Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Mirella Freni

Messaggioda dottorcajus » dom 22 ago 2010, 15:18

Chiedo venia per l'errore sulla prima americana di Salomè. Conoscevo la prima del Met ma, sbagliando opera, pensavo fosse stata data solo in forma di concerto.
Questa biografia di Hammerstein credo sia utile a comprendere il clima in cui si muoveva la lirica in quegli anni. Perse la sua battaglia non per insipienza ma solo perchè il Met aveva dalla sua le famiglie più ricche di New York.
Roberto
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Re: Mirella Freni

Messaggioda Triboulet » dom 22 ago 2010, 21:30

MatMarazzi ha scritto:Come dicevo sopra, Triboulet, non possiamo oggi applicare sic et simpliciter il modello "personalità" come si faceva nell'800, aggiustando le parti sulle caratteristiche del cantante, perché oggi questo non rientra più nelle "regole del gioco"


Perdonatemi se vi riempio di domande, ma avrei un'altra curiosità...
Visto che siamo in tema di ricostruzioni storiche, come si rapportavano i compositori rispetto a queste licenze? Si sà che specie nel primo ottocento non era infrenquente il rimaneggiamento di loro pugno delle partiture per adattare una parte alle esigenze di una cantante, ma quando questo adattamento veniva dall'interprete che opinione avevano?

Sapete, ci sono delle testimonianze riguardo al fatto che Chopin si dice prediligesse gli allievi che dimostravano di suonare la sua musica in maniera quanto più differente da come la suonava lui (per lui era sinonimo di personalità), oppure Liszt che operava stravolgimenti sulla musica altrui e le accettava di buon grado sulla propria, sia a fini poetici che "tecnici" ("quando i pianoforti in futuro saranno migliori sarà giusto cambiare la mia musica"), oppure di Rachmaninov che giudicava le arbitrarie esecuzioni di Horowitz come le migliori possibili della sua musica (Horowitz arrivò a mischiare due versioni di una sonata quando il compositore era ancora in vita). O anche più indietro, Beethoven (che fu obbligato a mettere le indicazioni metronomiche su tutte le sue partiture) che scrisse che il metronomo non serviva a nulla, non aiutava l'inteprete musicale (che non ne aveva bisogno), non risollevava l'interprete mediocre.
Sono cose che so perchè nei miei (pochi) anni di pianoforte mi ero posto anche io questa questione etica, chiamiamola così, e quindi mi ero un po' documentato.

Ecco, se questo è vero nella letteratura pianistica, un Verdi o un Puccini come prendevano certe libertà quando queste arrivavano da interpreti di eccellenza? ci sono testimonianze di dichiarazioni tipo "non è come l'avevo scritto, ma è sublime..." oppure sul rapporto voce/possibilità di eseguire lo spartito senza modifiche? Erano davvero così filologici come lo siamo noi? o contava la sostanza? (banalizzo un po').
Le regole del gioco erano in altre parole condivise dai compositori oppure accettate passivamente come prassi usuale?

MatMarazzi ha scritto:Visto che ora si punta alla valorizzazione fin nei dettagli di un determinato testo (legato alle ur-edizioni o successive rivisitazioni d'autore) assunto come base statica dell'interpretazione - senza alterazioni di tonalità, tagli, addirittura in lingua originale - occorre essere proprio certi di disporre del cantante giusto, anche dal punto di vista vocale, intendendosi per giusto il più vicino possibile al primo interprete o comunque in grado di far fronte alla scrittura originale senza aggiustamenti di sorta.


A me francamente l'atteggiamento di oggi mi pare un po' feticista, nel senso letterale del termine, cioè la ricerca del piacere nel particolare.
Tentiamo di ricostruire qualcosa che è andato perso per sempre, o forse non è mai esistito fisicamente. Qualcosa che forse non era neanche così importante per chi l'ha scritto (è una supposizione). Nella ricerca e nella salvaguardia del particolare ci stiamo perdendo il disegno complessivo.
Ecco volevo una conferma storica di questo mio pensiero, se esiste.
Perchè se francamente non capisco la facilità con cui si cancellavano fino a qualche anno fa interi numeri musicali da un'opera, d'altro canto non capisco neanche questa moderna smania di integralismo (se non è in tono, non ci sono tutti i ritornelli e le cadenze, non è in lingua originale, se i cantanti non sono di quella scuola... allora non è buono già in partenza).
Prima nell'aria della canzone di Rosina ci cantavano tutta la Semiramide, adesso se ci sono due note in più "non rispetta lo spartito" (vedi situazioni paradossali con Muti che toglie il do della pira ma costringe l'Azucena di turno al do acuto in cadenza perchè "quello è scritto"), mi sembrano esagerazioni in tutti e due i sensi.

Per me il problema è questo: non si possono avere entrambe le cose (o meglio questo accade molto raramente), allora quale sacrificare?
Se prima eravamo vittima delle attitudini interpretative ora siamo vittima della smania della sacralità del testo e non badiamo più agli interpreti (e quindi la Freni va bene per tutto, purchè sia in grado di cantare tutte note). Che abbiamo concluso? siamo comunque lontani dall'obiettivo, solo in una direzione diversa.
Anzi forse siamo ancora più lontani dall'obiettivo!
Ben vengano pure i filologi "fantasiosi" (tipo Gardiner, che è prima un grande direttore, e poi un filologo), ma ben vengano anche gli stravolgimenti quando sono varianti "d'autore" (anche se non necessariamente dell'autore).
Non ricordo se qui o altrove (è roba tua Mat?) mi pare di aver letto che la tradizione nasce dal tentativo di emulazione di un inteprete d'eccezione.
Quando l'eccezione diventa la regola non funziona più (ovvero: se vuoi Vickers ti becchi pure Cossutta).
Ecco adesso mi pare si sia maldisposti anche a fare le eccezioni.
Io lei intanto me la godo:

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