Del "modo antiquo"

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Del "modo antiquo"

Messaggioda pbagnoli » gio 04 nov 2010, 21:12

Argomento fondamentale, specie ai nostri tempi, quello della filologia. Ma anche piuttosto spinoso, diciamocelo.
Cercare di farvi ordine è un vero casino, ce l'ho ben presente da anni ma me ne sto rendendo conto sempre di più in queste ultime settimane di vera e propria passione per la Messa in Si minore di Bach, che sto ascoltando in mille versioni diverse, classiche, moderne, con grandi orchestre, con grandi cori o con organici ridotti all'osso, con mezzosoprani di estrazione operistica o con controtenori.
Ma soprattutto: gli strumenti!
Io non so esattamente quando gli interpreti hanno cominciato ad interessarsi ad una prassi interpretativa diversa ma, per amore di discussione, proverei molto arbitrariamente a schematizzare i direttori come segue:
:arrow: i precursori: sono quelli degli strumenti striduli, vetrosi, e delle sonorità aspre. Scarsa fantasia esecutiva, noia da tagliare a fette o, in alternativa, imprecisioni musicali a catafascio. E' il periodo di Malgoire, Parrott, Pinnock, il primo Harnoncourt, Leonhardt, Leppard
:arrow: la trimurti, come li chiama scherzosamente Elvio Giudici: sono lo stesso Harnoncourt, Hogwood e Gardiner. Il discorso comincia a prendere forma e le incisioni hanno una loro dignità non solo musicale, ma anche interpretativa. Gardiner realizza una serie di incisioni mozartiane fondamentali, tutte collaudate prima in teatro
:arrow: i ragazzi terribili: sono William Christie, Christophe Rousset e Marc Minkowski. Le loro orchestre hanno ormai un suono rifinito, pulito, tornitissimo. Sono gli anni della grande riscoperta del repertorio di Haendel e degli abbinamenti con cantanti non solo specialisti, ma anche più famosi che scoprono un modo diverso di cantare (si pensi alla realizzazione dell'Alcina di Christie) e delle regie che permettono di aprire un mondo di insospettato fascino: si pensi a Carsen
:arrow: i vivaldiani: la grande riscoperta del repertorio vivaldiano è guidata dall'ortodosso e rifinito (e raffinato) Federico Maria Sardelli e dall'aggressivo e violento Jean-Christophe Spinosi, dai riff esasperati. Ma ci sono anche Fasolis e Marcon
:arrow: i ragionieri: soprattutto Alan Curtis. Scarsa fantasia esecutiva ma estrema costanza nel rendimento. Sono i grandi regolaristi e consegnano al pubblico un repertorio "di studio". Per qualcuno in questo ambito dovrebbe essere inserito anche McCreesh, ma ho dei dubbi: la sua Matthaus-Passion è veramente rivoluzionaria nell'approccio
:arrow: i rivoluzionari: sono quelli che, oltre a scegliere un modo antiquo, si sforzano di dire qualcosa di veramente nuovo. Direi che il capofila di essi è René Jacobs: il suo Mozart è qualcosa che scuote la prassi esecutiva dalle fondamenta
:arrow: i bachiani: citerei innanzitutto e sopra tutti: Herreweghe e il grandissimo Suzuki. Ma anche l'eccentrico - pur se discontinuo - Ton Koopman merita almeno una citazione per aver registrato un'integrale della Cantate

Che ne dite?
Schematizzazioni arbitrarie?
Oppure ci si può provare a costruire una discussione?
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda Tucidide » gio 04 nov 2010, 22:43

Perbacco, Pietro, ci imbarchiamo in un argomento con i controco...rbelli. : Chessygrin :
Io personalmente parlerei di "pre-precursori"... uhm... suona male, ma non saprei come dire, cioè di quei direttori che ancora non usavano strumenti "alla maniera antica", ma ricercavano almeno una parvenza di suono più terso e trasparente, che poi mi pare, almeno al principio, l'obiettivo dei barocchisti.
Ci sono certe incisioni di Mackerras che sono formidabili, da questo punto di vista, in particolare amo molto il suo Judas Maccabaeus inciso per l'Archiv con un buon Davies come protagonista.
Anche Leppard, mi pare, era su questo versante. Il suo Samson con un eccellente Robert Tear nel ruolo del titolo, è bellissimo.
pbagnoli ha scritto: :arrow: i precursori: sono quelli degli strumenti striduli, vetrosi, e delle sonorità aspre. Scarsa fantasia esecutiva, noia da tagliare a fette o, in alternativa, imprecisioni musicali a catafascio. E' il periodo di Malgoire, Parrott, Pinnock, il primo Harnoncourt, Leonhardt, Leppard

Malgoire non piace nemmeno a me. Gli metterei al fianco quella barba tremenda di McGegan, mentre personalmente trovo Pinnock molto mosso ed efficace. Il suo Messiah a me piace molto, anche se purtroppo deve sopportare Tomlinson :twisted: come basso.

:arrow: la trimurti, come li chiama scherzosamente Elvio Giudici: sono lo stesso Harnoncourt, Hogwood e Gardiner. Il discorso comincia a prendere forma e le incisioni hanno una loro dignità non solo musicale, ma anche interpretativa. Gardiner realizza una serie di incisioni mozartiane fondamentali, tutte collaudate prima in teatro

Harnoncourt, come dici, parte con un'idea del suono e dell'agogica molto più aspra degli altri due: il suo Monteverdi, lo confesso, per me è insuperato. In particolare nell'Ulisse dipinge un mondo barbarico di suggestione incredibile (e la Barberian... : Love : vogliamo parlarne?). Gardiner è, se vogliamo, il più raffinato e intellettuale, nonché quello che ha saputo esulare dal suo terreno di elezione con i risultati migliori. Hogwood non mi ha mai convinto del tutto. La sua Academy suona benissimo, ma mi pare una specie di Curtis ante litteram... Mi pare che sia migliorato invecchiando: il suo Rinaldo con Daniels è stupendo.

:arrow: i vivaldiani: la grande riscoperta del repertorio vivaldiano è guidata dall'ortodosso e rifinito (e raffinato) Federico Maria Sardelli e dall'aggressivo e violento Jean-Christophe Spinosi, dai riff esasperati. Ma ci sono anche Fasolis e Marcon

Marcon mi piace molto, mentre conosco poco Fasolis. Non mi ritrovo molto nella definizione di Sardelli come "rifinito e raffinato": la sua Juditha è di gran lunga la più scatenata che sia mai stata incisa. : Chessygrin : In questo non ha nulla da invidiare a Spinosi.

:arrow: i rivoluzionari: sono quelli che, oltre a scegliere un modo antiquo, si sforzano di dire qualcosa di veramente nuovo. Direi che il capofila di essi è René Jacobs: il suo Mozart è qualcosa che scuote la prassi esecutiva dalle fondamenta

Non ho ascoltato tutto il suo Mozart, ma mi pare (attendo però una smentita) che la strada di Jacobs sia stata in realtà aperta da Gardiner, il cui Don Giovanni, per la scelta dei tempi e il colore orchestrale, è un vero uppercut alla tradizione. Ricordo che quando lo ascoltai per la prima volta rimasi così: :shock: . Non avevo mai sentito nulla di simile, e il primo istinto fu quello di sassare via tutto incazzato nero. «Non si dirige così Mozart!!! :evil: :evil: :evil: » Adesso è uno dei miei preferiti, e la penultima scena (quella della morte del Don) secondo me è formidabile! : Chessygrin :
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda Maugham » mer 10 nov 2010, 10:03

pbagnoli ha scritto:Che ne dite?
Schematizzazioni arbitrarie?
Oppure ci si può provare a costruire una discussione?

:shock: :shock: :shock:
Cosa vuoi che ti dica? Mi era sfuggito questo post.
Complimenti Bagnolo! Una sintesi chiara, perfetta, lucida che invoglia all'approfondimento.
Ti perdono l'abbinamento Matthaus-Gibson. :D
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda teo.emme » mer 10 nov 2010, 13:25

Premetto che, per taluni casi della sorte, ho cercato di approfondire il più possibile il problema del "modo antiquo": nelle sue costruzioni teoriche, nella sua ideologia (l'aspetto che meno mi convince) e nelle sue realizzazioni pratiche (la questione, alla fine, più importante). Premetto pure che oggi è indispensabile affrontare il fenomeno (sia per chi lo sostiene sia per chi lo critica). I barocchisti sono oggi una realtà: realtà in evoluzione, rispetto alle prime pionieristiche esperienze. Peraltro l'argomento non andrebbe ristretto alle sole orchestre cosiddette "filologiche" (espressione brutta ed inesatta), ma esteso ad orchestre "moderne" (espressione altrettanto brutta ed inesatta), che suonano con un approccio "antiquo". Penso, ad esempio all'ultimo Abbado (che affronta Pergolesi con un orchestra nominalmente "moderna", ma che nulla concede - in termini di suono, dinamiche ed espressione - ad una certa tradizione esecutiva: basta sentire le differenze tra i due Stabat Mater incisi, il primo dai toni crepuscolari e malinconici, il secondo che trasuda di urgenza drammatica, asprezza e tensione) e all'uso del vibrato, ma anche il Bach di Chailly con i complessi di Lipsia (moderni certo, ma non assimilabili alla pienezza e sontuosità di orchestre sostanzialmente brahmsiane), o il Mozart di Fischer con la splendida Danish National Chamber Orchestra (orchestra moderna, ma di estrema trasparenza e tensione: il suo Idomeneo, appena uscito, è decisamente da ascoltare), ma anche Mackerras. Il discorso si amplierebbe certamente, e forse si rischierebbe di andare fuori tema. Comunque, tornando alla classificazione, vorrei fare alcune considerazioni:
1) tra i precursori - con strumenti vetrosi e sgradevoli - non metterei Pinnock, che ha sempre avuto una cura speciale per il suono, mai stridente o secco (penso all'integrale delle sinfonie mozartiane o al suo Haydn). Tra di essi, invece, inserirei Ostman, che tra l'altro, non mi pare abbia mai avuto una vera evoluzione: sempre restato grigio, stridente e secco. Così come Norrington.
2) l'accostamento di Harnoncourt a Hogwood e Gardiner è, secondo me, forzato (colpa di Giudici intendiamoci): le sue scelte esecutive sono sempre state opposte ai suoi due colleghi, a cui è accomunato solo dal lungo corso musicale e dalla mole di incisioni. Oltretutto Harnoncourt non si è mai dedicato alle sole orchestre filologiche, ma ha sempre tenuto rapporti con compagini più tradizionali (sempre attraverso un'interpretazione personale e atipica) come tutto il suo Mozart.
3) sul Mozart di Gardiner nutro più di un dubbio: non tutte le incisioni sono riuscite e talune sembrano rispondere a vecchi stereotipi del Mozart rococò.
4) aggiungerei la categoria dei "monteverdiani": Vartolo, Garrido, Cavina, sono realtà ormai imprescindibili nel panorama della musica prebarocca, inoltre costituiscono un decisivo passo avanti, nell'estetica del recitar cantando, rispetto a certi goffi risultati anglosassoni (o tedeschi), soprattutto per ciò che concerne la resa del testo, fondamentale in Monteverdi.
5) tra i vivaldiani inserisco Estefan Velardi: un "folle" che ha inciso integralmente Il Giustino...più lungo del Gotterdammerung.
6) tra i ragionieri trovo ingiusto l'inserimento di McCreesh (il cui Handel non è affatto paragonabile al soporifero Curtis), mentre avrei aggiunto McGegan e Koopman.
7) c'è poi una serie di recenti (più o meno) talenti, del tutto originali e dal repertorio particolarmente vario: Jos van Immerseel, Thomas Fey, Martin Pearlman.

Sicuramente all'appello mancano tanti altri nomi (si pensi all'universo handeliano: gli oratori incisi da Neumann, l'imprescindibile integrale delle cantate italiane realizzate dalla Risonanza di Fabio Bonizzoni, Robert King e le importanti incisioni Hyperion).

Che ne pensate?
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda pbagnoli » mer 10 nov 2010, 14:50

Ottime considerazioni!
Hai ragione, non mi ricordavo di Ostman e neppure di Garrido che, effettivamente, è uno dei più intriganti del periodo più recente.
Giuste poi le considerazioni sull'uso di orchestre moderne con un modo antiquo: non ho ascoltato l'ultimo Pergolesi inciso da Abbado, ma anch'io ne avevo sentito parlare in questi termini.
Amo abbastanza McCreesh, ma secondo me non ha una fantasia esecutiva così scatenata come quella di - poniamo - un Minkowski; era in tal senso che l'ho messo fra i "ragionieri", ma - come hai letto - con molti dubbi. La sua Matthaus Passio, per esempio, è veramente coinvolgente e assomiglia per impostazione a quella stratosferica di Suzuki.
Non conosco Estefan Velardi: mi hai veramente incuriosito, approfondirò!
Su Gardiner invece la penso diversamente: per me non ha proprio nulla di rococò. E anche sul rococò è necessario intendersi: il Mozart "viennese" (se a questo alludi), come sostenuto spesso da questo sito, è stata una tappa fondamentale nel processo interpretativo. Io l'ascolto ancora oggi molto volentieri e non credo che quello "italiano" gli sia così superiore come spesso sostenuto dalla critica de noantri. Ma non vorrei uscire dal topic
Grazie comunque per il prezioso contributo!
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda Tucidide » mer 10 nov 2010, 15:03

Di Gardiner non conosco tutto il Mozart inciso. Il suo Don Giovanni è forse il più "radicale", mentre le Nozze sono leggermente meno "strappate". I tempi soprattutto sono quello che più mi colpisce del suo modo di interpretare il salisburghese.
Teo, interessanti i tuoi commenti sull'ideologia barocchista. Ho letto spesso che, deposta la bacchetta ed impugnata la penna, i direttori-guru spesso si lanciano in affermazioni molto "forti", non sempre facilmente condivisibili.
Vorrei chiedere dove sia possibile leggere queste dichiarazioni, se nei libretti delle incisioni, su internet, libri o altro. E quali sono i direttori più estremisti da questo punto di vista? Mi incuriosirebbe approfondire questo aspetto.
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda teo.emme » mer 10 nov 2010, 20:59

Velardi è un personaggio atipico, ha inciso in particolare Scarlatti e Stradella (autore a cui ha dedicato il suo ensemble: lo Stradella Consort). Il suo Giustino è una scommessa: presentare oggi 5 ore di arie tripartite e recitativi secchi può apparire folle, ma il risultato è sorprendente.
Su Gardiner: col riferimento al rococò non intendevo richiamare affatto il Mozart "viennese" quanto, piuttosto, il garbo innocuo, l'umorismo a denti stretti, l'eleganza leziosa, la superficialità di certo Mozart anglosassone, che potrà andare benissimo per accompagnare i pettegolezzi di dame e gentiluomini tra le porcellane di una sala da tè vittoriana, ma che non rende affatto giustizia al genio di Salisburgo. Ecco in talune incisioni di Gardiner - non in tutte - ritrovo questo atteggiamento (una sorta di riproposizione moderna del Mozart di Beecham) soprattutto nelle Nozze di Figaro e nel Flauto Magico.
In generale noto che l'apporto di compagini italiane (o di matrice italiana) abbia migliorato e rinfrescato il genere: non per nazionalismo, ma perchè, nei fatti, si riesce finalmente a rendere giustizia ad aspetti prima trascurati, come la lingua e lo stile di canto.
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda pbagnoli » ven 12 nov 2010, 16:33

teo.emme ha scritto:Su Gardiner: col riferimento al rococò non intendevo richiamare affatto il Mozart "viennese" quanto, piuttosto, il garbo innocuo, l'umorismo a denti stretti, l'eleganza leziosa, la superficialità di certo Mozart anglosassone, che potrà andare benissimo per accompagnare i pettegolezzi di dame e gentiluomini tra le porcellane di una sala da tè vittoriana, ma che non rende affatto giustizia al genio di Salisburgo

Mah, Teo... Chacun a son gout, come direbbe il Conte Orlowsky, e tuttavia...
Come sai, qui alcuni di noi hanno una predilezione particolare per il Mozart inglese: non ci sembra affatto superficiale e, se ricordi, ne avevamo già parlato a proposito della recente morte di Anthony Rolfe-Johnson. Personalmente credo, per esempio, che Langridge non sia stato affatto superficiale né lezioso nel suo approccio a Mozart, e così tutti gli altri.
Hanno una scuola ben strutturata e famosa.
Hanno iniziato a occuparsi seriamente di questo repertorio da molto tempo e in modo approfondito.
Si sono posti il problema di superare le convenzioni: direi che, da questo punto di vista, Gardiner è un ottimo esempio di come gli inglesi abbiano saputo rimettersi in discussione, a meno che ovviamente tu voglia considerare Gardiner non come inglese ma come... Gardiner!
Tu dici, ma io non ho mai sentito né pettegolezzi, né sale da tè vittoriane nel Mozart inglese, ma rispetto il tuo punto di vista
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Re: Del "modo antiquo"

Messaggioda teo.emme » ven 12 nov 2010, 17:44

teo.emme ha scritto:...il garbo innocuo, l'umorismo a denti stretti, l'eleganza leziosa, la superficialità di certo Mozart anglosassone, che potrà andare benissimo per accompagnare i pettegolezzi di dame e gentiluomini tra le porcellane di una sala da tè vittoriana, ma che non rende affatto giustizia al genio di Salisburgo. Ecco in talune incisioni di Gardiner - non in tutte - ritrovo questo atteggiamento (una sorta di riproposizione moderna del Mozart di Beecham) soprattutto nelle Nozze di Figaro e nel Flauto Magico...


Caro Pietro, come vedi il mio discorso era circoscritto ad alcuni titoli in particolare e ad alcuni atteggiamenti interpretativi. Mai mi son sognato di generalizzare e di inserire in una categorie. Tuttavia, tornando a Gardiner, non posso non notare una differenza tra Nozze e Flauto, rispetto a Ratto, Clemenza e Don Giovanni.
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