi spunti e nuova linfa dalle moderne tecnologie, che l'hanno assimilata al cinema sia per l'importanza della componente visiva, sia per lo sviluppo del DVD, è pur sempre spettacolo teatrale.
Rifare "Le verità nascoste" uguale uguale, sempre con Harrison Ford e Michelle Pfeiffer, sarebbe inutile, visto che già esiste.
Invece, è giusto che un cantante rifaccia anche tante volte lo stesso ruolo in teatri diversi, se ha la voce e la mentalità per quel personaggio. La ripetizione perde di senso se mutano le caratteristiche del cantante, sia vocali, sia scneiche, sia interpretative.
Avere il Don José di Kaufmann alla Scala, anche se l'ha già fatto alla ROH e a Zurigo, ed esiste il DVD, costituisce pur sempre "una prima volta" per il pubblico italiano. Anche se magari in molti abbiamo visto il suo Don José o a teatro o in video il discorso non cambia.
E poi ricordiamoci che spesso i debutti non sono il meglio che il cantante offre in quel ruolo. Chissà come la Callas avrebbe affinato la Lady Macbeth, se l'avesse cantata altre volte.
In fondo, il Sant'Ambrogio del 2007 vide fra i migliori la Meier, alla sua ennesima Isolde. :D
E nello scorso Don Carlo, chi è andato meglio? Furlanetto, veterano di Filippo II, mentre la debuttante Elisabetta della Cedolins è stata deludente.
Non sono convinto che ci vogliano per forza debutti importanti e di spicco per la Prima della Scala.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda Maugham » dom 04 gen 2009, 15:35

Tucidide ha scritto:
Avere il Don José di Kaufmann alla Scala, anche se l'ha già fatto alla ROH e a Zurigo, ed esiste il DVD, costituisce pur sempre "una prima volta" per il pubblico italiano. Anche se magari in molti abbiamo visto il suo Don José o a teatro o in video il discorso non cambia.
Non sono convinto che ci vogliano per forza debutti importanti e di spicco per la Prima della Scala.


Vedi, secondo me tu confondi uno spettacolo in stagione con l'Inaugurazione.
Non ho detto assolutamente che K. non debba "fare" José alla Scala.
Ma l'inaugurazione è un'altra cosa.
Lo spettacolo inaugurale deve essere una vetrina di tutte le potenzialità artistiche, tecniche, organizzative, gestionali e promozionali del teatro.
Non lo si fa esclusivamente per gli italiani o i milanesi che girano poco.
Lo si fa per tutto il mondo.
E tre seconde visioni in un titolo inaugurale, per quanto pregevoli, secondo me, non sono proprio un luccicante biglietto da visita in quanto a lungimiranza artistica.
Poi sono molto felice di sentirmi la Denoke nel Makropoulos.
Come sono stato felice di sentire la Silja.
Ciò non toglie che si sia trattato di... seconde visioni.
E comunque erano in stagione.
Ciao
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Re: Fantasie da 7 dicembre

Messaggioda MatMarazzi » dom 04 gen 2009, 20:07

Tucidide ha scritto:Secondo me non dovremmo comunque dimenticare l'essenza primitiva del teatro lirico, che è in sostanza una novità continua, dinanzi a pubblici sempre nuovi. In questo senso, anche la quattrocentesima recita di Del Monaco come Otello fu "nuova", costituì una "novità" per coloro che lo videro quella sera per la prima volta.


Come sempre le tue argomentazioni sono brillanti.
Eppure...
Io ti posso riferire la mia esperienza, che forse non è la tua...
Io ho spesso osservato (non sempre...spesso!) che un personaggio si indebolisce a mano a mano che l'interprete lo replica.
Le emozioni, la voglia di convincere, la sincerità che animano l'artista ai suoi primi passi, spesso cedono negli anni, di fronte alla sicurezza della frequentazione, alla consapevolezza del gradimento del pubblico, ormai non più da conquistare.
Questo vale anche per l'esempio da te citato: il Del Monaco del 1951 guerreggiava in Otello come il "giovane" che "osa" confrontarsi al personaggio; e metteva in campo ciò che lo rendeva singolare (la gioventù, la fisicità atletica, la declamazione di slancio neorealista) per fare qualcosa di diverso.
Il Del Monaco di dieci anni dopo non era solo un po' indurito vocalmente: era anche imbolsito dalla gloria, ormai meccanico nelle reazioni, irrigidito nel suo essere ritenuto (e ritenersi) l'unico Otello possibile. Era bravo, intendiamoci, bravissimo, ma le emozioni che poteva dare non erano le stesse che dava nei primi anni.

Lo dico piano, piano :) ma avendo vissuto la stessa parabola con la Jenufa della Silja (che ho visto dal vivo in un arco di diciotto anni), devo dire la stessa cosa anche di lei.
La grandezza interpretativa? E' rimasta la stessa! E anche vocalmente - a giudicare dall'ultima volta alla Scala - non è troppo cambiata.
Ma la freschezza di quella prima volta a Bruxelles... la verità del suo canto... la sua stessa incredulità di donna ancora giovane, bella, nemmeno cinquantenne, abituata alle grandi seduttrici, Lulu e Salome fino al giorno prima... che si ritrova "madre", "vedova", sacrestana!!!
L'abbraccio disperato a Jenufa nel secondo atto... come se si sentisse ancora tutta dalla sua parte.
Impagabile! Anzi di più... indescrivibile.
Tutto questo non è sopravvissuto alla gloria, alla conquista del mondo: è rimasta la grande cantante-attrice.

Vogliamo parlare della Lady Macbeth della Gencer?
Della sua alterezza pudica e favolosa nel 1960, quando tutti dicevano che la voce era troppo piccola e che ruoli così drammatici non facevano per lei?
In quel pudore, quell'alterezza viveva un personaggio stupendo, perito miseramente (appena otto anni dopo) fra le smargiassate da tiranna cattiva di quando la sua Lady fu gloriosa.

Poi, certo, casi di "crescita" in corso di repliche ci sono... Altroché..
Se si paragonano le Traviate e le Norme della giovane Callas a quelle (fantasmagoriche) della maturità (gli stupidi dicono del "declino"), si resta perplessi...
E tuttavia resto dell'idea che siano numericamente meno significativi.
Secondo me la maggior parte degli interpreti resta "vero" fintantoché il personaggio è fresco.

Tutto questo non c'entra nulla col discorso di Kaufmann (il cui José è ancora molto fresco).
A questo proposito infatti voglio solo aggiungere che sottoscrivo quel che afferma Maugham.
L'inaugurazione della Scala deve potersi permettere debutti rilevanti...
Secondo te, farà più clamore questo Don José alla Scala o il Lohengrin che Kaufmann debutterà il prossimo luglio a Monaco? Secondo te l'interesse della stampa e degli appassionati verso quale dei due eventi si indirizzerà?

In fondo, il Sant'Ambrogio del 2007 vide fra i migliori la Meier, alla sua ennesima Isolde. :D
E nello scorso Don Carlo, chi è andato meglio? Furlanetto, veterano di Filippo II, mentre la debuttante Elisabetta della Cedolins è stata deludente.


E questo secondo te perché?
Se vuoi te lo posso dire io! :)
Perché è proprio nel proporre debutti vincenti che si vede la bravura di un direttore artistico.
Indovinare il "ruolo giusto" per un grande cantante è cosa difficilissima: troppe le variabili, troppe le incognite...
Bisogna intendersi di voce, di canto... bisogna capire le potenzialità di un artista... intuire la miscela che produrrà a contatto con un certo ruolo!
E' MOLTO difficile... Solo i veri grandi direttori artistici ci riescono.
Anzi, se mi permetti, vorrei darti un suggerimento per valutare la bravura di un direttore artistico: vedere quanti "debutti rilevanti" ha collezionato nelle sue stagioni.
I pessimi direttori artistici invece si vedono dal fatto che riescono a raccogliere successi solo con personaggi creati altrove, con vecchie dive o vecchi divi la cui bravura è già stata dimostrata in quei teatri governati da grandi direttori artistici...

A fare i cast di Lissner siamo capaci tutti.

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