Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 17:40

Alla fine di tutte queste considerazioni resta il quesito iniziale.
A mio parere la voce è la base determinante del canto. Deve essere adeguata a quanto si canta ma si devono anche considerare alcuni aspetti non sottolineati. L’importanza della variazione del diapason e dei volumi orchestrali. I secondi hanno richiesto voci più voluminose ma dal dopoguerra, man mano che il disco si diffondeva e diveniva un elemento formativo del pubblico, anche questo rapporto è venuto meno fino a rendere plausibile la presenza di voci sempre più piccole impegnate in ruoli sempre più grandi. L’innalzamento del diapason ha prodotto effetti più pericolosi in quanto ha determinato un sostanziale falsificazione delle intenzioni musicali del compositore. Oggi chi canta Riccardo esegue la stessa melodia scritta da Verdi ma su note sostanzialmente diverse ed in rapporto diverso fra loro. Stesso contrasto con la naturale posizione della voce. Pensiamo alla esecuzione di certi passaggi ed alle note dove insistevano in origine. Oggi quelle note sono diverse ed in alcuni casi anche mezzo-tono è un enormità perché in alcuni casi allunga l’estensione estrema o, peggio ancora, fa insistere il canto in zone delicate come quelle di passaggio. Non sono un esperto di vocalità ma questi particolari sono in alcuni casi molto evidenti come sono evidenti gli accorgimenti presi da tanti compositori per favorire l’esecuzione del cantante. Ovviamente queste attenzioni non furono comuni a tutti i compositori ed il risultato prodotto in tante esecuzioni si avverte molto bene.
Alla fine di tutto ciò, che spero non risulti troppo confuso e dispersivo, resta il fatto che voce e interpretazione sono due cose che devono andare di pari passo. Forse, ma vale solo per pochissimi, la voce in un artista può anche essere un optional se supportata da altissime qualità espressive ma questo può valere solo per alcuni titoli del suo repertorio mentre in altri, la sola qualità artistica, non permette di rimediare alle mende di una voce di scarsa qualità. In base a ciò giudico un cantante ed in base a questa considerazione non sopporto un Vargas che canta i Lombardi o il Ballo in Maschera, un Florez che ripropone sempre lo stesso personaggio cantando Don P. o Elisir. Anche un artista schiavo di un modello espressivo alla fine, per quanto bravissimo, finisce per risultarmi mortalmente noioso.
Un saluto agli amici del forum, adesso riprendo il lavoro sul sito.
Roberto
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Messaggioda beckmesser » gio 14 giu 2007, 18:06

Trovo la discussione che si è scatenata molto interessante ma, con riguardo agli ultimi interventi, alcune cose mi sfuggono, ed in particolare il discorso sulla tendenza “onnivora” delle ultime generazioni di cantanti. A me pare sia vero esattamente il contrario e che negli ultimi 50 anni si sia andati verso una sempre maggiore specializzazione. Se oggi, tanto per fare un esempio, un tenore volesse avere in repertorio Otello e Lucia o Guglielmo Tell sarebbe guardato come un pazzo, mentre era cosa normale per un Tamagno o un Lauri Volpi, così come un soprano che cantasse a sere alterne Valchiria e Puritani sarebbe seria candidata all’interdizione, mentre la Callas lo faceva. Certo, si obietterà, c’è cantante e cantante. È vero. E forse la mia valutazione è inficiata dal fatto che i miei poco più che trent’anni di vita e poco meno di quindici di frequentatore d’opera mi configurano come il tipico ascoltatore che ha subìto fin dall’inizio l’imprinting del disco, ma a me pare che il discorso sul valore di molti artisti del passato (anche quelli mitici) andrebbe contestualizzato. Voglio dire: è verissimo che molti hanno lasciato cose eccezionali (almeno per quello che se ne può valutare da incisioni spesso di qualità discutibile) ma a mio parere sono eccezionali per lo spirito e le “regole del gioco” della loro epoca, e ho molti dubbi che sarebbero altrettanto eccezionali con gli standard esecutivi odierni. Voglio dire: nessun dubbio che l’Ernesto di Schipa sia eccezionale, ma gli era consentito di cantare quella parte con aggiustamenti che gli consentivano di essere tale, con l’aria abbassata di tono, senza cabaletta, e così via, e ho seri dubbi che sarebbe stato altrettanto eccezionale se gli fosse stato imposto di cantare la parte integralmente ed in tono. E ciò vale per molti (forse non per tutti) degli altri. Oggi come oggi è quasi impossibile trovare un tenore che sia un decente Ernani e ad ogni rappresentazione si sente dire “ah quando c’era Corelli!”. Bene ma, conteggio delle battute alla mano, Corelli cantava meno di due terzi della parte scritta da Verdi e il terzo omesso era proprio quello che lo avrebbe messo in difficoltà. Poi si può discutere se era meglio allora o è meglio oggi, ma questo è un altro discorso.
beckmesser
 
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Messaggioda gianluigi » gio 14 giu 2007, 18:23

mi prostro umilmente innanzi la verità rivelata dal signor manrico. ora volto pagina.
per rispondere a matteo,voglio dirti prima di tutto che mi ha fatto un enorme piacere che almeno in parte tu abbia condiviso la mia tesi su del monaco. sapevo già da prima che avrei toccato un punto dolens, ma sono contento che almeno uno scrittore di questo forum la pensi in modo diverso.e non per essere per forza controcorrente. ora,tu dici che non si può denigrare l'otello di del monaco ed encomiare quello di vikers, che vocalmente ha fatto molto peggio. vedi matteo, quando parlo di "civiltà vocale", parlo di classe. parlo di versatilità. parlo di nobiltà. abbiamo tutti in mente le voci di del monco e di vikers. è chiaro che del monaco è stato detentore di un ricchissimo patrimonio vocale,la voce l'ho sempre considerata notevolissima. però mancava a questo cantante qulacosa- anche se entusiasmava i pubblici,come continua a farlo-e questo quid che non c'era,era proprio la classe. il suo otello, a parte l'esultate, l'ora per sempre addio e sì pel ciel mormoreo giuro, cosa offre di veramente interessante? ben poco, a mio modesto parere.poi è chiaro che ognuno la pensa come vuole, come tutti i suoi adoratori per i quali è intoccabile. basta però che non facciano passare come dati oggettivi quelli che non sono.ora, se parliamo di patrimonio vocale esclusivamente, allora condivido il fatto che sia stata un voce eccezionale.ma se mettiamo in gioco l'interpretazione e la fantasia, allora no, non ci sto.il suo otello è a senso unico, ascolto l'esultate e posso dare per scontata l'interpretazione di tutta l'opera, sino al niun mi tema.è un otello dalla voce soggiogante, ma dall'interpretazione volgare. tu prima hai citato lauri volpi. non potevi citare di meglio. il suo otello fu accusato di belcantismo. a torto. ancor oggi il suo otello è moderno. ma del monaco non aveva l'estrazione culturale di lauri volpi. e si sente. ti do ragione quando affermi che vikers non fosse propriamente adatto. la voce è brutta, è vero, il canto a tratti forzato.le mezzevoci si tramutano speso in falsetto. però è un interprete straordinario. è il classico attore vocale. è uno dei pochi ad averci tramandato un otello nobile,fiero, capitano della serenissima, in cui la rabbia non è sinonimo di isterismo e brutalità. quando parlo di civiltà vocale,intendo questo.che cosa me ne frega se del monaco aveva la voce più bella,tre volte potente etc..?sì, gli acuti estremi di vikers non sono di un gran vocalista-comunque di tecnica ne aveva!-, sono forzati. ma di fronte ad un interpretazione così levigata, questo conta sino ad un certo punto.riguardo l'otello di pavarotti,questo sì mi sembra un otello vocalmente ineccepibile. raramente si è sentito un otello vocalmente cantato così bene. intendo dire che gli acuti ci sono tutti (e quali acuti!), la morbidezza d'emissione non manca all'appello e le modulazioni sono suggestive. tu dici che ti cascano le braccia per la sua modestia interpretativa. a me no, ma non per questo ti dico che sbagli. proporre otello come lirico spinto, può essere una soluzione. in fondo otello cantava anche l'amore.e l'amore ha bisogno di voci chiare, morbide che non rinnegano però lo squillo nell'acuto.
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Messaggioda VGobbi » gio 14 giu 2007, 19:20

beckmesser ha scritto:Trovo la discussione che si è scatenata molto interessante ma, con riguardo agli ultimi interventi, alcune cose mi sfuggono, ed in particolare il discorso sulla tendenza “onnivora” delle ultime generazioni di cantanti. A me pare sia vero esattamente il contrario e che negli ultimi 50 anni si sia andati verso una sempre maggiore specializzazione.

Verissimo! Pare pure anche a me, anzi spesse volte ci lamentiamo che certi idoli non spaziano, o meglio non sappiano rischiare di piu' cercando di allargare il repertorio. Confesso, che avendo piu' o meno l'eta' di Beckmesser (ho 35 anni ed il mio primo imprinting sonoro e' stato senza ombra di dubbio il cd), abbia magari una visione diversa da chi nel mondo dell'opera macina da molti piu' anni.

gianluigi ha scritto:... gli acuti estremi di vikers non sono di un gran vocalista-comunque di tecnica ne aveva!-, sono forzati.

Voglio capire, premettendo che di note, spartito musicale ne sono totalmente ignorante. La mia domanda, forse stupida, e' questa : come puo' un tenore avere gli acuti forzati ed allo stesso tempo possedere una tecnica vocale eccellente? Non sono in contrasto?

gianluigi ha scritto:riguardo l'otello di pavarotti,questo sì mi sembra un otello vocalmente ineccepibile. raramente si è sentito un otello vocalmente cantato così bene. intendo dire che gli acuti ci sono tutti (e quali acuti!), la morbidezza d'emissione non manca all'appello e le modulazioni sono suggestive.

Tutto vero quel che dici, ma il problema e' che lui ingrossa la voce, cerca di gonfiare inutilmente le gote per sembrare piu' eroico, piu' soldato, piu' "drammatico", inficiando e non di poco la sua interpretazione. Per questo ritengo, imho, l'esperimento di Pavarotti nei panni del Moro un fallimento.
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Messaggioda Manrico » gio 14 giu 2007, 19:23

Io non mi prostro, sono basito nel sentire nominare Pavarotti “Otello”, non si possono fare le critiche a Del Monaco per poi fare un paragone o esaltare Pavarotti, ma di cosa stiamo parlando!!

Pavarotti non ha mai avuto la vocalità adatta per affrontare il Moro di Venezia in teatro, ma per favore!!
In disco può fare Otello anche chi in teatro fa Cassio, questa è una cosa (non la chiamo verità per evitare polemiche), che sanno tutte le persone che hanno esperienza di teatro.

Molti non sanno che alcuni tenori, Domingo compreso, sono stati CASSIO a fianco di Mario Del Monaco OTELLO, capito???

Al momento mi sfuggono i nomi di altri tenori di primo piano che sono stati Cassio IN TEATRO, con Del Monaco OTELLO.

Non discuto i gusti personali, intendiamoci, ogni persona può dire quello che vuole, ma fino ad un certo punto.
Con questo chiudo il discorso Mario Del Monaco.

Condivido in pieno, invece, (per tornare in tema), i vari interventi del mio omonimo “Roberto”, considerali come “quotati” in toto. :P
Roberto
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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 19:28

Trovo sia Del Monaco che Pavarotti due cantanti tendenzialmente generici e monocordi. Sono ambedue chiusi in diversi modelli espressivi ed a quelli tendono sempre in ogni loro interpretazione. Ovviamente, non avendolo visto in teatro, il mio giudizio su Del Monaco e necessariamente parziale ma l'ascolto in disco non mi ha mai invogliato ad approfondirne la conoscenza. Pavarotti invece l'ho visto varie volte e sempre sono stato annoiato dalle sue prestazioni sia teatrali che discografiche. Niente da dire sulla tecnica, sulla facilità di canto ma molto da dire sull'incapacità di rendere un personaggio senza utilizzare la monotona tavolozza di colori buona per dipingere tutti i quadri. Riesco a trovarlo plausibile in alcuni titoli dove il compositore lo assiste con una scrittura musicale molto espressiva o dove musica un personaggio di estrema semplicità, ma dove è privato di questi soccorsi Pavarotti cade miseramente in una monotonia mortale.
Roberto
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Messaggioda gianluigi » gio 14 giu 2007, 19:48

per rispondere a vgobbi, ti dico che vikers aveva sì gli estremi acuti un pò forzati,ma aveva anche un più che discreto bagagio tecnico(non ho parlato di tecnica eccellente) da permettergli un fraseggio molto vario. gli acuti erano un pò forzati e mancavano sostanzialmente di lucentezza soprattutto nella seconda parte della carriera.anche con acuti forzati,cumunque, è stato un grandissimo attore vocale.
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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 20:49

VGobbi ha scritto:
beckmesser ha scritto:Trovo la discussione che si è scatenata molto interessante ma, con riguardo agli ultimi interventi, alcune cose mi sfuggono, ed in particolare il discorso sulla tendenza “onnivora” delle ultime generazioni di cantanti. A me pare sia vero esattamente il contrario e che negli ultimi 50 anni si sia andati verso una sempre maggiore specializzazione.

Verissimo! Pare pure anche a me, anzi spesse volte ci lamentiamo che certi idoli non spaziano, o meglio non sappiano rischiare di piu' cercando di allargare il repertorio.

Bisogna chiarire cosa intendiamo per allargamento del repertorio.Negli ultimi cinquanta anni pochi artisti, che conterei sulle dita di una mano, hanno avuto tale carisma da far dimenticare di essere vocalmente fuori posto. Personalmente preferisco il cantante che eccelle in pochi ruoli a colui che resta mediocre in molti. Se poi vogliamo considerare plausibile, allo stato attuale delle loro condizioni vocali, l'Otello di Alagna, lo Chenier di Alvarez, il Rigoletto o il Don P. di Florez, qualsiasi opera di Bros, allora vuol dire che si è perso di vista il concetto di repertorio. In questa discussione eravamo partiti dalla classificazione delle voci e proprio quest'ultimo elenco di esempi dovrebbe rendere chiaro come tale classificazione, anche se solo indicativa, dovrebbe essere ripristinata. Andrebbero chiariti meglio i criteri da adottare per tale classifica.
Si legge della parzialità delle interpretazioni di Corelli e Schipa. E' vero, entrambi non erano strettamente filologici. Ma anche la presunta filologia odierna che pretende l'esecuzione di tutte le note ma che poi non si preoccupa del diapason e della formazione orchestrale. Dove può esserci filologia esecutiva senza il ripristino almeno del diapason originale e della orchestrazione originale? Non pretendo che si canti nuovamente con il falsettone ma diapason ed orchestra sì.
Non entro nel merito dei gusti personali, ognuno ha diritto ai suoi ed io li rispetto, ma critico questo approccio all'opera che predilige l'esattezza della esecuzione, la precisione estrema dell'emissione e quanto altro, frutto principalmente della deformazione tecnologica subita dall'ascoltatore, a discapito di una maggior libertà esecutiva che riesca a restituirci la possibilità di ascoltare voci significative, ricche di armonici e, molto più importante, espressive. Oggi, quando incappiamo nel fuoriclasse quando, cosa molto frequente, affronta l'ennesimo titolo inadatto alle sue caratteristiche vocali, ascoltiamo l'ennesima lezione di canto. Personalmente sono abbastanza stanco delle lezioni di canto.
Non voglio essere frainteso. Amo sentir cantare bene, non mi interessa sentir cantare perfettamente, ma voglio che nel canto ci sia l'anima e non il vuoto che accompagna la maggior parte dei cantanti di oggi. A questa omologazione interpretativa diretta sempre più verso la noia concorrono diapason, orchestrazione e titoli inadatti alla propria voce. Un cantante che rasenta i suoi limiti raramente trova spazio per l'espressività.
Roberto
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Messaggioda MatMarazzi » sab 16 giu 2007, 1:42

beckmesser ha scritto: alcune cose mi sfuggono, ed in particolare il discorso sulla tendenza “onnivora” delle ultime generazioni di cantanti. A me pare sia vero esattamente il contrario e che negli ultimi 50 anni si sia andati verso una sempre maggiore specializzazione.
Giustissimo!
Oggi i repertori si sono differenziati per "ambito storico".
Roberto non sarà d'accordo, ma per me è un grande passo avanti.
Fermo restando il problema dell'estensione (che rimane fisicamente vincolante) si stanno abbattendo le vecchie e superate questioni legate al colore-volume; piuttosto, come dicevi anche tu, i cantanti si vanno specializzando in determinati contesti stilistici, formando scuole sempre più distanti e specialistiche (il barocco, il belcanto, Verdi, Britten, wagner-strauss).
All'interno del loro ambito è anche possibile che vi siano aperture che un tempo sarebbero state giudicate coraggiose (la Gruberova in Devereux, la Meier in Isolde, Daniels in Giulio Cesare, la Silja in Clitennestra, la Bartoli in Cleopatra) mentre non si accetterebbero deroghe tanto audaci "fuori" dal proprio ambito (sarebbe ben più difficile sentire la Gruberova in Aida o la Meier in Adalgisa o la Silja in Azucena).
Può anche succedere, è vero, che si creino collegamenti, porte di comunicazioni fra un repertorio e l'altro.
Ciò avviene con molta parsimonia, ma quando avviene è un grande arricchimento.
Per esempio quando liederisti come la Von Otter o Hampson si buttano sul musical americano; o quando cantanti barocchi si allungano a Britten o Stravinsky. O quando ex-rossiniani americani esportano le conquiste della loro vocalità ad ostici ambiti novecenteschi (Kuebler in Zemlinsky e Berg, Merritt in Schoenberg e Messiaen, persino la Anderson in Henze).
E' vero che tutto questo si vede molto più all'estero che in Italia.
Da noi siamo ancora molto, ma molto indietro.


Beckmesser ha scritto: a me pare che il discorso sul valore di molti artisti del passato (anche quelli mitici) andrebbe contestualizzato. Voglio dire: è verissimo che molti hanno lasciato cose eccezionali (almeno per quello che se ne può valutare da incisioni spesso di qualità discutibile) ma a mio parere sono eccezionali per lo spirito e le “regole del gioco” della loro epoca, e ho molti dubbi che sarebbero altrettanto eccezionali con gli standard esecutivi odierni. .


Be' Beckmesser.
Qui invece non sono per niente d'accordo.
Le "regole del gioco" (complimenti per l'espressione: è azzeccatissima) non ci permettono, o almeno non dovrebbero permetterci (secondo me) di giudicare un'interpretazione. Nè a favore, nè contro.
Anzi, secondo me, non ci si dovrebbe mai avventurare in un giudizio su un cantante se prima non si è fatta la tara di tutto ciò che io chiamo
(passami il termine un po' empirico) corteccia.

E le regole del gioco sono assolutamente corteccia.

La corteccia infatti non dipende dall’artista, non è merito suo, nè colpa sua; è l'espressione dalla società che lo circonda, dall’insieme delle altre interpretazioni di cui si è nutrito, dal rapporto (ad esempio, più o meno filologico) che il suo tempo ha sviluppato con la musica del passato, delle convenzioni del pubblico, dalla migliore o peggiore tecnica di incisione, ecc… ecc… ecc…

Non sto dicendo che la corteccia non sia importante, intendiamoci.
E' importantissima, ma non nel giudizio sull'interprete.

Il fatto che un cantante esegua tutte le note di uno spartito (come, più o meno, desideriamo noi oggi) o segua i tagli di tradizione (come era obbligatorio in passato) è corteccia.
Il fatto che canti sul diapason originale o su quello attuale è corteccia.
Il fatto che canti nella lingua originale o in un’altra lingua è corteccia.
Sono tutte cose che non dipendono dalla sua volontà, non sono frutto di una scelta e non sono espressione di un pensiero; quindi non ci autorizzano a definirlo bravo o non bravo.
La Callas che canta Nume Tutelar della Vestale è una delle cose più grandi che sia dato sentire.
E’ il “nocciolo” che è grande.
Se senti la Huffstod con Muti (che canta in francese, nella tonalità giusta, senza tagli, ecc…) non è altrettanto grande. Questione di nocciolo, non di corteccia.

Molto spesso, invece, sento esprimere giudizi sulla base della corteccia (le regole del gioco).
E la cosa mi dispiace, perché non la ritengo giusta.
Questo capita specialmente con le interpretazioni del passato, perché (non essendo in grado di contestualizzarle) fatichiamo a distinguere la corteccia dal nocciolo.
Faccio un esempio.
Le cantanti anglo-tedesche dell’inizio del novecento usavano non vibrare e non portare la voce.
Quell’effetto oggi ci risulta sgradevole; dà la sensazione della fissità.
Ma per loro era normale, perché una vastissima fetta di pubblico dell’epoca (specie tedesco e anglosassone) amava proprio quel tipo di suono, mentre trovava irritante (belante) il vibrato di cui andavano tanto fieri i cantanti italiani.
Chi è abituato ai dischi d’epoca, sa che le cosiddette “fissità” della Destinn o della Melba sono “corteccia”. Non ha senso giudicare negativamente o positivamente le due artiste sulla base di questi suoni.
Oggi questo tipo di sonorità fissa non usa più. Quindi se una cantante attuale emette un suono simile (come Emma Kirby o Rachel Yakar o molti cantanti barocchi degli anni 70-80) significa che lo usa con uno specifico intento: in questo caso non è più corteccia.
Sempre più difficile!

Vogliamo esagerare?
Anche le scelte interpretativo sono spesso “corteccia”.
Ad esempio è molto più scioccante un sospiro orgasmico della Welitsch nel 1943 che mille coiti mimati in scena da soprani attuali. Per la stessa ragione sarebbe assurdo prediligere il Don Giovanni di Hampson a quello di Siepi perché il primo è più sensuale e quando canta con Zerlina le si struscia addosso, mentre Siepi è un distinto e asessuato signore di mezza età. Non è colpa di Siepi se nella sua epoca il sesso non era rappresentato sulle scene operistiche; e non è merito di Hampson se la nostra società vuol vederlo esplicitato ovunque.

dottor Cajus ha scritto:Dove può esserci filologia esecutiva senza il ripristino almeno del diapason originale e della orchestrazione originale? Non pretendo che si canti nuovamente con il falsettone ma diapason ed orchestra sì.


A me pare, Roberto, che tu – su questo punto – sia caduto in contraddizione.
Quando dissi, tempo fa, che ritenevo fosse arrivato il momento di sciogliere le orchestre “liriche” legate ai teatri dell’opera e di scritturare di volta in volta orchestre specialistiche, tu hai risposto che non eri d’accordo: perché l’eccessiva specializzazione era un male.
Ora te ne esci chiedendo addirittura il diapason originale!!!
Ma sai qual è la ragione per cui non si usa il diapason originale?
Proprio perché questo richiederebbe orchestre “specialistiche” con strumenti ben precisi, diversissimi dagli attuali e che un normale professore d’orchestra non potrebbe suonare.
Gli ottoni, i legni, ecc… non si possono accordare come i violini.
E infatti oggi il diapason originale lo usano solo quei complessi “barocchi” (privati) che coltivano proprio la deprecata specializzazione che – a tuo dire – deriverebbe dalla diffusione del disco.
Gardiner ha fondato un’orchestra “romantica” proprio per disporre degli strumenti giusti e del diapason giusto per il repertorio ottocentesco; eppure nessun teatro italiano l’ha mai chiamato per fare (che so io) una Norma o un Trovatore.
E questo perché i nostri teatri sono vincolati alle nostre generiche orchestre liriche, che – inutile dirlo – sono costrette a dover far tutti i repertorio, ovviamente con lo stesso diapason.

E poi perché “non pretendi che si canti col falsettone?”
Chi ti autorizza a decidere che il ripristino del falsettone sia evitabile, mentre il ripristino del diapason originale no?
Chi ti autorizza a stabilire che una violenza all’antica scrittura vocale possa essere tollerata e un’altra no?
Io penso che delle due violenze, quella di far cantare in petto ruoli scritti per il falsettone sia infinitamente più terribile.
Guarda i ruoli Nourrit: Ugonotti, Guglielmo Tell, Muta di Portici, Juive….
Furono scritti per un quasi-baritono e invece (avendo eliminato il falsettone) li dobbiamo affidare a vocette acutissime, povere al centro, adolescenziali e chiare nella timbrica.
Nourrit al contrario era talmente poco "tenore" (in senso moderno) che quando tentò di conseguire il do di petto si scontrò con l’impossibilità materiale di farlo: e si trattava del do di allora, quindi meno di un si naturale di oggi!!
E poi, scusa, siamo onesti: che vuoi che sia mezzotono dovuto al diapason, in confronto alle trasposizioni incredibili che nell'Ottocento erano operate dai cantanti: vi erano contralti che cantavano la sonnambula e nessuno gridava allo scandalo!
Figurati quanto si sarebbe scandalizzato Bellini dell'aumento del diapason , quando la stessa Pasta si abbassava bellamente anche di un tono intero le cavatine …scritte per lei!!!

Vedi Roberto: io, come te, non avrei nulla in contrario che venisse applicato il diapason originale, che gli organici venissero restaurati; addirittura non mi scandalizzerei affatto se un baritono di oggi cantasse il Guglielmo Tell (ruolo di Arnould) salendo in falsetto dopo il sol.
Mi va bene questo e mi va bene l'opposto.
Perché, sia chiaro, è sempre di corteccia che stiamo parlando.
La sostanza è altra cosa: è la grandezza "interna" dell'interprete.
E oggi, credimi, vi sono interpreti grandi esattamente come ve ne erano in passato, anche se giustamente le regole del gioco (come dice Beckmesser) erano diverse.

Salutoni,
Matteo
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Messaggioda dottorcajus » sab 16 giu 2007, 12:27

In realtà abbiamo la stessa visione della lirica perchè ambedue poniamo al centro dello spettacolo il cantante e la sua personalità artistica. In questo sono perfettamente d'accordo con te.
La tesi del diapason originale e del resto nasce in risposta alla filologia imperante che resta monca senza il ripristino di queste cose.
Questa invasione della filologia, dell'esecuzione di tutte le battute musicali e di tutte le note, che sta diventanto sempre più simile ad un ideologia e ha creato e continua a proporci tanti esecutori spesso privi di anima, quindi tanta corteccia con poco nocciolo. Non intendevo ignorare i problemi tecnici legati al diapason ma volevo contestualizzare ulteriormente le prove di tanti cantanti odierni. Molti sostengono, ed io sono d'accordo con loro, che un certo passaggio difficile si forma in realtà e si prepara nelle note che lo antecedono. In questo senso nascono molte difficoltà esecutive e non nell'eventuale estensione che è leggermente aumentata.
Giusta l'osservazioni sull'analisi delle vecchie incisioni.
Relativamente alla specializzazione sono parzialmente d'accordo. Probabilmente non sono stato chiaro nella mia esposizione ma io non intendevo riferirmi a specializzazione per Barocco, Belcanto, Novecento etc. ma specializzazione riferita alla contestata classificazione vocale.
In questi termini concordo che il nocciolo è la caratura artistica del cantante ma nella mia analisi la voce e le sue caratteristiche timbriche sono altrettanto importanti. Questo perchè ho notato che quando un artista valica certi limiti finisce con impoverire la sua caratura espressiva e quindi con l'impoverire fino a frantumarlo il suo nocciolo.
Analizzando i tempi odierni, alla luce dei parametri citati, non vedo tutta questa specializzazione, anzi vedo una gran confusione di ruoli e tanti noccioli secchi e frantumati.
Sono ovviamente d'accordo sugli sconfinamenti e sul fatto che un artista possa portare il suo contributo anche in altri generi ma, per me, resta vincolante il rapporto voce-titolo ed in questo rapporto io riconosco la sua collocazione ideale. Tutto questo è soggettivo perchè alla fine, quando discutiamo di un cantante, la nostra soggettività è il filtro dei nostri giudizi. Per questo ad una Gruberova/Devereux (premesso non vista a teatro ma solo in video) preferirò sempre e comuque la Kabaivanska vista tanti anni fa a Roma. In questo caso la seconda mi appaga là dove la prima mi lascia abbastanza indifferente. Come sempre è nella corrispondenza fra domanda e risposta che sta la nostra soddisfazione.
Intendo ribadire la mia opinione sul disco e sulla cattiva educazione che ha esercitato sull'ascoltatore medio. Due concetti brevi.
Leggo spesso un parere su la prestazione discografica di X in un opera messa a confronto con la prestazione teatrale di Y nel medesimo titolo e leggo giudizi espressi come se le due cose fossero uguali o avessero punti in comune. Personalmente la trovo un eresia visto che spesso in disco ascoltiamo cantanti che, difficilmente o mai, hanno cantato quel titolo in teatro. Ancora più evidente è l'espressione del giudizio di una regia teatrale vista in tv o in dvd. Mi chiedo sempre come si possa giudicare una regia televisiva considerando la medesima equiparabile a quella teatrale (il perchè mi sembra evidente). Non intendo negare l'esistenza di disco e dvd e quindi la loro utilità e il piacere della loro visione/ascolto ma resto dell'idea che la loro diffusione ha contribuito a sovvertire i ruoli nel mondo lirico penalizzando il cantante che, come ho scritto all'inizio, deve essere il motore principale dello spettacolo ed ha creato delle confusioni di fondo nel pubblico che oggi spesso non vuole distinguere bene le cose. Non voglio ripetermi ma resto sempre dell'idea che la verità si forma a teatro e non in disco o dvd. La tecnologia resta utile come mezzo di diffusione e conoscenza della lirica, io stesso non conoscerei molte opere se limitassi tutto alla mia presenza teatrale, ma ritengo che è determinante la differenzazione fra teatro e disco. Nel disco quei parametri a me cari cadono grazie alla tecnologia che altera gli equilibri naturali fra orchestra e cantante e rende possibili molti esperimenti in natura non replicabili. Il problema di oggi è che si tende a credere che quello che è possibile nel mondo sempre più virtuale della tecnologia discografica sia possibile anche a teatro ed in questo vedo la mancata specializzazione del cantante. Come ho già scritto preferisco un cantante che eccelle in pochi ruoli a quello che non si alza sopra la media cantandone tanti.
Roberto
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Messaggioda Luca » dom 17 giu 2007, 17:36

Vedrò di riascoltarla e ti aggiungerò qualche altro parere.
Ne sarei molto curioso.
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Caro Vittorio,

ho riascoltato la prova di Gobbi e soprattutto nel II atto. Beh, una risposta te l'ha data Matteo e concordo quanto egli dice sulla frase "Lo vidi in man di Cassio" che è urlata, ma non è solo questo il problema perché Gobbi, eccellente nelle battute di conversazione con Cassio, diventa il lupo di Cappuccetto Rosso subito dopo e senza ragione. Domanda: perché non continuare su questa linea così castigata e lasciarsi andare all'eccesso ? Quando poi Gobbi vuole eccedere su questa strada (scurendo e artefacendo il suono, cf. parte finale del Credo e non solo lì) la voce è malferma. A ciò si aggiunge il fatto che in alto Gobbi non era un fulmine e qui lo si sente perché l'orchestra lo copre a tratti e se invece c'è lo strumentale attenuato i suoni che si sentono sono stiracchiatiin quantità tale da dire che, in linea di massima, non ci siamo proprio.
Rifletto con rammarico: se i discografici del tempo avessero scritturato Mc Neil (dagli splendidi Rigoletti e non solo quelli) o Taddei invece di quanto ascoltiamo in quest'edizione. Ciò non senza ragione in quanto Vickers è un grandissimo Otello e sul piano interpretativo si sente un nuovo modo (non populistico) di concepire certi personaggi particolari sui quali grava una distorta visione.

Conclusione: alcuni cantanti sono - al di là della muscolatura (vera o presunta) - decisamente superati e ci si rende conto di ciò quando come in questa edizione vediamo il confronto. L'Otello verdiano, poi è un'opera che ci fa comprendere come il male, lo sconforto, la rovina non possono né devono essere espressi soltanto in termini apocalittici, altrimenti si vede solo l'esteriorità e non il disfacimento interiore. Vickers e Gobbi in questa edizione rappresentano proprio queste due strade interpretative: il primo con forte carica interiore conduce il personaggio sulle strade della progressiva dissoluzione, Gobbi con l'esteriorità di suoni che tuttavia non sempre danno ragione del momento scenico del personaggio e della sua vocazione al male che a poco a poco prende forma. Mancano la freddezza e il calcolo che chiedono accenti 'soft' per essere meglio camuffabili con l'amicizia e la cordialità dell'amico.

Saluti, Luca.
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Messaggioda VGobbi » lun 18 giu 2007, 10:08

Ti ringrazio infinitamente per la tua mini-recensione sullo Jago di Gobbi. Almeno su una cosa concordiamo, ovvero l'Otello invero storico di un Vickers pressoche' sfigurato.
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Messaggioda beckmesser » lun 18 giu 2007, 10:46

Devo essermi espresso male, dato che in realtà intendevo esattamente la stessa cosa. Il mio discorso sulle “regole del gioco” non intendeva affatto dire che certe interpretazioni del passato sono di per sé superate, al contrario. Sono perfettamente d’accordo che per capire Spuntini valga più una frase della Callas che interi volumi. A me sembra solo che molti (non ovviamente tutti, e la Callas è proprio una delle eccezioni) interpreti del passato abbiano potuto raggiungere certi risultati proprio perché le “regole del gioco” della loro epoca gliel’hanno consentito e non sono affatto certo che otterrebbero gli stessi risultati se “costretti” a cantare con gli standard attuali. E non è solo questione di tagli o abbassamenti di tonalità, ma proprio di concezione generale (sonorità, fraseggi, ecc.). Tanto per fare un esempio: comunque lo si voglia giudicare dal lato espressivo (e io avrei molti dubbi) mi sembra incontestabile che, dal punto di vista strettamente vocale, il Manrico di Corelli sia impressionante. Ma per ottenere quei risultati vocali, Corelli aveva bisogno di tutta una serie di condizioni (tagli, certo, ma anche una notevole libertà nel gestire fraseggio, acuti, sonorità) che oggi sarebbe difficile consentirgli. Tanto per dire: temo che se Corelli avesse dovuto cantare il Trovatore alla Scala con Muti sarebbe naufragato miseramente. Libero poi ciascuno di preferire una o l’altra impostazione, ma il discorso che si sente spesso fare sulla presunta (e generale) superiorità di artisti del passato rispetto a quelli attuali mi ha sempre lasciato perplesso.
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Messaggioda MatMarazzi » lun 18 giu 2007, 12:39

beckmesser ha scritto:Devo essermi espresso male, dato che in realtà intendevo esattamente la stessa cosa. Il mio discorso sulle “regole del gioco” non intendeva affatto dire che certe interpretazioni del passato sono di per sé superate, al contrario.


Non ti eri espresso male, Beckmesser. Avevo capito benissimo il concetto.
E anche io credo che, sulla sostanza, siamo d'accordo.
Come vedo che sulla sostanza siamo d'accordo con Roberto!
Quello su cui stiamo discutendo sono solo piccoli aggiustamenti.
Per esempio bisognerebbe intendersi sul termine "superato".
Per me non è affatto un limite che un cantante del passato sia "superato".
E' anzi un segno positivo.
Anche il cantante, come ogni artista, deve essere ancorato al suo tempo, deve essere espressione della sua società: Jadlowker, Cabanel o la stessa Callas, tanto per fare un esempio, sono grandi per come hanno vocalmente incarnato lo spirito del loro tempo.
Eì un guaio se, cento anni dopo, restano "insuperati". Quando questo accade (io considero nonostante tutto insuperata la Norma della Callas) non è un gran pregio per loro, quanto un limite atroce dei posteri, che non sono riusciti a trovare un voce adeguata al loro tempo.

E quindi torniamo al discorso della "contestualizzazione".
Io e te siamo d'accordo sul fatto che senza la conoscenza approfondita delle "regole del gioco" messe in campo in ogni determinata epoca non si può giudicare un interprete del passato.
E io aggiungo che bisognerebbe conoscere anche la storia, il costume, la cultura di un'epoca: senza conoscere il liberty non si possono giudicare le Hempel, le Sembrich e le Tetrazzini; senza conoscere l'espressionismo tedesco e il Blaue Reiter non si può giudicare l'Elektra di Rose Pauly; senza conoscere il cinema neorealista italiano non si può giudicare Gobbi, Picchi e nemmeno Del Monaco.
Quindi le corteccia è importantissima.
Ma in che senso è importante? Perché solo il fatto di conoscerla ci permette di "toglierla". :D
Di cavare via, cioè, tutto quello che non è merito nè colpa dell'artista, di arrivare al "nocciolo" e di essere capaci di capire se il cantante (o il direttore, lo strumentista, lo scenografo, ecc..) aveva effettivamente qualcosa in più o se era solo uno che "praticava" in una determinata epoca.
Tutto questo è molto faticoso: lo dimostrano (mi spiace dirlo) i due conduttori della Barcaccia, i quali non perdono un secondo nel contestualizzare le interpretazioni dle passato e nell'aiutare gli ascoltatori a "scortecciare" gli ascolti che propongono.
In questo senso i danni che hanno prodotto in un'intera generazione di ascoltatori sono letteralmente incalcolabili, almeno per me.


Beckmesser ha scritto:A me sembra solo che molti (non ovviamente tutti, e la Callas è proprio una delle eccezioni) interpreti del passato abbiano potuto raggiungere certi risultati proprio perché le “regole del gioco” della loro epoca gliel’hanno consentito.


Perché escludi la Callas?
Se avesse dovuto cantare in tono la Norma o la Lucia tu pensi che ne sarebbe uscita ugualmente bene?
Se avesse dovuto cantare in tedesco (lingua che non consoceva) sarebbe stata ugualmente convincente la sua famosa Medea (di cui lei eseguiva la vera e propria riscrittura in tedesco di Lachner: non dimentichiamo che Cherubini aveva musicato solo le arie; i mostruosi recitativi wagneriani derivano in toto da Lachner, che li scrisse in tedesco).

Può darsi che le regole del gioco abbiano favorito alcuni artisti del passato, ma ne favoriscono tanti ancora oggi.
In anni in cui non era permesso aggiungere i sopracuti e variare i da capo nelle opere romantiche italiane, come sarebbe rimasta a galla una Devia in Maria Stuarda e Lucrezia Borgia?
Con il peso della personalità?
:lol:
Ed è proprio il fatto che (per me positivamente) si sta abbattendo la ghigliottina del "volume-colore" che oggi permette a baritoni chiari e delicati (come Hampson, Schovus, ecc...) di impartire alcune grandi lezioni nel repertorio verdiano o romantico.
Cento anni fa, per le regole del gioco dell'epoca, non sarebbero andati oltre a Masetto.
Straordinari contro-tenori di oggi (quale che sia il giudizio che si voglia dare di questo tipo di voce, è indubbio che oggi ce ne siano di straordinari) fino a pochi decenni fa sarebbero stati confinati a coretti religiosi.
E la mia Silja?
Chi avrebbe mai pensato, nella prima metà del Novecento, di affidare a questa ex-Zerbinetta e Regina della Notte un ruolo come Kostelnicka, che allora era consegnato ai più monumentali contralti?
Cosa avremmo perso, se le regole del gioco non fossero cambiate?

Le regole del gioco ci sono, è vero, e aiutano chi può avvantaggiarsene e colpiscono gli altri.
Tu chiedi: cosa sarebbe stato del Don Pasquale di Schipa se, alla sua epoca, ci fossero state altre regole del gioco?
E io aggiungo: cosa sarebbe stato della Kundry della Callas se, nei primi anni 50, fosse stata già d'obbligo l'esecuzione wagneriana in tedesco.
Semplice: probabilmente avrebbero fatto altri ruoli (consentiti loro dalle regole del gioco).
E tuttavia - perché è questo che conta - Schipa sarebbe rimasto Schipa e la Callas sarebbe rimasta la Callas anche senza avere Don Pasquale e Parsifal in repertorio.
Sarebbero rimasti "noccioli" grandiosi e geniali sia pure in un repertorio che le regole del gioco della loro epoca avrebbero loro consentito di affrontare senza problemi.

Salutoni,
Matteo
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Messaggioda Riccardo » lun 18 giu 2007, 22:22

Sono d'accordissimo con l'impostazione che Matteo ha espresso all'inizio del thread!
La dimostrazione che l'attribuzione di una tipologia vocale ai ruoli è del tutto fasulla è il fatto che ogni ruolo è stato eseguito da grandi artisti di diversa tipologia vocale, senza che la cosa suoni strana.
Scotto e Dimitrova nel Nabucco è una delle più esplicite per prendere un ruolo già citato...
Non c'è dubbio che alla base debba comunque esserci una solida tecnica.

MatMarazzi ha scritto:Come sempre vado affermando io (e contrariamente al verbo pervicacemente diffuso dal grande Celletti per decenni) è il risultato poetico-emozionale che va valutato.
Il dato "tecnico" (si fa così, si canta così, qui apre, qui chiude, qui non rispetta lo spartito, ecc.. ecc...) è meno importante

D'accordo anche su questo, ma relativamente al livello delle nostre dissertazioni, che trattano e giudicano soltanto i Grandi Interpreti, quelli che ben o male fanno e hanno fatto la storia.
Ad un saggio di allievi di canto il discorso "qui si apre, qui si chiude" è fondamentale, perché senza voce non si va da nessuna parte anche con le migliori intenzioni purtroppo!

È davvero interessantissimo leggervi :D
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