Anni Ottanta

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » ven 23 ott 2009, 18:18

La vita continua :(
Ho inserito in home nel settore degli editoriali un articolo che vuole essere un primo spunto di riflessione su un periodo che conosciamo tutti molto bene.
Seguiranno - con calma - altri articoli che cercheranno di analizzare quel periodo così ricco di fermenti.
Spero che sia gradito ai nostri lettori e magari foriero di discussioni, in attesa che torni - speriamo presto - il nostro grande Matteo: lo vogliamo riabbracciare tutti!
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Tucidide » ven 23 ott 2009, 20:11

Tanta carne al fuoco, Pietro!
Complimenti per il coraggio di dire qualcosa su argomenti così difficili da trattare. Raccontare la Storia interpretandola è forse una delle più affascinanti ma al contempo difficili arti in cui si cimenti il genere umano. Il mio nick ne è stato uno degli esponenti insuperati. :mrgreen:

Non ho potuto per ragioni di tempo leggere con la dovuta attenzione il tuo pezzo, ma solo di scorrerlo velocemente, ed ho trovato alcuni punti su cui vorrei dire qualcosa.
Nei prossimi giorni ci tornerò su. Preparati! :D
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Rodrigo » sab 24 ott 2009, 10:52

Trovo l'editoriale molto efficace e largamente condivisibile su certe distorsioni circa il "pubblico medio" italiano.
Se sui concetti generali non posso che concordare, non condivido del tutto quanto scritto su Carlo Bergonzi.
E' vero che fu additato (insieme a Corelli, Kraus e Pavarotti) da "certa" critica come restauratore dell'autentico metodo di canto contro i Del Monaco e i Di Stefano, contro i quali fu decretata una sorta di damnatio memoriae. Però mi sembra eccessivo tacciare il tenore emiliano, così mi pare di capire, di inerzia espressiva e -sostanzialmente- di scarsa personalità.
Ora, se è ovvio che una voce alta, immascherata pieghevole a tutte le forcelle di per sè non fa un grande artista, è altrettanto vero che Bergonzi (non sempre, come tutti) ha saputo essere interprete che qualcosa da dire l'aveva.
In questi giorni sto riascoltando l'Ernani inciso dal nostro in compagnia di L. Price e M. Sereni sotto la bacchetta di Schippers. Ebbene, qui la parte non solo è ben cantata, ma il personaggio mi pare ottimamente reso sia sul versante amoroso sia -e stupisce un po' pensando a Bergonzi- sul versante eroico. Il fraseggio non è mai generico e l'attenzione alla situazione drammaturgica è estremamente puntuale. Siamo agli antipodi della placidità sconfinante nell'inerzia! Altrettanto mi pare di poter dire riguardo al don Carlo inciso con Solti. Inerte sarà semmai Filippeschi con Santini nell'incisione EMI.
Certo altre volte non ha saputo esibire un fraseggio altrettanto convincente e in questi casi le osservazioni dell'editoriale sono giuste. E' pur vero che non tutti i ruoli si addicono nella stessa misura ad un timbro per sua natura un po' opaco e con un registro acuto certamente non invitto. Ai timbri c.d. privilegiati si è portati a perdonare più facilmente la genericità e penso a certo Domingo anni ottanta buono per tutti gli usi.
In conclusione: il buon Celletti e soprattutto i suoi epigoni hanno fatto di certi cantanti delle icone, dei feticci. Non vorrei che altri ne facessero degli antifeticci! Ma questo forum mi pare dotato di un'invidiabile libertà di giudizio. : WohoW : : WohoW :
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » sab 24 ott 2009, 15:26

Ringrazio chi di voi ha voluto considerare queste cose che ho messo giù: è da quest'estate che ci sto lavorando e vi garantisco che il lavoro non è per niente facile.
Con Matteo ci siamo confrontati un sacco di volte su questi temi: è stato lui a darmi lo spunto per discuterne, visto che i primi anni che ci siamo conosciuti (e ormai ne sono passati un bel po') questo era uno dei suoi bersagli preferiti.
Un conto però è pensare di aver qualcosa da dire sul tema; un altro conto è metterlo giù su carta, cercando di fissare i concetti e accorgendosi così con orrore che la materia è molto più vasta e complessa di quello che uno potesse pensare.
Rodrigo, mi chiedi giustamente: perché dare addosso così a Bergonzi? Hai ragione. Io, del resto, ho un sacco di suoi dischi e mi ci sono spesso trovato bene in sua compagnia. Maugham mi dice spesso che il Carletto è il suo tenore da comodino. E allora diciamo che non ce l'ho tanto con lui, anche se trovo che il suo modo di cantare fosse già vecchio nel momento in cui cantava; ce l'ho con chi, acriticamente, decide che è IL tenore verdiano buono per tutti gli usi. Attenzione: non UN, ma IL. Su Youtube c'è un orrido video di "Forse la soglia attinse": dico orrido perché è bruttissimo quello che si vede, ma anche quello che si sente: portamenti, arcaicismi, falsità, acuti tremolanti. Un disastro! Così mi sono espresso utilizzando il nom de plume che usavo sul forum di Operaclick. Apriti cielo: me ne hanno dette di ogni! La cosa più carina che mi sono sentito dire è stata "frocetto". Ora, se volete, vi invito ad aprire il brano e toccare voi stessi con mano per dirmi se quello che si ascolta sia da considerarsi un autentico paradigma verdiano, specie se paragoniamo il brano non con i grandi mostri sacri (Vickers o Rosvaenge, tanto per dire i primi due che mi vengono in mente), ma con - sempre per dire - un qualsiasi Carreras di fine Anni Settanta: siamo onesti, non c'è paragone! E non parlo di rispetto dei segni di espressione dello spartito, che sicuramente Bergonzi avrà espresso con tutta la dovuta attenzione (anche perché era la cosa che gli riusciva meglio), quanto di senso della parola e di comprensione della materia. E' o non è Riccardo un uomo che, avendo provato per la prima volta il Grande Amore della sua Vita, vi sta per rinunciare? E non è forse un urlo di gioia liberatoria quel "Sì rivederti Amelia!" con cui accarezza l'idea di poter almeno vedere per l'ultima volta la donna cui ha nobilmente rinunciato? Bene: trovatemi nella lezioncina del burocrate Bergonzi una traccia di tutto ciò. Non c'è, cercate pure tanto è inutile, non c'è.
Poi, sì, sono d'accordo con Rodrigo: ogni tanto l'ha imbroccata anche lui. Rodrigo parla dell'Ernani di Schippers, ma a me viene in mente anche la Norma del 1970 al Metropolitan con la Sutherland, la Horne e Bonynge in cui lui fa cos'e'pazzi (quanto meno, rispetto al suo solito) e dimostra il tenore che sarebbe potuto forse anche essere se solo avesse voluto. E, detto questo, quello che mi fa più incazzare è anche il motivo per cui ho aperto questo sito qualche anno fa: la fissa tipicamente italiana di voler a tutti i costi trovare un modello di riferimento, possibilmente italiano. E che questo modello debba essere necessariamente quello più ortodosso quanto a tecnica, dato e non concesso che - in onore dei segni di espressione rispettati - si debba ad ogni patto invece accettare tutti gli orridi portamenti di cui il tenore è grande elargitore (quanto a quest'ultimo aspetto, consiglio vivamente l'ascolto di un'orrida Butterfly con la Tucci del Metropolitan 1962) è una cosa che io rifiuto categoricamente.
Grazie a Tuc e Rodrigo per gli spunti di riflessione!
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » gio 29 ott 2009, 17:50

Prosegue in home la grande (e faticosa...) inchiesta del nostro sito sugli Anni Ottanta.
Approfittando della mia malattia ho inserito la seconda puntata
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Tucidide » ven 30 ott 2009, 0:47

Dopo la seconda puntata, gli assi portanti del discorso cominciano a delinearsi in modo preciso.
Vorrei dire qualcosa su questo punto, tratto dalla prima parte:
Si dovrebbe quindi dare per scontata un'evoluzione dell'esecuzione che esiste sin dal momento in cui l'opera è rappresentata per la prima volta, escludendo che essa possa rimanere immutata nel corso degli anni. Se invece – in modo cellettiano (mi si conceda il termine) – si parte dal presupposto inverso, che cioè l'opera possa esistere solo nel ristretto ambito dei paletti fissati sul pentagramma dall'Autore, si rifiuterà aprioristicamente qualunque variazione sul tema perché ritenuta in modo apodittico e farisaico “non ammessa” dall'Autore. Ne deriverà, quindi, una ricerca spasmodica dell'interprete rigoroso e fedele, quello che meglio soddisfi i presupposti puramente teorici che esistono, più che sul pentagramma, nella testa di chi li elabora come unica legge.

Credo che si debba fare una lieve, ma significativa, distinzione.
Intanto, è curioso notare come la questione della "fedeltà" esecutiva sia come una palla avvelenata, che tutti si rimpallano gli uni gli altri come un'accusa gravissima. :)
Tu, Pietro, critichi l'idea di fedeltà esecutiva intesa come immobilismo artistico, e ti do ragione.
Dal canto loro, però, i nostalgici tradizionalisti ritengono che proprio la filologia, la "fedeltà" che essi combattono, sia stata la responsabile della decadenza dell'opera. I moderni cantanti, stando a loro, sarebbero tutti concentrati ad ottenere linee vocali il più possibile corrette e musicali, fedeli allo spartito, sacrificando l'espressività e quell'esibizionismo visto come quintessenza del teatro d'opera. Molto meglio la Tosca di Parma con Corelli e le sue filature chilometriche, ad una Tosca di oggi, noiosa e cantata da vocine asfittiche e prive di timbro, dove però tutti seguono la littera della partitura.

Su questo punto, passo al secondo punto.
Dalla mia esperienza di discussioni d'opera, mi son fatto l'idea che si individuino due tipi diversi di "nostalgico".
Il primo, che chiamerei "tradizionalista", se ne frega, per lo più, della tradizione esecutiva storica, documentata dai cilindri di cera e dai 78 gg, e chiede VOCE VOCE VOCE, a suo modo di vedere l'unico e sempiterno scopo dell'andare a teatro. Costoro, effettivamente, vedono negli anni 80 l'ultimo barlume di teatro d'opera come l'intendono loro. Non sono però cellettiani: per loro Di Stefano è un grande, perché aveva VOCE e CUORE, e lo stesso dicono di Del Monaco, di Bastianini, di Carreras, di Domingo, insomma di quei cantanti che la critica cellettiana ha invece affossato. In secondo luogo, non sono particolarmente interessati a questioni di aderenza stilistica desunte dallo studio storico della vocalità, care invece ai cellettiani: "poche pippe! Basta che uno canti bene"...! :D
Il secondo è invece il "cellettiano" vero, che è pronto, di conserva alla sua apprezzabile conoscenza della discografia storica, e talora in modo assai impopolare, a sparare a zero anche su mostri sacri come Bastianini e Del Monaco, perché non sono Magini Coletti e Tamagno. Ovviamente poi, siccome la storia è un continuo precipizio verso il Male, rispetto ai cantanti d'oggi anche Di Stefano diventa un fenomeno, eccetera eccetera. Ma i cellettiani, a mio avviso, non sono proprio laudatori degli anni Ottanta, fatto salvo il Rossini serio pesarese degli Americani. Tutt'altro: secondo loro gli anni Ottanta sono già un momento di forte crisi.

Un terzo punto riguarderebbe Bergonzi, di cui sono ammiratore - adesso meno che in passato, però - ma faccio mie le considerazioni di Rodrigo, e non aggiungo nulla. :D

Con sinceri auguri di pronta guarigione, caro Pietro! :D
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » ven 30 ott 2009, 11:12

Caro Tuc,
ovviamente il mio è un discorso in divenire, per di più alimentato dalla febbre che in questi giorni mi sta infastidendo non poco.
Trovo interessanti e in larga parte condivisibili le tue osservazioni; e, d'altra parte, non vorrei dare l'idea di considerare il cellettiano come una specie di mostro colpevole di tutte le nequizie.
Ma il mio ragionamento è molto semplice, e parte dalla lettura degli scritti di questa singolare e amena confraternita:
- il canto è andato in progressiva decadenza. Ne deriva che:
- ogni epoca precedente è sempre migliore di quella successiva. Basta leggere ogni riferimento a cantanti anche solo di dieci anni prima, in cui il discorso viene coronato dalla solita frase: "Avessimo oggi un cantante così, gli faremmo fare tutto". Foss'anche - per dire - Antonietta Stella che, con tutto l'affetto per la professionista, schiappa era e schiappa rimase, e non solo in rapporto ai "mostri" con cui interagiva. Il termine "schiappa" - ovviamente - non vuole essere un insulto, ma l'evidenziazione di una qualità globale assai inferiore ad uno standard che chiunque mastica un po' il canto giudica come irrinunciabile. E lo stesso discorso vale ovviamente per altre/i cantanti come, per esempio, Maria Chiara (tanto per non restare sul solito povero Bergonzi)
- il riferimento al passato non è mai costruttivo, ma fine a se stesso (mi rifugio nei miei 78 giri e chi s'è visto s'è visto)
- la distruzione del presente è sistematica e acritica

Ora, come sai, questa visione del problema è solo e squisitamente italiana e, come tale, io l'ho trattata.
Prossimamente, come potrai vedere, cercheremo di analizzare il problema "Anni Ottanta" da varie angolazioni e non solo italiane, giusto per renderci conto di quanto sia stata isolata la nostra Penisola cullandosi nell'idea di un predominio culturale che non esisteva
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Tucidide » ven 30 ott 2009, 13:58

pbagnoli ha scritto:Ma il mio ragionamento è molto semplice, e parte dalla lettura degli scritti di questa singolare e amena confraternita:
- il canto è andato in progressiva decadenza. Ne deriva che:
- ogni epoca precedente è sempre migliore di quella successiva. Basta leggere ogni riferimento a cantanti anche solo di dieci anni prima, in cui il discorso viene coronato dalla solita frase: "Avessimo oggi un cantante così, gli faremmo fare tutto".
- il riferimento al passato non è mai costruttivo, ma fine a se stesso (mi rifugio nei miei 78 giri e chi s'è visto s'è visto)
- la distruzione del presente è sistematica e acritica

Sì, verissimo. E' esattamente questo il modo di tagionare di coloro che io chiamo cellettiani. Invece, i "tradizionalisti" sono meno pessimisti. Per loro si è cantato più o meno bene fino agli anni Ottanta, poi è cominciato di botto il tracollo. Ma prima, finché ci sono stati i Domingo, i Carreras, le Caballé e le Chiara, le Freni e i Pavarotti, i Cappuccilli e i Bruson, non c'era di che invidiare il passato d'anteguerra.
Sai cosa penso? Se si deve essere passatisti, preferisco chi lo è seriamente. :D E' una prospettiva antistorica e acritica, per mio conto insensata, ma secondo me ha una coerenza.
Foss'anche - per dire - Antonietta Stella che, con tutto l'affetto per la professionista, schiappa era e schiappa rimase, e non solo in rapporto ai "mostri" con cui interagiva. Il termine "schiappa" - ovviamente - non vuole essere un insulto, ma l'evidenziazione di una qualità globale assai inferiore ad uno standard che chiunque mastica un po' il canto giudica come irrinunciabile. E lo stesso discorso vale ovviamente per altre/i cantanti come, per esempio, Maria Chiara (tanto per non restare sul solito povero Bergonzi)

Beh, Pietro, su questo non sono proprio d'accordo. Definire Antonietta Stella una schiappa è piuttosto riduttivo e - consentimi - un po' manicheo. Diciamo che la Stella non ha rivoluzionato il canto lirico, non ha fatto mostra sempre di una personalità treavolgente, non ha lasciato il segno come altri soprani. Ma da qui a definirla una schiappa ce ne corre. :) Mica possono essere tutte la Callas! :)
Bisognerebbe tenere presente che la Stella fu tenuta in gran conto dalla Scala in anni in cui la Scala era... la Scala. :D Il Sant'Ambrogio del 1956 Di Stefano, al culmine della sua parabola artistica e divo dei divi, debuttò come Radamès nella sala del Piermarini. Chi fu la sua Aida? La Stella! :D Se fosse stata giudicata una schiappa, caro Pietro, non avrebbero mai acconsentito ad affidarle quel ruolo in quel contesto.
Lo stesso direi per Maria Chiara.
Su Bergonzi, al quale fischieranno le orecchie, :D dirò la mia. Presumo che tu abbia presente (visto l'accostamento che fai nel primo articolo) il noto aneddoto di Bergonzi che smorza il si bemolle di "Il ciel dei nostri amori" nel'Aida a Parma e si sente urlare dal loggione "Tajoli!" Ecco: secondo me, questo è indizio di grandezza. Il fatto che il loggionista di Parma degli anni Cinquanta, avvezzo ai tenoroni stentorei, percepisse come alieno e inaccettabile una smorzatura in quel momento, dimostra che Bergonzi fu a suo modo un pioniere, perché osò andare contro la tradizione nel suo tradizionalismo. Che poi facesse i portamentoni e avesse modi placidi da ragioniere può essere vero, però va anche detto che, entro certi limiti, la sensazione di paciosità è data anche dal timbro, così opaco e privo di metallo.
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » ven 30 ott 2009, 14:34

Tuc, ho virgolettato appositamente il termine "schiappa" precisando che non voleva essere un insulto, ma una constatazione: trattavasi - come ho detto - di seria professionista, non di fuoriclasse. Sono d'accordo con te: di Callas ce n'è stata only one, ma ci sono stati fior di cantanti che, pur senza essere rivoluzionari come la Callas, hanno messo sul piatto della bilancia l'impronta di una personalità travolgente e soverchiante: il primo nome che mi viene in mente è Leontyne Price, col che spero di aver chiarito il concetto.
Non ce l'ho con la povera Antonietta: quando mi capita, ne ascolto ancora le notine e le trovo gradevoli.
Ce l'ho con chi la elegge a paradigma - lei come tante altre passate ampiamente nel dimenticatoio - di una sorta di età aurea che non c'è più. Mettici chi vuoi: Rita Orlandi Malaspina, Orianna Santunione, Margherita Roberti, Mara Zampieri, la stessa Maria Chiara, altre ancora. Tutte oneste, onestissime professioniste, da brave a bravissime, cui mancò la zampata della fuoriclasse. Poi la Callas, la Gencer, quelle stavano proprio su un altro pianeta
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » ven 30 ott 2009, 14:36

Tucidide ha scritto: Il Sant'Ambrogio del 1956 Di Stefano, al culmine della sua parabola artistica e divo dei divi, debuttò come Radamès nella sala del Piermarini. Chi fu la sua Aida? La Stella! :D Se fosse stata giudicata una schiappa, caro Pietro, non avrebbero mai acconsentito ad affidarle quel ruolo in quel contesto.

Oddìo Tuc, quanto a scelte di Aide inaugurali alla Scala, abbiamo ancora tutti negli occhi ma soprattutto nelle orecchie la tragica Urmana o no? : WallBash : : Bond :
La giudicheresti una scelta oculata?
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda beckmesser » ven 30 ott 2009, 15:09

Ho letto con molto interesse i primi due capitoli e vi sono senza dubbio molti spunti interessanti, ma confesso che malgrado diverse letture faccio un po’ di fatica a condividere non tanto i risultati dell’analisi, quanto il metodo, che mi sembra abbia qualche punto in comune con quello tanto spesso (giustamente) vituperato dei “cellettiani”. Ossia, si parte da una (legittima) posizione di critica verso una certa “idea” del canto per poi cercare di “assolutizzarla” per farle assumere valori storici e oggettivi che non corrispondono (secondo me, ovvio) al vero.

Celletti considerava “canto” solo una certa emissione, la Varnay non emetteva quei suoni, ergo “urlava”. Mezzo mondo la osannava comunque? Tant pis per mezzo mondo, che veniva declassato a gruppetto di semplicetti turlupinato dalle case discografiche.

Qui si cerca, giustamente, di rimettere un po’ di ordine, spiegando che “canto” non è solo quello che intendeva Celletti, e che c’è altro. Dato che Bergonzi non ha questo “altro”, legittimamente può (e deve) essere criticato, ma resta il fatto che c’è anche qui un “mezzo mondo” che lo ha osannato e che lo osanna, e mi sembra riduttivo cadere anche qui nell’errore del tant pis per questo mezzo mondo, che sembra essere a sua volta declassato a un gruppetto di semplicetti turlupinato, questa volta, dai “cellettiani”.

Il quadro che mi sembra emergere dai due editoriali è quello di una intera scuola di canto (Bergonzi, Freni, Cossotto, ecc.) dipinta come una specie di prodotto tipicamente italiano, di cui all’estero se ne sbattevano sovranamente, malinconicamente rivolta al passato, trastullo di un gruppo di nostalgici babbioni che si riunivano a Martina Franca. Honestly: è un quadro in cui non mi ritrovo molto…

Una frase (riferita alla Scala) come:

“Erano invece – e misteriosamente – gli anni di un tenore beneducato e fine dicitore, ricco di portamenti e di paciosità di modi, di nome Carlo Bergonzi, nativo della Bassa Parmense come quel musicista di cui si diceva fosse il massimo esegeta possibile.”

mi lascia perplesso. Bergonzi non fu affatto un prodotto tipicamente scaligero o italiano. In circa 30 anni di carriera, alla Scala cantò poco, avendo (se ricordo bene) due interruzioni di quasi un decennio ciascuna in cui su quel palco non mise piede. Non ho fatto i conti, ma scommetterei che se contassimo le recite da lui fatte alla Scala ne risulterebbe un numero irrisorio rispetto a quelle fatte al Met o al Covent Garden e le registrazioni che si hanno da questi teatri mi sembra denotino un certo entusiasmo di quei pubblici. Il successo di Bergonzi e la leggenda (risibile come tutte le leggende di questo tipo) del “più-grande-tenore-verdiano-di-tutti-i-tempi” nacque all’estero. Al contrario, i suoi successi, in Italia, non erano così pacifici e da quel che si legge delle cronache di quegli anni e da quel che raccontano vecchi habitués, qui da noi il suo stile non era così facilmente accettato. Poi si sa, in Italia si è così: come negli anni ’50 tutti erano stati antifascisti, così dagli anni ’80 tutti erano diventati “bergonziani”, e come nessuno avrebbe mai confessato di aver mai messo piede a Piazza Venezia, così nessuno avrebbe mai ammesso di avergli gridato “Tajoli” dal loggione di Parma perché smorzava i si bemolli in Aida…

Tanto per lasciare Bergonzi, una frase come:

“Alla luce di queste premesse, si capisce come mai alla Scala fosse il momento di Katia Ricciarelli e di Luciano Pavarotti e non solo, giacché c’erano pure, fra gli altri, Mirella Freni, Elena Obraztsova, Plàcido Domingo, José Carreras, Nicolai Ghiaurov, Renato Bruson, Piero Cappuccilli: era il trionfo della bellezza dello strumento vocale che faceva premio non solo su quella tecnica che, nell’intenzione dei duri e puri, doveva portare all’affermazione delle ragioni dell’Autore, ma anche su quel minimo di interpretazione che uscisse da una superficiale epidemicità emozionale”

mi lascia altrettanto perplesso, primo perché “il momento” di quei cantanti non era solo alla Scala, era ovunque, secondo perché anzi era altrove più che alla Scala. Voglio dire: i debutti della Freni nei grandi ruoli verdiani non avvennero alla Scala, ma a Salisburgo. Alcuni di quei ruoli (penso ad Aida) alla Scala (né, credo, altrove in Italia) non li interpretò mai, perché non sarebbero stati accettati; altri (penso all’Elisabetta del Don Carlo) ottennero trionfi ovunque nel mondo, mentre alla Scala vennero contestati… Se proprio devo trovare un limite alla Scala di quegli anni (e ce ne sono un’enormità), è semmai quello di non aver utilizzato abbastanza la Freni, o di averla utilizzata male: onestamente, avrei preferito la sua Aida, all’ennesima Mimì…

In fondo, credo che i diversi punti di vista discendano da una diversa posizione di partenza: dagli editoriali, mi sembra di capire traspaia una percezione di Bergonzi come un cantante adagiato a ripercorrere stilemi ormai frusti e logori. Io la vedo un po’diversamente: quali sarebbero gli stilemi frusti che ripercorreva? Quale altro tenore, in altre parole, negli anni ’50, ’60, ’70 cantava con quello stile? Quegli erano gli anni in cui imperversavano gli epigoni di una rivoluzione precedente (quella, appunto, di Di Stefano e Del Monaco): nessuno, a mia memoria, si rifaceva allo stile usato da Bergonzi… Che, a mio parere, ha tentato una rivoluzione non meno significativa, non dissimile da quella tentata da una Sutherland, e non credo si possa imputare a lui l’essere stato eletto (a posteriori) a vessillo di una certa (e quella si) logora corrente. La sua rivoluzione può piacere o meno, essere accettata o rifiutata, ma ridurre Bergonzi a un

“cantante confidenziale non diverso, fatti i dovuti distinguo per gli ambiti culturali, da Teddy Reno e Luciano Tajoli”

mi sembra il risultato di un metodo non dissimile da quello che portava a

“dare del becero a Mario Del Monaco, ignorando le ragioni di un successo planetario che stupisce solo chi non ha idea di come si cantasse prima di lui”.

In altre parole: mi sembra sacrosanto battersi per ristabilire che la Varnay non era una “urlatrice” bensì una cantante fra le più grandi mai esistite o che a Bayreuth negli anni ’50 non si “mugghiava” affatto, bensì si esplorava una rivoluzione epocale di uno stile, ma non sono molto convinto che ciò debba necessariamente passare dal dare a Bergonzi del “cantante confidenziale”.

Saluti,

Beck
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » ven 30 ott 2009, 16:12

Ohh-là!
Sono contento di aver sollevato un po' di dibattito anche in assenza del vero e unico Principe del Forum!
La risposta di Beck - come del resto quella di Tuc - denota un interesse per la materia che mi fa piacere.
I problemi sollevati, poi, sono di assoluto rilievo e ben espressi. Proverò a rispondere
beckmesser ha scritto: Celletti considerava “canto” solo una certa emissione, la Varnay non emetteva quei suoni, ergo “urlava”. Mezzo mondo la osannava comunque? Tant pis per mezzo mondo, che veniva declassato a gruppetto di semplicetti turlupinato dalle case discografiche

Eccoeccoecco. Credo che Beck abbia centrato alla perfezione il nocciolo del problema. Il mio desiderio è sempre stato quello di rifuggire il concetto di "scuola": ormai ce lo sappiamo per cui non ce lo raccontiamo di nuovo. Naturalmente, nel rispetto sovrano dei gusti

beckmesser ha scritto: Il quadro che mi sembra emergere dai due editoriali è quello di una intera scuola di canto (Bergonzi, Freni, Cossotto, ecc.) dipinta come una specie di prodotto tipicamente italiano, di cui all’estero se ne sbattevano sovranamente, malinconicamente rivolta al passato, trastullo di un gruppo di nostalgici babbioni che si riunivano a Martina Franca. Honestly: è un quadro in cui non mi ritrovo molto…

Come sai - l'ho detto sin dal primo editoriale - l'idea di questa revisione è nata dallo recensione dello spettacolo di "Adriana Lecouvreur" alla Scala. La data è il 1989, io l'avevo anche vista a Teatro, e sono rimasto stupito, ancora a distanza di anni, della pochezza di contenuti artistici. Nel canto, nella direzione e nell'allestimento dello spettacolo. E' stato così che ho provato a ragionare non solo sullo "Stile Scala" di quegli anni che, ai miei occhi, è apparso profondamente diverso da tutte le epoche che l'hanno preceduto, ma anche su un non meno ipotetico "Stile Anni Ottanta" che, invece, ha una pretesa di essere un po' più universale. E' vero che sino ad ora ho parlato di Scala, ma mi riservo di allargare il discorso nelle prossime puntate (se ce la farò col lavoro).
La mia opinione è che quei cantanti - che pure hanno avuto un grande successo all'estero, siano un prodotto tipicamente italiano di quel periodo che attualmente è oggetto dei rimpianti dei duri e puri. Un successo che mi stupisce perché penso che sia frutto della bellezza del mezzo vocale (indiscutibile), piuttosto che delle intenzioni interpretative, spesso quanto meno dubbie. E da lì nasce la mia domanda: questa impostazione è frutto dell'edonismo Anni Ottanta? C'è sicuramente un po' di tautologia in un quesito del genere, me ne rendo conto, ma non negherai che sia un bel sistema per smuovere una discussione, no? : Sailor :

Una frase (riferita alla Scala) come:

beckmesser ha scritto: Bergonzi non fu affatto un prodotto tipicamente scaligero o italiano. ... i suoi successi, in Italia, non erano così pacifici e da quel che si legge delle cronache di quegli anni e da quel che raccontano vecchi habitués, qui da noi il suo stile non era così facilmente accettato. Poi si sa, in Italia si è così: come negli anni ’50 tutti erano stati antifascisti, così dagli anni ’80 tutti erano diventati “bergonziani”, e come nessuno avrebbe mai confessato di aver mai messo piede a Piazza Venezia, così nessuno avrebbe mai ammesso di avergli gridato “Tajoli” dal loggione di Parma perché smorzava i si bemolli in Aida…

Affermazione interessante la tua, Beck. Del resto, io non ho negato il successo di Bergonzi, tant'è vero che citavo come esempio la Norma del Met 1970 con Sutherland e Bonynge, davvero ragguardevole anche e soprattutto sul versante tenore.
Che abbia avuto successo internazionale, non lo nego: sarei sciocco e antistorico.
Che sia un prodotto assolutamente italiano, lo affermo con forza. Era l'erede naturale di quella catena di cantanti tipicamente italiani che cantavano con bel lirismo ma anche abbondanti portamenti. Gigli non era stato molto diverso, no?...


beckmesser ha scritto: “il momento” di quei cantanti non era solo alla Scala, era ovunque, secondo perché anzi era altrove più che alla Scala. … Se proprio devo trovare un limite alla Scala di quegli anni (e ce ne sono un’enormità), è semmai quello di non aver utilizzato abbastanza la Freni, o di averla utilizzata male: onestamente, avrei preferito la sua Aida, all’ennesima Mimì…

Il sottotitolo dell'articolo è: "La parte per il tutto". Dovendo schematizzare - e in un articolo è inevitabile - ho scelto un esempio paradigmatico per l' italianità. In questo tipo di operazioni è inevitabile un po' di tautologia, come ho già detto prima: ma sono contento di averlo fatto perché ho sollevato un piccolo dibattito... : Thumbup :

beckmesser ha scritto: [Bergonzi] Quali sarebbero gli stilemi frusti che ripercorreva? Quale altro tenore, in altre parole, negli anni ’50, ’60, ’70 cantava con quello stile? ...non sono molto convinto che ciò debba necessariamente passare dal dare a Bergonzi del “cantante confidenziale”.

Be', alle mie orecchie è evidente: quelli di Gigli, già vecchi ai suoi tempi. Riproporre questo modo di cantare forbito e pulitino - mi verrebbe da dire "a culo di gallina", ma non vorrei passare per irrispettoso : Chessygrin : - dopo che era passata gente come Del Monaco e Di Stefano mi sembra cosa quanto meno bizzarra.
Non a caso dopo arriva Domingo che, guarda caso, è un riassunto dell'eroismo delmonachiano filtrato attraverso la lente della seduzione di Di Stefano.
Questo, almeno, è il mio punto di vista!
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Rodrigo » ven 30 ott 2009, 23:11

Complimenti per la seconda parte dell'articolo. Interessante, documentata e - forse per la maggiore vicinanza con i nostri giorni - con un che di magmatico che la rende molto attraente e suscita certamente più di una riflessione.
Personalmente mi ha molto colpito la trattazione del periodo mutiano e del precedente "regno" di Claudio Abbado. Secondo me un cenno l'avrebbe meritato uno dei simboli della Scala di quegli anni: il celebre Otello di Kleiber.
Pur essendo un estimatore di R. Muti trovo acute le critiche sollevate al sistema-muti ed alle "distorsioni" (chiamiamole così) che l'inguaribile egocentrismo -o forse si tratta (in buona fede chi lo nega) di una certa visione del teatro in musica - del nostro ha contribuito a produrre: immobilismo nelle scelte di regia, progressivo disinteresse per i cantanti "carismatici", allontanamento di direttori che potessero fare ombra.
A mio modo di vedere bisogna riconoscere che al nostro simpatico "reazionario" :) :) qualche tentativo di innovazione è scappato. Certo si tratta di tentetivi organici ai confini del sistema-muti e d'altra parte mica poteva snaturare se stesso! E torniamo a bomba: non è che l'ipertrofia del direttore è una colpa della pochezza della direzione artistica? Anche qui l'articolo coglie nel segno, ed è fin troppo buono...
Per mio conto, in aggiunta a quanto ricordato nell'articolo, segnalerei questi spettacoli qualificanti (che non significa necessariamente riusciti in toto) del periodo molfettese:
L'Attila di Samuel Ramey, indubbiamente una scommessa vinta e - a suo modo - una significativa presa di posizione esegetica. Non dimentichiamo che si usciva dal regno Ghiaurov!
La Donna del lago con la regia di Herzog. A parte il cast che era quanto di meglio offrisse il milieu rossiniano. Per me non era niente male, per chi ne conoscesse la filmografia, l'idea di ingaggiare uno tra i più interessanti registi di cinema. Poi quello spettacolo non rispettò tutte le attese, ma una sua suggestione l'aveva.
I Vespri. Merritt e la Studer, erano soluzioni ai tempi innovative e (perché no) non prive di fascino e di rischio anche se, a conti fatti, hanno pagato meno di quanto ci si aspettasse. Poi d'accordo scene e regia erano imbarazzanti.
Il Rigoletto "filologico". Oggi va di moda ironizzare su quella scelta ma io chiedo: preferiamo continuare a tenerci un Rigoletto terreno di caccia di acuti a più non posso, berci, pezzenteria filodrammatica o un tentativo di riguadagnare la partitura alle ragioni del dramma?
Io ricordo un Bruson che mi tenne inchiodato alla televisione prima ancora come attore che come cantante (sono stato giovane anche io : Love : : Love : : Love : ).
Saluti.
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda pbagnoli » sab 31 ott 2009, 9:52

Hai ragione, Rodrigo: io ci aggiungo il Guglielmo Tell cui, per essere davvero perfetto, mancarono una regia, la lingua francese (e chissà perché, visto che il Cigno di Molfetta si ammantava di filologia) e gli acuti a Merritt, che se li sarebbe meritati. Ancora oggi è lo spettacolo scaligero di cquegli la cui registrazione più spesso ascolto.
Quanto agli spettacoli di cui parli:
- Attila: sono assolutamente d'accordo. Il taglio di Ramey era entusiasmante e si toglieva il ruolo del protagonista ai grandi "bassoni" iper-romantici (prima Christoff, poi Ghiaurov) per darlo a un rossiniano! E poi la Odabella della Studer!
- La Donna del Lago ha ancora oggi le frecce di un cast da brivido: Anderson, Merritt e Blake. I tenori - se ricordi - venivano sbeffeggiati all'epoca. Tutti i soloni dicevano che sì, per carità, gli acuti c'erano, ma quelle voci così brutte, e poi Merritt era stonato, e così via. Pensano che ce ne siamo dimenticati, adesso che li incensano e li portano in palmo di mano, ma abbiamo memoria lunga, ecchecavolo...
- I Vespri: secondo me l'unica vera idea era un tenore contraltino nel ruolo più massacrante ideato da Verdi per un tenore. A me piacque, al pubblico globalmente no. La Studer in quegli anni era una scelta obbligata: si faceva tutto le prime della Scala. Anche lei fu massacrata. Adesso si beccano la Urmana in Aida
- Rigoletto: ottimo lavoro e regia complessivamente innocua. Bello spettacolo davvero, sono d'accordo con te. Ottimi tutti i cantanti. Da Bruson in poi del ruolo si è impossessato Nucci e sarebbe il caso di cominciare a strapparglielo via...
Grazie delle belle idee!
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Re: Anni Ottanta

Messaggioda Tucidide » sab 31 ott 2009, 10:33

pbagnoli ha scritto:Che [Bergozi] sia un prodotto assolutamente italiano, lo affermo con forza. Era l'erede naturale di quella catena di cantanti tipicamente italiani che cantavano con bel lirismo ma anche abbondanti portamenti. Gigli non era stato molto diverso, no?...

beckmesser ha scritto: [Bergonzi] Quali sarebbero gli stilemi frusti che ripercorreva? Quale altro tenore, in altre parole, negli anni ’50, ’60, ’70 cantava con quello stile? ...non sono molto convinto che ciò debba necessariamente passare dal dare a Bergonzi del “cantante confidenziale”.

Be', alle mie orecchie è evidente: quelli di Gigli, già vecchi ai suoi tempi. Riproporre questo modo di cantare forbito e pulitino - mi verrebbe da dire "a culo di gallina", ma non vorrei passare per irrispettoso : Chessygrin : - dopo che era passata gente come Del Monaco e Di Stefano mi sembra cosa quanto meno bizzarra.
Non a caso dopo arriva Domingo che, guarda caso, è un riassunto dell'eroismo delmonachiano filtrato attraverso la lente della seduzione di Di Stefano.
Questo, almeno, è il mio punto di vista!
Grazie degli ottimi spunti di riflessione! : Thanks :

Come dicevo anche prima, io penso che la grandezza di Borgonzi fosse per l'appunto il suo ritornare indietro, il suo rifarsi alla lezione dei tenori d'anteguerra, cercando di coniugare il lirismo di Gigli con l'enfasi di Pertile. E' vero: il mondo dell'opera era andato avanti, erano arrivati Pippo e Mario (tanto per non fare i loggionisti :D ) ed avevano fatto scuola. Ma negli anni Sessanta, quando Bergonzi ebbe la sua vera consacrazione, che cosa ci sarebbe stato di eclatante nell'accodarsi a loro? Oramai era il loro uno stile risaputo, e soprattutto non soddisfaceva tutti. Bergonzi, che io per certi versi definisco un "fossile" (un tenore degli anni Trenta catapultato negli anni Sessanta), cercò appunto di tornare indietro. Proprio il personaggio di Radamès è indicativo, secondo me. Lo cantarono sia Del Monaco, sia Di Stefano (poco), nonché Corelli. Il primo era stentoreo e ridondante, abbacinante di decibel, poco propenso alle sfumature, il secondo era estroverso e guascone, ridonava un certo lirismo a certe frasi, ma mancava di eroismo e di scansione enfatica. Corelli ripropose il modello del tenore di forza, dotato di acuti straripanti e di enfasi. Bergonzi cercò di ritornare ad un modello forbito, proprio quello che tu chiami a culo di gallina. :D Se si fosse mosso in una delle strade già battute, oltre ad andare contro la propria indole, non sarebbe stato personale. Ti dirò di più: considerare, come mi pare faccia tu, questo guardare al passato come un adagiarsi su modelli risaputi, mancare di originalità e di coraggio è riduttivo. L'episodio dell'urlo "Tajoli!" dimostra per l'appunto il coraggio di Bergonzi di proporre un modello di canto e di espressività (giusta, sbagliata, bella o brutta che fosse) a cui molti si erano disabituati. Se avesse sparato il suo bel si bemolle in forte, tutto sarebbe filato liscio. Più facile, no?

Non ce l'ho con la povera Antonietta: quando mi capita, ne ascolto ancora le notine e le trovo gradevoli.
Ce l'ho con chi la elegge a paradigma - lei come tante altre passate ampiamente nel dimenticatoio - di una sorta di età aurea che non c'è più. Mettici chi vuoi: Rita Orlandi Malaspina, Orianna Santunione, Margherita Roberti, Mara Zampieri, la stessa Maria Chiara, altre ancora. Tutte oneste, onestissime professioniste, da brave a bravissime, cui mancò la zampata della fuoriclasse.

Beh, Pietro: età dell'oro di un certo tipo di oro... :D
Ne abbiamo parlato già altre volte: pretendere che in un dato periodo storico, quale che sia, tutti gli artisti di una qualsivoglia arte si adeguino alle nuove tendenze, quasi sempre in rottura con il passato, e che nessuno cerchi di venire incontro a quella fetta di pubblico che guarda con nostalgia al passato, è un po' riduttivo, quasi antistorico.
Ultima modifica di Tucidide il sab 31 ott 2009, 10:40, modificato 2 volte in totale.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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