MatMarazzi ha scritto:Però capisco che Fischer Dieskau potesse fare questa impressione: l'apertura del suono lo portava a schiarimenti che magari potevano sconvolgere gente abituata a Bastianini e Gobbi.
Per me il miglior Verdi di Dieskau resta il Macbeth di Gardelli per la EMI (non l'orripilante live da Salisburgo con Sawallisch e la Bumbry, da fuggire il più lontano possibile).
Quello, come resa complessiva, è a mio gusto il Macbeth migliore della discografia in studio! Nulla a che vedere con il blasonato prodotto di Abbado... Quanto a Dieskau-Rigoletto... affascinante, molto, come tutte le cose prodotte da un artista di quella intelligenza superiore. Ma assolutamente non convincente. Non perchè Rigoletto debba avere un timbro per forza scuro (anche se è quello che a gusto preferisco), ma è la somma di ottime intenzioni che in questo caso non fa il personaggio. Tant'è che lo stesso baritono tedesco ricorre a stratagemmi peggiori di quelli del tanto vituperato Gobbi, che almeno quando esagerava lo faceva con l'istinto e non per costruzione. Se avesse fatto un Rigoletto intimista, solo, ripiegato su sè stesso, inerme, allora avrebbe avuto il mio plauso senza riserve. Sembra talvolta aver paura di arrivare in fondo a questa strada, forse il timore di essere troppo poco "italiano" mettiamola così...
E volevo dire un'altra cosa : MacNeil aveva una "struttura" da grande baritono italiano.
E non "americana"?
Io in McNeil sento il meglio dei Tibbett, dei Warren... Trovo che gli Italiani non riescano ad essere contemporaneamente sottili e colossal come gli americani, appunto.
Sono daccordo con entrambi, ovvero MacNeil (per me uno dei più grandi della storia) era forse l'unico tra gli americani ad aver centrato esattamente lo stile, la sensibilità, il gusto italiano, non in senso degenere, ma in quel che dovrebbe essere. Questo gli dà un'aria più italiana di altri. Concordo anche che un autentico italiano, paradossalmente, non arriva alla sua italianità.
Gobbi (almeno su alcuni personaggi) ne aveva le intenzioni, ma non aveva i mezzi per realizzarle compiutamente e esteriorizzava (così Nucci, in maniera diversa). Bastianini aveva una gran voce, ma probabilmente difettava di approfondimento (come pure Cappuccilli). Taddei aveva grande sensibilità ma forse non raggiungeva l'eloquenza del primo nè le doti naturali del secondo (così Bruson).
MacNeil è il frutto di due culture che si incontrano con una sensibilità e una voce fuori dal comune. Eccezionale.
Quanto al Rigoletto di Bonynge, lo trovo assai noioso. E' indubbiamente forse il Rigoletto cantato meglio, non mi stupisce che i vociofili lo preferiscano su tutti, ma Bonynge è impersonale, la Sutherland fa la solita Gilda belcantista "da altro pianeta", Pavarotti incanta per squillo e facilità, ma in questo personaggio (uno dei suoi pochi che valga la pena di ascoltare) dirà qualcosa in più qualche anno dopo, Milnes lo trovo assai retorico, poco spontaneo, con qualche finezza (neanche tante) che però sa di posticcio.
Bocciato pure il Rigoletto di Giulini, direttore che adoro e che dirige da gran maestro un fondale affascinante e ricco di dettagli, da affresco rinascimentale. Ma sul cast non ci siamo per nulla.
Delude anche l'edizione super-critica di Sinopoli con Bruson, che nel Macbeth riesce a tirar fuori un certo fascino malato dall'orchestra e dagli interpreti, ma quì (a parte qualche bella intuizione) globalmente non tiene la tensione, complice anche un Bruson troppo "signore" per fare il buffone di corte.
Oltre alla tanto vituperata edizione di Serafin, che amo non per la Callas (francamente lì l'anello debole) ma proprio per la direzione (una delle migliori) e per il Rigoletto di Gobbi (che mi sa che piace a me e a VGobbi, ma pazienza ), c'è la quasi sconosciuta ma gloriosissima edizione di MacNeil in studio con Sanzogno. Quest'ultimo ha una direzione a tratti discutibile (tempi letargici, mancanza di mordente ecc.) ma è una buona occasione per sentire MacNeil in buona qualità audio e ai tempi d'oro (da lasciar perdere lo spettacolo del Met in dvd). La Sutherland è più fresca e "varia" del solito,come accade in molte sue prime incisioni (anche se la sua Gilda è in definitiva sempre quella), Cioni non è l'ideale, ma è onesto e se la cava con un po' di spavalderia più di tanti altri.
Volevo sapere anche come giudicate l'edizione Merrill-Moffo-Kraus-Solti, che mi pare quì nessuno abbia citato.
Merrill non è un campione di finezza, ma non è certo molto peggio di Milnes, al cui confronto pare comunque più spontaneo ed eloquente, pur risolvendo il personaggio in maniera tradizionale. Solti dirige al solito in maniera fiammeggiante, sicuramente manca della cura di un Giulini o dell'approfondimento di un Kubelik, ma i momenti in cui è richiesta ansia e concitazione sono decisamente i suoi (sentire l'entrata del duca nel II atto). Kraus io non tanto lo sopporto, al suo belcanto preferisco spesso il malcanto di Pippo, però contrariamente a Bergonzi fa davvero suo il personaggio, e si può permettere un "Parmi veder le lagrime" davvero sopraffino. Quanto alla Moffo, nel 63 comincia già ad accusare i primi problemi vocali, ma la sua lettura è splendida perchè è l'unica a dare un tocco di umana sensualità a questo personaggio troppe volte stilizzato. Per come la vedo io Gilda è una ragazza segregata come fosse in perenne punizione, è "in alto" laddove l'ha messa suo padre (come pure la fa la Sutherland per intenderci) ma è terribilmente attratta dal basso, muore dalla voglia di vivere la vita nella maniera più terrena (e carnale perchè no) possibile. Il suo "Caro Nome" per fare un esempio freme di passione repressa, consapevole o inconsapevole che sia, mi pare una interpretazione assai credibile.
PS: ho riascoltato alcuni brani dell'edizione in studio di MacNeil... ricordavo male di Sanzogno. il quale invece dirige elegantemente e in maniera non certo priva di pathos. Del resto Sanzogno (direttore ma anche compositore) non era certo un battisolfa di turno... E' probabile che io fossi rimasto traumatizzato da "Si vendetta" effettivamente staccato lentissimo! MacNeil grande poesia, fin troppo corretto direi (dal vivo con la Gencer, complice anche l'atmosfera live sudamericana, darà ancor di più in termini di coinvolgimento), la Sutherland ha addirittura qualche accenno di dinamica, anche se, come sempre, non si capisce una parola di quel che canta edizione comunque memorabile.