Tra ieri e oggi mi sono riascoltato un’ampia selezione dell’Aida incriminata. A volte fa bene "ritornare sul luogo del delitto" (come dice Maugham). Devo riconoscere che si tratta di un’incisione discutibilissima per il programmatico, aprioristico rifiuto di ogni prospettiva teatrale, la gelida asetticità, il cast in cui ognuno fa quello che vuole e come lo vuole… L’Aida di Harnoncourt, più saggio musicologico che resa teatrale, presenta però degli aspetti di indubbio interesse.
Il suono, innanzitutto. E’ chiaro che questa edizione si pone volontariamente agli antipodi di ogni lettura “kolossal” di Aida. Non si potrebbe davvero immaginare lettura più intellettuale, più lontana dall’Aida da esportazione formato Gardaland per arene piene di tedeschi avvinazzati in infradito e loggionisti in calore (che, in anni recenti, è stata immortalata nel DVD scaligero con la direzione di Chailly). Basta il primo minuto del preludio per rendersene conto. Abituati a considerare quest’opera come un tripudio di colori, questa è invece un’Aida in bianco-e-nero. Mica male, come prospettiva, no? Anche in questo caso Harnoncourt è “spiazzante”. Certo che poi la validità di tale interpretazione va valutato sulla base dei risultati.
Harnoncourt stende sulla partitura un colore uniforme, cinereo, grigiastro, rifiutando in partenza una lettura “esteriore”, esotica, melodrammatica.
La lettura è di un’estrema analisi: mai sentite con tale nitidità le linee (verrebbe da dire “architetturali”) di molti brani, quasi fosse un’opera settecentesca. Sembra di avere costantemente davanti agli occhi la partitura, tanto il lavoro di analisi è spinto all’estremo. Naturalmente il rischio (che, di fatto, in questa incisione è una realtà) è la perdita di una visione sintetica, unitaria, complessiva.
L’impostazione dell’opera è quasi oratoriale (archi quasi privi di vibrato, tempi lentissimi, qualora addirittura non letargici, cori di grande uniformità): interessante, come ottica, in un’opera che vede il potere sacro annientare aspirazioni e sogni dei figli del potere civile (Radames ed Amneris). Di fatto, Aida è l'opera forse più "politica" di tutta la produzione verdiana, altro che Egitto da cartolina! Questo Harnoncourt sembra averlo capito benissimo nella sua incisione. Interessante, discutibile, criticabilissima, del tutto priva di carica teatrale, certo! (Penso che, soprattutto per questo, l’ascolto con la citata edizione diretta da Muti funga da spietata cartina tornasole). Di fatto, la scena del giudizio di Radames ha le stesse sonorità di un oratorio: il coro dei sacerdoti è una massa spersonalizzata, di indistinto grigiore, che sembra seguire una linea di canto gregoriano, la Borodina stessa è di un’inerzia sconcertante. Certo che è discutibile, certo che è (con tutta probabilità) è inappropriato. Ma ben venga un’edizione che fa discutere, no?
DM
P.S.: Io possiedo una versione pubblicata nel 2007 senza grandi note nel booklet (che immagino invece fossero presenti nella prima versione del 2001) Quindi non so bene che cosa Harnoncourt scrivesse...
P.P.S.: in definitiva, lapidariamente, definirei questa Aida come un mattone di gelida asetticità, ottimo per la costruzione di Igloo, non certo di piramidi
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E comunqe, mattone o no, piramide o igloo, è un'edizione interessante che... come mi sembra evidente... è destinata a far parlare di sé e a dividere gli animi! Il che, nel piattume discografico verdiano degli ultimi anni, è già una bella notizia, no?
By the way, quale altra incisione discografica del centenario vi sembra più interessante di questa? Il Falstaff di Abbado?
E già che ci siamo, com'è che finora l'anno del bicentenario non ha prodotto nessuna nuova incisione verdiana di un'opera completa? Colpa della crisi? Crisi economica? O crisi vocale, musicale, interpretativa?
P.P.P.S.: il "filologo" Enrico potrebbe finirla di moderare asetticamente (alla "Harnoncourt") e importunare il nostro padre fondatore, e dirci che ne pensa??